La Macedonia del Nord si appresta ad aderire a NATO e UE

Skopje, dal nostro inviato

Lo scorso 11 gennaio il Parlamento dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (FYROM – Former Yugoslav Repubblic of Macedonia) ha adottato quattro emendamenti che modificano il nome costituzionale di Repubblica di Macedonia in Repubblica di Macedonia del Nord come stabilito dall’accordo greco-macedone di Prespa. Tale cambiamento ha una valenza erga omnes che si rifletterà in tutti gli usi domestici e internazionali compresa l’adesione alle organizzazioni internazionali, quali l’ONU dove negli ultimi 27 anni la Macedonia – come costituzionalmente denominata e riconosciuta dal popolo – è stata riconosciuta con il solo nome di FYROM.

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Le discussioni parlamentari iniziate mercoledì scorso avrebbero dovuto portare alla ratifica dell’intero pacchetto entro il 15 gennaio. Tuttavia, le numerose pressioni politiche esterne da parte dei vertici NATO ed europei come la Germania della Cancelliera Angela Merkel, sembrerebbe aver spinto i deputati macedoni a velocizzare la procedura conclusasi in soli tre giorni e fortemente voluta dai Paesi dell’UE.

Gli emendamenti sono passati con una mggioranza di 81 voti su 120, grazie al sostegno di alcuni esponenti del partito di opposizione VMRO-DPMNE (Partito democratico per l’unità nazionale della Macedonia) al Governo di centro-sinistra di Zoran Zaev.

Gli stessi erano stati immediatamente esplusi dalle fila del partito, dopo che già al secondo turno delle votazioni avevano appoggiato la modifica del nome costituzionale. In particolare, ai deputati Mukoski, Vasilev e Arnaudov sembra essere stata offerta in cambio l’amnistia nel processo che li accusa di aver partecipato all’assalto, guidato da politici del VMRO-DPMNE, del Parlamento macedone lo scorso 27 aprile durante il quale sono state ferite diverse persone, tra cui lo stesso premier Zaev.

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A questi si aggiunge anche un personaggio di spicco dell’ex establishment macedone, Elizabeta Kanchovska-Milevska, che per ben 9 anni è stata un insostituibile ministro della cultura dei governi targati VMRO-DPMNE di Nikola Gruevski, ma anche essa legata a nebulose commesse statali del progetto “Skopje 2014” relativo alla ricostruzione del centro della capitale macedone in gloriosa chiave greco-ellenistica.

Non sono stati invece registrati voti contrari o astensioni perché tutti i deputati della compagine conservatrice hanno boicottato le plenarie organizzando davanti all’Assemblea nazionale una rumorosa protesta a sostengo delle istanze nazionaliste e identitarie. Ciononostante, il vigoroso richiamo a manifestare da parte del leader del VMRO, Hristijan Micoski, è riuscito a richiamare solo poche centinaia di anziani sostenitori della destra, ex membri del partito ed esponenti della diaspora macedone, molti dei quali potrebbero aver ricevuto una sorta di gettone per la loro presenza.

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In sostanza, il risultato della votazione era ampiamente prevedibile anche dopo l’incontro tra Zaev e gli esponenti del partito albanese Besa, che aveva garantito il suo appoggio per raggiungere la maggioranza dei 2/3. In cambio, le richieste avanzate dal partito per maggiori garanzie alle minoranze sono state adottate all’interno di una legge sulla lingua albanese che dalla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del 14 gennaio è diventata la seconda lingua ufficiale del Paese.

Alla luce di queste considerazioni, è evidente come la ratifica del nome Repubblica di Macedonia del Nord sia stata resa possibile grazie alle significative concessioni dell’establishment guidato dal SDSM (Unione social-democratica della Macedonia) nei confronti dell’opposizione, ma costituisce al momento il primo passo verso la stabilizzazione dei rapporti con la Grecia che a causa della disputa sul nome ha bloccato l’ingresso di Skopje nella NATO esercitando il veto al Vertice di Bucarest del 2008.

