Trump lascia 400 militari in Siria ma vuole anche truppe europee

Nuova capriola dell’Amministrazione di Donald Trump sul tema caldo del ritiro dei 2mila militari Usa schierati in Siria che divide Washington dagli alleati Nato e la Casa Bianca dal Pentagono.

Trump ha infatti deciso di lasciare circa 400 militari americani in Siria a tempo indefinito, come ha detto il 23 febbraio un funzionario della Casa Bianca precisando che di questi militari, 200 saranno “peacekeeper” nel nord della Siria dove dovrebbero con la loro presenza offrire garanzie ai curdi contro il rischio di offensive turche.

Forze soeciali USA nord Siria AFP

Altri 200 saranno dislocati nella base Usa di al-Tanf, vicino al confine siriano con la Giordania e l’Iraq. Una posizione strategica lungo la strada che unisce Baghdad a Damasco presidiata da miliziani siriani addestrati dagli USA in Giordania. Il controllo di al-Tanf consentirà agli USA di monitorare i movimenti delle milizie filo iraniane e di impedire la completa continuità geografica alla cosiddetta “mezzaluna scita” che si estende dall’Iran al Libano del Sud attraverso Iraq e Siria.

In precedenza la portavoce di Trump, Sarah Sanders, in una nota aveva detto che sarebbero rimasti solo 200 “peacekeeper” in Siria dopo il ritiro del grosso delle forze Usa.

Trova quindi almeno parziale conferma lo scetticismo con cui Mosca aveva accolto l’annuncio di Trump circa il ritiro delle forze statunitensi dai territori orientali siriani dopo la sconfitta dello Stato Islamico.

Per compensare la riduzione delle forze USA, Trump sta cercando di convincere Francia, Germania e Gran Bretagna a rafforzare i contingenti che al momento affiancano gli statunitensi in appoggio alle milizie curde e arabe delle Forze Democratiche Siriane.

Foreign fighters who joined the Kurdish People's Protection Units (YPG) aim their weapons during what the YPG said was an offensive against them by Islamic State fighters, in the western countryside of Ras al-Ain March 10, 2015. REUTERS/Rodi Said

Una delle principali richieste fatte dall’ amministrazione Trump agli alleati europei, compresa la Germania che non ha truppe in Siria, è quella di formare una forza di monitoraggio per pattugliare una zona di sicurezza lungo il confine turco-siriano e profonda una trentina di chilometri all’interno del territorio siriano.

Secondo indiscrezioni raccolte dal Washington Post – basate su fonti governative statunitensi e di altri paesi – Londra e Parigi non avrebbero alcuna intenzione di sostituire con proprie truppe i soldati americani e hanno respinto la richiesta di Trump.

Il giornale afferma che il ministro degli esteri francese, Jean-Yves Le Drian ha detto di esser “stato disorientato” dalla politica di Trump. Mentre il suo collega britannico Jeremy Hunt ha dichiarato che “non c’è alcuna prospettiva di forze britanniche che rimpiazzino gli americani in Siria”.

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Più che la questione dell’Isis, il nodo del conflitto latente tra Ankara e i miliziani curdi in Siria sembra essere il motivo all’origine del rifiuto di Parigi e Londra, unici membri della Coalizione a schierare truppe sul terreno in Siria. Lasciare un numero limitato di forze sul campo significa disporre nelle vicinanze di forze aeree in grado di offrire copertura in caso di scontri ed elicotteri per far fronte a un’eventuale necessità di evacuazione rapida dei contingenti.

Inoltre la presenza delle forze della Coalizione in Siria non è suffragata dal diritto internazionale ed è stata sempre bollata come una “violazione della sovranità siriana” dal governo legittimo di Damasco.

Uno sforzo militare e finanziario che potrebbe esporre i franco-britannici a diverse minacce (attacchi dell’Isis, incursioni turche, dei miliziani sciiti filo-iraniani o delle forze governative siriane) che Londra e Parigi non intendono sostenere da sole.

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Nei giorni scorsi, nel mezzo dell’assalto finale all’ultima roccaforte del Califfato nella piana di Baghuz, i leader curdi hanno chiesto ai paesi occidentali di schierare una forza di 1.500 uomini, sia in funzione anti-turca sia per mantenere stabili le aree “liberate” dall’Isis.

Mentre le ultime sacche di resistenza dei miliziani del Califfato continuano a resistere, anche facendosi scudo dei civili, i curdi hanno consegnato alle autorità di Baghdad circa 200 miliziani iracheni dell’Isis, arresi alle FDS nei giorni scorsi insieme a 800 miliziani di “origine europea” che nessun paese del Vecchio Continente ha però intenzione di riportare a casa e processare.

In Iraq i prigionieri dell’Isis verranno condannati a morte e impiccati, inclusi a quanto pare i 14 “foreign fighters” francesi consegnati agli iracheni e che dopo un’intesa tra Parigi e Baghdad subiranno un processo in Iraq.

Non è chiaro quanti siano i combattenti dell’Isis ancora in armi a Baghouz ma l’ultima ridotta del Califfato è circondata su tre lati dalle forze curdo-siriane sostenute dagli Stati Uniti mentre sul lato occidentale, lungo il fiume Eufrate, operano le forze governative siriane appoggiate da consiglieri militari russi.

@GianandreaGaian

da Nuova Bussola Quotidiana

Foto AFP, Reuters e Stato Islamico

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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