Governo danese: un’isola per i migranti criminali

Il governo danese ha reso noto nei giorni scorsi che i criminali stranieri condannati sul suolo danese verranno relegati su una isola al largo della costa della Danimarca in attesa di trovare il modo di rimpatriarli.

Il ministro delle finanze Kristian Jensen ha dichiarato che i criminali saranno detenuti in una struttura sull’isola di Lindholm, e che il progetto nasce da un accordo tra il governo danese guidato dal Partito Liberale del premier Lars  Løkke Rasmussen (nella foto sotto) con il sostegno del Partito popolare danese (DF) e di altre due formazioni politiche.

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L’account Twitter ufficiale del DF ha celebrato l’annuncio pubblicando un cartone animato che mostra un immigrato portato da una nave sull’isoletta. Un portavoce del partito ha poi aggiunto: “I criminali stranieri non hanno motivo di restare in Danimarca e non devono rimanerci: finché non riusciremo a rimpatriarli, li trasferiremo sull’isola di Lindholm, dove saranno obbligati a rimanere. Nel nuovo centro ci sarà la polizia tutto il giorno”.

Il governo conservatore guidato dal 2015 da Rasmussen, nell’arco di un biennio, ha attuato ben 67 modifiche alle leggi sugli ingressi di stranieri, facendo crollare le richieste di asilo dalle 21.316 del 2015 alle 3.458 dell’anno scorso. L’84% in meno.

L’iniziativa ha riscosso molte critiche sulla stampa internazionale. Per il New York Times l’iniziativa assomiglia ad una nuova politica di deportazioni, dove al posto degli ebrei ci sono immigrati da spedire su “un’isola minuscola e difficile da raggiungere, che ora ospita laboratori, le stalle, forni crematori e un centro di ricerca per malattie contagiose degli animali. Come per rendere più chiaro il messaggio, uno dei due traghetti che servono l’isola si chiama Virus”.

Un servizio traghetti volutamente discontinuo legherà l’isola di circa un chilometro quadrato, in un’insenatura del Mar Baltico, alla riva più vicina, a circa due miglia.

“Ridurremo il numero di partenze dei traghetti quanto più possibile”, ha detto a TV 2 Martin Henriksen, portavoce del Danish People’s Party. “Lo renderemo il più complicato e costoso possibile”. Il progetto prevede circa 100 milioni di euro in quattro anni per le strutture di immigrazione sull’isola, che dovrebbero essere aperte nel 2021.

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Louise Holck, vice direttore esecutivo dell’Istituto danese per i diritti umani, ha detto che la sua organizzazione guarderà la situazione “molto da vicino” per possibili violazioni degli obblighi internazionali della Danimarca.

“Il piano dell’Isola di Lindholm promuove la politica del governo di motivare i richiedenti asilo respinti a lasciare il paese rendendo intollerabili le loro vite”, scrive ancora il New York Time. Mentre un ex ministro dell’immigrazione, Birthe Ronn Hornbech, ha definito il progetto dell’isola “uno scherzo” e uno svarione paragonabile a un calciatore che ha segnato un gol per la squadra avversaria. “Nulla di questa proposta verrà realizzato”, ha aggiunto.

Qualcuno parla anche di un Paese nel quale non riesce più a riconoscersi, viste le “politiche disumane” ma da tempo il governo definisce i problemi creati dall’immigraziione troppo gravi per non correre ai ripari

Nell’ottobre 2017 ventotto iraniani avevano messo a ferro e fuoco il centro di espulsione in cui risiedevano, inscenando anche uno sciopero della fame, per via del loro status giudicato “intollerabile”. Nel a marzo scorso al centro di espulsione di Kærshovedgård a Gauteng, sono state registrate 10.057 violazioni: richiedenti asilo e criminali respinti che hanno evaso i controlli secondo quanto riportato dalla polizia dello Jutland. In 243 hanno evaso tutti i controlli e sono scomparsi.

Un altro degli aspetti all’attenzione del governo riguarda i bambini stranieri costretti dai genitori a non integrarsi nella società. A cominciare dalla lingua fino alle tradizioni locali. Al punto che le autorità hanno imposto quest’estate,25 ore di istruzione statale obbligatoria ogni settimana per i bambini immigrati, prevalentemente musulmani.

Educarli alla democrazia e all’uguaglianza, ad imparare la lingua e conoscere le tradizioni, a cominciare da Natale e Pasqua. Per i genitori che intendono sottrarre i propri figli dal progetto, il governo ha promesso il carcere e la perdita dei benefici del welfare.

