Nuove tensioni italo-maltesi a margine del caso Sea Watch
Roma e Valletta tornano a scambiarsi accuse per la gestione dei salvataggi dei migranti come fanno da anni, secondo un copione consolidato di cui, chi scrive, ha già riferio su queste pagine.
Il caso è ora quello delle due navi, “Sea Watch 3” di bandiera olandese della Ong Sea Watch e “Prof Albrecht Penek” di bandiera tedesca della Ong Sea Eye, che avevano posto in salvo migranti in difficoltà (non è ben chiaro come sia stata conosciuta la loro posizione) vicino alla Libia, rispettivamente, il 22 ed il 29 dicembre: da qualche giorno Malta le ha fatte mettere a ridosso nelle sue acque territoriali ma non consente lo sbarco dei 49 migranti salvati.
Il vicepremier Di Maio, intenzionato a trovare una soluzione, ha detto che “ …. L’Ue nasconde la testa sotto la sabbia, Malta finge di non vedere e allora, difronte a questo disimpegno ignobile, noi diciamo come Italia che siamo disponibili ad accogliere donne e bambini”.
Non si vuole entrare qui nel merito di questa proposta subito contestata dall’altrp vicepremier, Matteo Salvini, che ha ribadito la chiusura dei porti italiani. Interessa invece evidenziare come, di fronte a dichiarazioni pubbliche di singoli membri del nostro Governo, Malta abbia invece risposto con uno “Statement of the Government of Malta” rilasciata dal Ministro dell’Interno Farrugia, del seguente tenore:
Il Governo di Malta afferma che la Sea Watch 3 ha condotto il salvataggio in un luogo al di fuori della SAR maltese…più vicino all’Italia che a Malta; quando l’ Ong ha chiesto all’Italia di far sbarcare le persone in un suo porto ha ottenuto un rifiuto: per questo motivo ha dovuto allontanarsi dal punto di soccorso chiedendo rifugio nelle acque territoriali maltesi.
L’Italia ha chiuso i porti in tutti i casi in cui, secondo il diritto internazionale, è obbligata a far sbarcare le persone salvate. Il Governo di Malta invita il Vicepremier italiano a verificare i fatti prima di rilasciare simili dichiarazioni astenendosi dal farlo in futuro.
Dunque Malta ha assunto una ben precisa posizione ufficiale addebitandoci, sia pur con la formula inusuale (ma efficace) di un twitter del Ministro Farrugia, omissioni e violazioni del diritto internazionali. Non risulta che il nostro Governo abbia ancora risposto in modo formale a tale decisa presa di posizione, basata su una consolidata posizione maltese.
Probabilmente ci sono però parecchie note diplomatiche di protesta scambiate negli anni tra Roma e Valletta sul problema del luogo dove sbarcare i migranti salvati che fanno stato dei differenti punti di vista.
Come noto, Malta non accetta il principio, codificato nel 2004 nell’ambito della Convenzione Solas (1974) e della Convenzione di Amburgo (1979), secondo cui il posto sicuro (place of safety) in cui sbarcare i migranti va individuato tra i porti del paese che è titolare della zona Sar in cui si svolge il soccorso.
A parere di Malta la nozione di POS (luogo dove termina il soccorso e dove i migranti possono ricevere tutela dei propri diritti umani ed assistenza) dovrebbe invece essere interpretata nel senso che lo sbarco può avvenire nel porto più vicino al luogo di soccorso, a prescindere dal fatto che esso appartenga o meno allo Stato responsabile del Sar. A questa stregua, per i soccorsi vicino alla Libia, lo sbarco dovrebbe avvenire in Tunisia o a Lampedusa, stante l’impossibilità di considerare la Libia un luogo in cui i diritti umani dei migranti sbarcati possano essere tutelati.
Malta sostiene infine che i migranti non vadano fatti sbarcare in un porto qualsiasi ma si debba tener conto della volontà di raggiungere una destinazione finale di loro scelta.
Altra differenza, rispetto a noi italiani, sta nelle condizioni che rendono obbligatorio il soccorso: per Valletta dev’esserci una richiesta di soccorso (distress call) avanzata da chi è in imminente pericolo; per noi basta l’esistenza di un possibile pericolo (evidenziato da vari fattori come precaria galleggiabilità del mezzo o presenza di persone che necessitano di assistenza medica) che consiglia, in via precauzionale, l’intervento del soccorritore.
