Musulmani di tutto il mondo, unitevi: il silenzio della sinistra di fronte all’islam

Mentre la violenza inflitta in nome di Allah occupa senza sosta il proscenio dell’attualità, la sinistra pare disarmata nell’affrontare tale fenomeno. Si tratta forse del fatto che ai suoi occhi la religione è solo un sintomo sociale, un’illusione del passato, non una forza politica con cui confrontarsi. Incapace di prendere sul serio la fede, come può la sinistra comprendere l’espansione dell’islamismo? Come può ammettere che il jihadismo è oggi la sola causa che induce un numero significativo di giovani europei a morire a migliaia di chilometri da casa? E come potrebbe accettare il fatto che questi giovani sono ben lontani dall’essere dei diseredati? Prendendo in esame anche casi specifici l’autore sviluppa l’analisi documentata e appassionata di un silenzio incomprensibile, che attende con urgenza di essere spezzato.

Jean Birnbaum (nella foto sotto), giornalista, dirige Le Monde des livres; è autore di saggi politologici che hanno animato in più occasioni il dibattito pubblico europeo e francese

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E’ appena uscita grazie all’editore LEG di Gorizia l’edizione in lingua italiana di un libro importante per comprendere come l’offensiva islamica e islamista in Europa abbia trovato in molti casi pochi ostacoli si non sostanziali “via libera” nel contesto politico e sociale europeo.

“Musulmani di tutto il mondo, unitevi – il silenzio della sinistra di fronte all’islam” è un testo critico fondamentale per chiunque si occupi della minaccia jihadista peer ragiioni prifessionali o di studio ma al tempo stesso utile ai cittadini per comprendere come abbiamo potuto finora subire, anche in termini culturali e quasi passivamente, l’offensiva islamista contro l’Europa.

GG

 

Pubblichiamo qui sotto un brano dell’introduzione.

Ancora una volta, ci fu il silenzio. Il 14 novembre 2015, all’indomani degli attentati più sanguinosi che la Francia abbia mai conosciuto, il paese è rimasto colpito dallo stupore. Ovunque, nonostante il divieto di manifestare, sono stati improvvisati dei raduni silenziosi. Davanti ai bar, ai ristoranti in cui gli assassini avevano svuotato i loro caricatori, così come sulla soglia del Bataclan, la sala da concerto che era stata teatro della carneficina, ciascuno era venuto per raccogliersi, accendere una candela, depositare dei fori. Senza dire una parola. Questo silenzio ne richiamava un altro, altrettanto profondo. All’inizio dell’anno 2015, gli attacchi contro “Charlie Hebdo” e l’Hypercacher della Porte de Vincennes avevano imposto non solo il terrore ma anche il mutismo.

La sera del 7 gennaio, soltanto poche ore dopo l’attacco sanguinoso contro il settimanale satirico, una folla si era raggruppata spontaneamente in Place de la République a Parigi. Oramai regnava il silenzio. È stato ancora più impressionante, quattro giorni dopo, quando milioni di persone hanno sfilato attraverso il Paese. Era l’11 gennaio. Pochi striscioni, o neppure uno, quasi nessuno slogan.

Se gli attacchi fossero stati rivendicati da un nemico politico conosciuto, a cominciare da un movimento di estrema destra, le cose sarebbero state molto diverse, le parole d’ordine già trovate. Ma, in questo caso, protestare contro chi? Manifestare per cosa?

Questo silenzio rifletteva quindi dapprima un immenso senso di smarrimento, un’impossibilità di nominare il colpevole. Tuttavia, all’indomani degli attacchi di gennaio, ci si era affrettati a guardare ad esso con sospetto. Doveva per forza nascondere qualcosa, e si voleva riuscire a farlo parlare. Che cosa avevano da rimproverarsi questi silenziosi camminatori?

Molto rapidamente, si è ritenuto che il loro mutismo nascondesse una minaccia. Ciò che era stato scosso, dalla Repubblica alla Bastiglia e ovunque in Francia, non era un mormorio sparuto, ma un grido di odio. Questa fu la tesi di Emmanuel Todd: le donne e gli uomini che scesero in piazza a milioni difesero la libertà di stigmatizzare, il diritto di odiare in buona coscienza. Tale sarebbe stata la vergognosa verità dell’11 gennaio (1).

Ma c’è un altro modo di affrontare il silenzio. Consiste nel rispettarlo. Piuttosto che cercare di riempirlo, possiamo prenderlo come tale, in altre parole, come un discorso impedito. Così, il disagio dell’11 gennaio, perché infatti disagio c’è stato, diventa qualcosa di molto diverso: una parola impossibile. Le folle immense ansimavano. I camminatori non sapevano quali parole pronunciare, né con quali termini descrivere l’evento. Accontentandosi di sfilare per “la libertà di espressione”, rinunciarono a individuare qualsiasi nemico, o anche la più vaga minaccia.

Bisogna dire che l’esempio era venuto dall’alto. L’11 gennaio fu lo Stato a chiamare a manifestare. I suoi più alti rappresentanti si tenevano in testa al corteo e, prima ancora che la folla si avviasse, avevano indicato la strada da seguire, ripetendo su tutti i toni, un’idea e una sola: gli attacchi che hanno appena insanguinato la Francia “non hanno niente a che vedere” con la religione in generale, e con l’Islam in particolare.

Gli uomini che hanno commesso questi crimini “non hanno niente a che vedere con la religione musulmana” affermava François Hollande. “Non lo ripeteremo abbastanza, questo non ha niente a che vedere con l’Islam” insisteva Laurent Fabius. “Circolare, andate avanti gente, non c’entra niente!”.

Quando l’impossibilità a dire le cose viene dall’alto, si chiama interdizione. L’immenso raduno dell’11 fu quindi una manifestazione vietata. Autorizzata dalla polizia, certo, organizzata anche dall’alto, ma in realtà vietata, nel senso in cui si dice di qualcuno che rimane interdetto, stupefatto, sbalordito, cheto, di sasso, senza parole. A partire dai vertici dello Stato fino alla folla di camminatori anonimi, si osservò un silenzio “religioso”, cioè un silenzio che toccava due volte la religione: non solo per il suo intenso fervore, ma anche e soprattutto perché la religione, quel giorno, fu oggetto di un gigantesco rifiuto.

 

Musulmani di tutto il mondo, unitevi – il silenzio della sinistra di fronte all’islam

Jean Binbaum

(Prefazione di Loretta Naopoleoni)

LEG Edizioni 2018

18 euro

176 pp

 

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