La realtà islamica tra calcio e petrodollari

da Il Mattino del 4 gennaio

L’Arabia Saudita è uno dei paesi musulmani più chiusi a diritti e libertà condividendo con altri stati quali Iran e Afghanistan un’interpretazione rigida dell’Islam.

Eppure negli ultimi tempi Riad ha dato segnali senza precedenti di modernizzazione e aperture sociali con il programma imposto dal principe Mohammed bin Salman (MbS), duramente criticato in Occidente per l’omicidio, in Turchia, di Jamal Khashoggi.

La “querelle” esplosa intorno alla finale di Supercoppa in programma il 16 gennaio a Gedda, colpisce paradossalmente l’unico leader saudita che ceca di portare il regno sui binari del progresso sociale.

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Fautore di un Islam tollerante e nemico acerrimo delle fazioni estremiste (dai wahabiti da sempre strettamente legati alla monarchia di Riad ai Fratelli Musulmani) bin Salman ha concesso nell’ultimo anno le prime aperture alle donne saudite.

Da giugno le ha autorizzate a guidare veicoli e a non vestire esclusivamente la nera tunica “abaya” e da gennaio ad assistere a spettacoli ed eventi sportivi, anche da sole benchè in aree a loro riservate in teatri e stadi.

Se si tiene conto che la partita di Supercoppa si tiene a Gedda, una delle città più “chiuse” alle contaminazioni esterne all’Islam, la vera notizia non è che al King Abdullah Sports City Stadium vi siano settori (quelli a bordo campo) riservati solo agli uomini ma che ve ne siano altri per le famiglie e, accanto a questi ultimi, per donne che arriveranno guidando l’auto allo stadio e assisteranno da sole alla partita.

Una vera “rivoluzione” in una città dove persino gli aerei in sosta per fare rifornimento vengono perquisiti dalla “polizia morale” alla ricerca di alcool e “materiale pornografico”, categoria in cui da quelle parti rientrano abbondantemente le riviste di moda e i magazine di gossip pubblicati in Occidente.

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Alleato di ferro di Donald Trump, il principe MbS ha permesso l’apertura di cinema e teatri, ha annunciato visti turistici per le donne straniere che viaggiano da sole e punta a rinnovare la stagione di riforme sociali inaugurata negli anni ’60 da re Feisal, che concesse alle donne il diritto all’istruzione.

Un’epoca cui fece seguito un lungo oscurantismo “suggerito” dal clero wahabita e non dissimile da quanto attuato nell’Iran scita dal regime degli ayatollah.

Bin Salman ha parlato esplicitamente di riportare il paese verso “un Islam moderato aperto al mondo e a tutte le religioni” in cui “la nostra religione si traduca in tolleranza”.

Certo a Riad resta molto da fare per l’affermazione dei diritti umani e della parità di genere, come in quasi tutto il mondo islamico: nessuno però ha mai sospeso per questo la partecipazione a manifestazioni sportive benchè negli Emirati Arabi Uniti stia per iniziare la 17a edizione della Coppa d’Asia e nel 2022 il Qatar ospiterà i campionati mondiali di calcio.

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Nella classifica delle pari opportunità del World Economic Forum l’Arabia Saudita è 138a su 144: le donne non possono viaggiare da sole oltre i confini nazionali senza il permesso di padre o marito né vestirsi come meglio credono mentre uomini e donne non possono frequentare insieme luoghi pubblici.

Le sempre più frequenti ribellioni e proteste attuate da giovani donne vengono perseguite col carcere duro e persino con torture secondo Amnesty International e Human Rights Watch.

Elementi che potrebbero giustificare condanne a Riad in ambiti ben più estesi di quello calcistico, cosa che però non avviene. Grazie al peso dei miliardi di petrodollari investiti in tutto il mondo, la monarchia saudita evita condanne e sanzioni internazionali ed esercita pressioni su aziende e governi.

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Nel 2016 persino l’Onu, nell’imbarazzo del segretario generale Ban ki-moon, rinunciò a condannare i sauditi per le vittime civili provocate in Yemen quando Riad minacciò di bloccare i fondi al Palazzo di Vetro.

Nell’agosto scorso, dopo le critiche espresse dal governo di Ottawa per la feroce repressione del dissenso a Riad, la monarchia saudita ha chiuso i rapporti diplomatici e per rappresaglia ha congelato gli investimenti in Canada.

Infine, due giorni or sono, la tv statunitense Netflix ha rimosso dal palinsesto saudita un episodio della trasmissione satirica “Patriot Act with Hasan Minhaj” il cui il conduttore (indiano islamico) ironizza sulle responsabilità di Riad per l’omicidio Khashoggi e critica l’intervento in Yemen.

@GianandreaGaian

Foto AFP, Reuters e Regno Saudita

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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