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Rasmussen vuole assicurarsi che anche i non occidentali contribuiscano alla società. Nel 2016, i dati sulla disoccupazione hanno mostrato che tra le famiglie che dipendono totalmente da sussidi statali, circa l’84% sono immigrati non occidentali.

In totale, un terzo di tutto il denaro investito in welfare va agli immigrati: una cifra sorprendentemente alta come è bassa la percentuale di quanti hanno un lavoro, l’8%. E l’occupazione in Danimarca, così come nel resto d’Europa, è un tassello importante del percorso d’integrazione e inoltre l’economia danese non è certo in recessione con una crescita del PIL del 2,1 per cento quest’anno.

E quando alcune città danesi hanno reso obbligatoria la carne di maiale nei menu scolastici, il ministro dell’integrazione nazionale ha voluto che la cosa venisse pubblicizzata anche all’estero in modo da rendere chiaro ai potenziali immigrati cosa avrebbero potuto aspettarsi all’arrivo nel paese.

In Danimarca le “no-go-zones” vengono comunemente chiamate “ghetti” e, stando ai dati del 2017, il 66,5% di coloro che abitano questi quartieri sono immigrati non occidentali. Rappresentano l’8,7% dei 5,8 milioni di abitanti (erano l’1% nel 1980) e secondo uno studio reso noto dal quotidiano BT i migranti sono responsabili dell’84% delle violenze sessuali compiute in Danimarca (nella vivcina Svezia la percentuale sale al 92%), dove questo tipo di reati sono cresciuti del 196% in seguito ai flussi migratori illegali dalle rotte libica e balcanica degli ultimi anni.

Il Paese da sempre ha cercato di integrare gli immigrati provenienti da aree come il Medio Oriente nella società ma quando i problemi di sicurezza hanno cominciato a mostrarsi prepotentemente, il governo ha iniziato ad introdurre una serie di leggi per regolare la vita in 25 enclaves islamizzate affermando l’obbligo di integrazione come requisito per poter restare a vivere in Danimarca.

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“È una questione di realismo” ha detto Rasmussen, “perchè ci sono aree in cui esiste già un diverso insieme di regole. Dove le bande islamiche hanno il controllo e la polizia non può lavorare. Non posso sedermi e passivamente lasciare che tutto questo vada avanti”.

Ma il governo, con l’alleato Partito Popolare, è anche profondamente preoccupato per la minaccia rappresentata dal crescente numero di islamisti radicali nella vicina Svezia. Dallo scorso anno, governo e opposizione hanno preso in considerazione l’adozione di una legge capace di aumentare notevolmente la sicurezza sul confine svedese.

Il pugno du ferro sull’integrazione o l’isolamento dei migranti sembra condiviso anche da Mattias Tesfaye, il volto nuovo del partito Social Democratico di centrosinistra. Figlio di una danese e di un rifugiato etiopico, Tesfaye alla domanda, “cosa cambieresti dell’UE?” ha risposto, “vorrei che gli Stati membri avessero il controllo delle frontiere”.

La Danimarca ha perseguito in questi anni politiche di immigrazione e asilo sempre più restrittive. E a quanto pare il governo danese continuerà a farlo con un ampio supporto dell’opposizione socialdemocratica determinata a contrastare le discriminazioni portate nel paese dall’immigrazione islamica.

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Negli ultimi tre anni, il paese ha adottato circa 70 iniziative nel campo dell’immigrazione volte a intensificare le restrizioni e a ridurre drasticamente le percentuali di riconoscimento d’asilo inclusa la detenzione dei finti rifugiati.

Diversi osservatori hanno ripetutamente criticato le condizioni simili ad un penitenziario del principale centro di detenzione per immigrati della Danimarca che l’anno scorso, con un voto del Parlamento, ha rifiutato l’accoglienza di 500 rifugiati chiesta dalle Nazioni Unite.

Un’idea di quella che continuerà ad essere la direzione della politica di immigrazione danese è stata una visita, programmata tempo fa, delle autorità danesi al controverso centro di detenzione off-shore australiano a Nauru, per valutare se un tale sistema potesse essere replicato in Europa.

Foto: AFP, CBS News, Shuttersock, Twitter e The Times

 

Lorenza FormicolaVedi tutti gli articoli

Giornalista nata a Napoli nel 1992, si occupa di politica estera, in particolare britannica, americana e francese ma è soprattutto analista del mondo arabo-islamico. Scrive per Formiche, La Nuova Bussola Quotidiana, il Giornale e One Peter Five.

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