Per Atene è inammissibile riconoscere l’esistenza di uno Stato indipendente che porta il nome della Macedonia greca – la stessa che diede i natali a Filippo il Macedone e al figlio Alessandro Magno – perché questo implicherebbe mire irredentistiche e pretese territoriali, storiche e culturali nei confronti dell’omonima storica regione greca. Per questo motivo, a seguito delle risoluzioni 817 e 845/1993 la Repubblica di Macedonia divenne membro delle Nazioni Unite con il nome “provvisorio” di FYROM (Repubblica ex Yugoslava di Macedonia).

 

L’Accordo di Prespa tra simbologia storica e aspirazioni euroatlantiche

Quando all’inizio degli anni Novanta il primo Presidente macedone Kiro Gligorov, definì “ridicola” la denominazione di FYROM e ritenne che “entro un paio di mesi sarebbe stata scartata”, difficilmente poteva immaginare quanto tempo ci sarebbe voluto e quali tempeste politiche nei Balcani e nel suo Paese avrebbero provocato i tentativi della Macedonia di scrollarsi di dosso questo nome grottesco.

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La denominazione Repubblica di Macedonia del Nord rappresenta dunque il compromesso raggiunto dai premier Zaev e Tsipras, a seguito di una serie di negoziati tortuosi e di una significativa resistenza interna in entrambi i Paesi – manifestatasi principalmente a livello politico – e sigillato, il 17 giugno 2018, con la firma di un accordo presso il villaggio di Psarades (in macedone Nivici), sulle rive del lago di Prespa.

La scelta stessa della località deputata a sancire l’accordo riveste un significato simbolico per via dei tradizionali legami con un passato storico piuttosto aggrovigliato. Il lago di Prespa è disposto oggi tra i confini di tre Paesi – Macedonia, Albania e Grecia – e nonostante la splendida natura, la cooperazione tra gli Stati in questa regione e il turismo sono quasi inesistenti.

La popolazione dei villaggi greci situati lungo il lago, è bilingue e riesce a comunicare con la stessa facilità sia con i turisti greci sia con quelli provenienti da Macedonia e Bulgaria. A circa 3 km dal luogo della firma è inoltre situato l’isololotto di S. Achille, che all’interno dei resti di una grande basilica custodisce la tomba dello zar Samuele, divenuto negli ultimi anni il centro di un acceso dibattito politico tra Skopje e Sofia che vi hanno innalzato statue celebrative del regnante per rivendicarne le origini.

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Per ironia della sorte, i resti dello zar vissuto poco più di un millennio fa sono invece conservati a Salonicco (capoluogo dell’odierna Macedonia greca) e anche questa circostanza si è trasformata in un’occasione per polemiche politiche e scaramucce.

Alla luce di questo intricato passato storico ancora oggi foriero di tensioni e di una querelle sul nome che dura dal 1991, la conclusione dell’accordo di Prespa mostra la reale volontà politica di Atene e Skopje di cambiare il corso delle relazioni bilaterali tra i due Paesi e di spianare alla Macedonia la strada all’euroatlantismo.

Questo sentimento è stato in parte espresso anche dal referendum consultativo del 30 settembre 2018, in cui oltre il 92% dei macedoni che hanno votato era favorevole alla modifica del nome della Macedonia e all’adesione alla NATO e all’UE. In questo senso, le accuse sul fallimento della consultazione popolare a causa della scarna affluenza alle urne possono essere contestate in base a due ragioni. Da un lato infatti, un ruolo decisivo per la riduzione dell’affluenza è stato giocato dalla virulenta campagna di boicottaggio organizzata dall’ex ala radicale del VMRO-DPMNE, che aveva posto come condizione per appoggiare il governo, il raggiungimento del 50% degli aventi diritto al voto.