Ritorna alla mente il recentissimo “caso Diciotti” verificatosi lo scorso agosto che ha visto il Ministro Salvini sul banco degli accusati per non aver consentito, per giorni, lo sbarco delle persone a bordo del Pattugliatore della Guardia Costiera ormeggiato a Catania.
Ebbene, non è senza significato che il Tribunale dei Ministri di Palermo nel trasferire a Catania la competenza a decidere del procedimento penale per “sequestro di persona” a carico del ministro Salvini, abbia affermato che “Dalle prove acquisite risulta chiaro che il comportamento illecito e gravemente irresponsabile dell’autorità maltese non è dipeso da motivi tecnici o da impossibilità oggettive di operare, ma dall’intenzionale proposito di spingere forzosamente il barcone nelle acque italiane per scaricare sullo Stato italiano la responsabilità primaria dell’evento“.
E, stranamente, qualcosa di simile potrebbe intuirsi, a parere di chi scrive, nell’attuale episodio della Sea Watch/Sea Eye: le due imbarcazioni sono sì ridossate in prossimità di Malta, ma non hanno emanato una distress call, limitandosi soltanto a chiedere l’ingresso in porto o la concessione di supporto logistico.
Malta ha mille ragioni per non accogliere sul suo piccolo territorio persone destinate a restarci. Questo si sa bene ed anche per questo sono stati molto apprezzati gli interventi di soccorso messi in atto dalle Forze Armate Maltesi che a dicembre hanno consentito il salvataggio di circa 200 persone.
Non è tuttavia accettabile che si cerchi di scaricare sull’Italia responsabilità che non ha, interpretando strumentalmente le norme.
Troppe volte abbiamo assistito a simili polemiche negli ultimi vent’anni da quando si è aperta la rotta tra la Libia e l’Italia e troppe volte le abbiamo considerate, con benevolenza, come forme di intransigenza di un vicino, piccolo ma agguerrito, convinto della giustezza delle sue posizioni. La nostra paziente disponibilità al dialogo non ha portato ad un reale superamento dei punti di disaccordo. Ma proprio qui sta il punto.
Oramai, dopo decenni di trattative, si è ampiamente superato il ragionevole periodo di negoziazione che le norme internazionali prevedono per addivenire ad un accordo. Non è pensabile che Malta d’improvviso si mostri disponibile a recedere dalle sue posizioni, magari definendo con noi i confini della sua sproporzionata zona Sar che si sovrappone a Lempedusa.
Però si può sperare, come ultima ratio, che si addivenga ad un Accordo a non essere d’accordo, strumento che il diritto internazionale prevede in casi di insanabili contrasti, che aiuterebbe le Parti a capire quali sono, nel Sar, i reali temi di disaccordo e consentire, “in uno spirito di comprensione e cooperazione”, di superarle.
Al di là di contingenti schermaglie legate a episodi di grandissimo rilievo mediatico ed umanitario, questo dovrebbe essere l’obiettivo che le diplomazie dei due Paesi dovrebbero perseguire a livello bilaterale, senza peraltro sperare in un coinvolgimento di una Ue che è priva di competenze in materia.
A meno che non si preferisca continuare nell’attuale situazione di confusione ed incertezza che fa il gioco di chi aspira a trarne vantaggio da vari punti di vista. Non senza dimenticare che le questioni del salvataggio dei migranti rischiano di ritardare il processo di pacificazione della Libia, di continuo presentata come Paese inaffidabile ed insicuro, anche nello svolgimento delle sue funzioni Sar.
Esse potrebbero anche condizionare il prosieguo di Eunavformed Sophia, missione di security marittima con secondari compiti Sar, che sinora l’Italia ha ospitato e che qualche altro Paese potrebbe essere interessato a condurre al termine dei tre mesi di proroga, accordati dall’Ue in attesa che si definisca una soluzione diversa dal semplice sbarco in Italia delle persone salvate dalle Unità partecipanti all’operazione.
Foto Ministero dell’Interno, Guardia Costiera, UNHCR, Ansa, Sea Eye e Sea Watch
Fabio CaffioVedi tutti gli articoli
Ammiraglio in congedo, docente a contratto di "Introduzione geopolitica e diritto internazionale del mare" presso l'Università di Bari. E' autore del "Glossario di Diritto del Mare", RM, 2020 disponibile in https://www.marina.difesa.it/media-cultura/editoria/marivista/Documents/supplementi/Glossario_di_diritto_del_mare_2020.pdf