Dall’altro, il dato del 37% registrato è fuorviante tenuto conto che sono state utilizzate liste elettorali del tutto obsolete. Sostenere che gli aventi diritto al voto siano 1,8 milioni di macedoni su un totale di circa 2 milioni di abitanti sembra un dato inverosimile se non addirittura assurdo, che probabilmente considera deliberatamente nel computo decine di migliaia di deceduti per innalzare la soglia minima.

 

Cosa comporta la ratifica dell’accordo

Sul piano politico interno, la ratifica dell’accordo di Prespa rappresenta un’indubbia vittoria politica per il Governo Zaev che è riuscito a scongiurare una nuova crisi politica costringendo il Paese ad elezioni anticipate. Ma in una prospettiva più ampia, questo favorisce in primis la normalizzazione dei rapporti con Atene e fornisce l’occasione per uscire da un certo isolamento geopolitico al quale Skopje era stata relegata dalla retorica nazionalista del governo conservatore VMRO-DPMNE e dalla rivendicazione di un’identità macedone in chiave ellenistica.

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La soluzione della disputa sul nome apre le porte a Skopje verso l’Alleanza atlantica e l’UE, obiettivo che Zaev persegue con forza sin dall’inizio del suo mandato e a cui la Macedonia stessa aspira sin dal 1995 tramite i programmi di Partenariato per la pace e successivamente il Piano di azione per l’adesione (Membership Action Plan).

Per Skopje l’ingresso nella NATO costituirebbe una garanzia per la propria sicurezza tenuto conto che attualmente la Macedonia è circondata da Paesi membri dell’Alleanza. Inoltre, nel quadro del processo di adesione lo Stato dovrà trovare una soluzione al malfunzionamento del Paese inteso come forte instabilità politica, al mancato rispetto dello stato di diritto e della libertà di stampa sperimentando poi i benefici di una democrazia che la Macedonia non conosce da vicino.

Il forte sostegno per l’adesione alla NATO espresso a più riprese dai vertici dell’Alleanza in visita a Skopje (il segretario generale Stoltenberg, il comandante della JTL Force Naples James Fog e il comandante supremo delle Forze Alleate NATO in Europa, generale Curtis l’americano Scaparrotti. nella foto sotto) e da esponenti della politica europea quali Mogherini, Trenta, Merkel – in visita sia a Skopje che ad Atene – e dagli Stati Uniti attraverso il Segretario alla Difesa americana James Mattis, spinge a ritenere che questo eccessivo impulso internazionale abbia influenzato il processo di ratifica spingendo sull’acceleratore per permettere l’avvio dell’adesione.

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L’ingresso della Macedonia è infatti funzionale agli obiettivi strategici dell’Alleanza e, insieme alla recente adesione del Montenegro, il Paese diventa un ulteriore tassello per potenziare il fianco sud della NATO e per ridurre l’influenza russa nella regione. Questo timore è stato espresso in particolare da Mattis durante la sua visita a Skopje dove ha appoggiato l’accordo greco-macedone e sottolineato il ruolo della Macedonia nel processo di stabilizzazione dei Balcani, discorso che conferma sostanzialmente l’impegno americano in quella regione veicolato attraverso la NATO.

La cooperazione tra Washington e Skopje risale all’inizio degli anni Novanta e si fonda sull’Accordo di partenariato Strategico che negli anni ha dato una forte spinta al processo di riforma delle Forze armate macedoni teso a raggiugere gli standard della difesa e della sicurezza NATO.

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Naturalmente, il progresso raggiunto è il risultato della stagnazione delle riforme dal vertice di Bucarest del 2008 e delle scelte politiche del VMRO-DPMNE che ha preferito allocare ingenti budget da investire nella difesa e nell’ammodernamento degli equipaggiamenti, in un costoso progetto culturale denominato “Skopje 2014”, che ha trasformato il centro della capitale in un nostalgico e surrealistico parco architettonico-monumentale dove svettano, tra le altre, le colossali statue dei re macedoni Filippo e Alessandro per rivendicare un’identità macedone che affonda le proprie radici nell’epoca ellenistica.

In occasione delle visite di Foggo e Scaparrotti, Zaev ha colto l’occasione per ribadire la prontezza della Macedonia a entrare nella NATO mostrando una maggiore vicinanza e volontà di cooperare con l’Alleanza con la concessione della sua base militare di Krivolak, situata a Nord-Est della Macedonia, per attività addestrative NATO. Si tratta della stessa base che nel 1998 il presidente Gligorov rifiutò di concedere alla NATO che l’avrebbe utilizzata come base di partenza per gli strike aerei in un eventuale intervento in Kosovo.

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Questa concessione è quindi indicativa del cambio di orientamento del governo macedone che registra un graduale distaccamento dall’orbita serba per allinearsi su posizioni americane e atlantiche confermate banalmente dal recente sostegno della Macedonia all’ingresso del Kosovo nell’UNESCO. La concessione di Krivolak che veniva utilizzata dalle Forze Armate jugoslave per esercitazioni di assalto aereo e con l’uso di armi a calibro elevato, rafforza ulteriormente la partenrship strategica tra Washington e Skopje tenuto conto che è proprio l’Esercito americano a testare per primo l’utilizzo dell’area addestrativa.

Dopo la dissoluzione della Jugoslavia questa enorme area era parzialemente degradata perché le attività dell’esercito macedone sono limitatee non prichiedono di usarlo al massimo delle sue capacità. Tra il 1 e il 20 agosto 2018 un contingente di circa 200 militari americani appartenenti a KFOR ha quindi svolto con successo le prime esercitazioni di artiglieria aerea e terrestre per valutare le capacità dell’area addestiva ad ospitare future esercitazioni dei Paesi Membri NATO.

A pieno regime la base di Krivolak sarà in grado di ospitare un’intera brigata meccanizzata di qualche migliaio di uomini, oltre a disporre di una posizione strategica che in caso di emergenza permetterebbe alle truppe dell’Alleanza di raggiungere le loro postazioni in Kosovo in sole tre ore. Per il 2019 è dunque già pianificata l’esercitazione “Decisive Strike Drill 2019” che coinvolgerà oltre 1000 uomini dell’esercito americano e di quello macedone, che recentemente è stato certificato dal 7° Comando di addestramento militare americano acquisendo la capacità per ospitare e guidare ulteriori esercitazoni.

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Il prossimo ingresso della Macedonia nella NATO rappresenta un nuovo colpo anche peril tentativo russo di mantenere la sua influenza in una regione dove tradizionalmente la Serbia e la Grecia sono i suoi principali alleati. Le relazioni tra Mosca e Atene hanno subito un brusco deterioramento a seguito dell’espulsione di 2 diplomatici russi accusati di ingerenza nella politica nazionale e del recente riconoscimento dell’indipendenza della Chiesa ortodossa ucraina da parte del patriarca di Costantinopoli.

La conclusione dell’accordo tra Tsipras e Zaev che l’affaire diplomatique voleva far fallire potrebbe però definitivamente minare le relazioni russo-greche. Il nulla osta per la Macedonia del Nord nella NATO significa infatti un ulteriore allargamento dell’Alleanza ad Est che Mosca considera una minaccia alla sua sicurezza. Per questo, la ratifica dell’accordo è stata definita incostituzionale da Mosca che ha accusato la NATO, proprio come fece per il Montenegro, di aver trascinato la Macedonia nell’Alleanza contro il volere del popolo.

Simili accuse sono ad ogni modo in linea con i tentativi di far fallire la consultazione popolare in Macedonia attraverso un intervento indiretto che può essere riscontrato nel sostegno ai partiti della destra radicale e dell’opposizione macedone contrari all’ingresso della Paese nella NATO e nell’UE.

epa06114490 A convoy of vehicles with US soldiers enters Macedonia from Bulgaria at the border crossing near the town of Kriva Palanka, The Former Yugoslav Republic of Macedonia on 28 July 2017. Some 300 US soldiers, accompanied by 95 Macedonian soldiers will participate in a joint exercise at the largest Macedonian military base and training area in Krivolak in east-central Macedonia. EPA/GEORGI LICOVSKI

A questo proposito, al centro della campagna “Boicotto” nata per minare il referendum c’era proprio il partito Macedonia Unita (Edinstvena Makedonja) nato da ex membri e sostenitori del VMRO-DPMNE che proclama apertamente l’ideologia eurasiatica e che per giunta ha un logo sorprendentemente simile a quello del partito di governo della Federazione russa, Russia Unita (Edinsvennaya Rossiya). Non stupisce dunque che la formazione politica predichi la cessazione delle aspirazioni euroatlantiche e l’adesione all’Unione Eurasiatica.

La Macedonia rispetto ad altri Paesi slavi balcanici (ortodossi) non fa parte degli interessi strategici della Russia. Al di là della diffusione di un pensiero panslavista manifestato in diversi modi, le relazioni con la Russia hanno avuto un impatto piuttosto debole sulla società macedone nella sfera politica, sociale ed economica.

La strategia di Mosca in questo senso è piuttosto rivolta a destabilizzare la regione cercando di frenare l’allargamento della NATO. Non a caso a seguito della grave crisi politica e della caduta del governo Gruevski, la Russia ha accusato l’Occidente di aver causato la crisi che ha causato la fuga dell’ex primo ministro in Ungheria dove ha ottenuto asilo politico. L’ultimo baluardo russo nella regione resta pertanto la Serbia di Vucic che il 17 gennaio riceverà in visita Putin per sottoscrivere una serie di accordi di cooperazione riaffermando il sostegno di Mosca all’integrità territoriale della Serbia.

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Alla luce di queste considerazioni e in attesa che l’esecutivo greco si pronunci sull’accordo di Prespa, l’ingresso della Macedonia nella NATO sembra essere stato già preannunciato lo scorso luglio quando al vertice di Bruxelles Stoltenberg ha ufficialmente invitato Zaev ad avviare il processo di adesione.

La strada verso l’UE sarà invece più tortuosa e lunga non solo a causa delle necessarie riforme che il Paese dovrà porre in essere ma anche perché la Bulgaria potrebbe ostacolare il suo ingresso qualora i Paesi non trovassero un compromesso sul riconoscimento di una storia comune fino al 1945 e sulla questione della lingua macedone, che la Bulgaria non riconosce. Recentemente il Ministro della Difesa Karakachanov ha infatti definito il macedone un dialetto bulgaro che non potrà essere riconosciuto alla stregua delle altre lingue ufficiali dell’Unione. Giova comunque ricordare che la Bulgaria del governo Filipov (1991-1992) fu il primo Paese a riconoscere la Macedonia con il suo nome costituzionale, per permettere non solo a Sofia ma anche a Skopje di intraprendere un comune percorso euroatlantico.

Foto: Anna Miykova, NATO, Us Army, news.am, Republkika.mk, EPA, RTE, MIA e Tirana Echo

 

Nata a Kazanlak (Bulgaria), si è laureata con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Gorizia. Ha frequentato il Master in Peacekeeping and Security Studies a Roma Tre e ha conseguito il titolo di Consigliere qualificato per il diritto internazionale umanitario. Ha fatto parte del direttivo del Club Atlantico Giovanile del Friuli VG e nel 2013 è stata in Libano come giornalista embedded. Si occupa di analisi geopolitica e strategica dei Paesi della regione del "Grande Mar Nero" e dell'Europa Orientale e ha trattato gli aspetti politico-giuridici delle minoranze etniche e dei partiti etnici.

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