Trump: vittoria sull’Isis, in Europa i foreign fighters prigionieri dei curdi
Donald Trump annuncia con un tweet di aver conseguito la “vittoria al 100 per cento” contro lo Stato Islamico in Siria, conferma il rapido ritiro delle truppe Usa dal paese mediorientale e “invita” gli europei ad accogliere e processare gli 800 miliziani jihadisti, “foreign fighters” di nazionalità europea prigionieri delle truppe americane e delle forze curde.
Il presidente Usa ha infatti chiesto “a Gran Bretagna, Francia, Germania e agli altri alleati europei di riprendersi oltre 800 combattenti dell’Isis catturati in Siria e che li processino”:
L’alternativa a non prendersi in carico gli ultimi jihadisti -prosegue Trump su Twitter con una velata minaccia- “non è tanto buona in quanto saremo costretti a rimetterli in libertà. Gli Usa non vogliono vedere che questi miliziani Isis entrino in Europa, dove prevedibilmente cercheranno di andare”
Trump non ha risparmiato la solita predica circa le tante cose importanti che gli USA fanno per noi europei: (Noi americani) facciamo così tanto, e spendiamo così tanto ma ora è arrivato il momento che altri si facciano avanti e facciano quello che sono capaci di fare”.
Parigi ha respinto subito l’appello. “C’è un nuovo contesto geopolitico con il ritiro degli Stati Uniti” dalla Siria, ha spiegato il ministro della Giustizia francese, Nicole Belloubet, parlando all’ emittente France 2. “Per ora non cambieremo la nostra politica”. Il governo francese ha sempre rifiutato di rimpatriare i ‘ foreign fighters’ e le loro mogli.
Il ministro degli Esteri di Pargi, Jean-Yves Le Drian, li ha definiti “nemici” della nazione, che devono essere processati o in Siria o in Iraq. Secondo fonti diplomatiche e militari, le Forze democratiche siriane guidate dai combattenti curdi detengono 150 cittadini francesi, di cui 50 adulti, nel nord-est della Siria.
Parigi sta già provando a rimpatriare i minori, valutando caso per caso. Anche la Germania non sembra dell’idea di raccogliere l’invito di Trump. Il ministro degli Esteri, Heiko Maas, ha ammesso che il rimpatrio è “estremamente difficile” perchè servono le garanzie che queste persone “vengano inviate immediatamente in tribunale e che saranno arrestate”.
“Abbiamo bisogno di informazioni giudiziarie, e questo non è il caso”; e dunque in queste condizioni un rimpatrio sarebbe “estremamente difficile”. Maas ha aggiunto che Berlino vuole “consultarsi con Francia e Gran Bretagna su come procedere”.
Nessuno nel Vecchio Continente sembra entusiasta di riportare a casa i propri foreign fighters e altri prigionieri dello Stato Islamico: soggetti pericolosi che vanno processati e molto probabilmente condannati ma a un numero di anni carcere tutto sommato limitato, a seconda dei sistemi giudiziari dei singoli Stati.
Non è un mistero che in Francia stanno tornando in libertà jihadisti condannati non molti anni fa per terrorismo e fiancheggiamento del terrorismo.
Nel dicembre 2017 il ministro della Difesa britannico Gavin Williamson (nella foto sotto) disse senza peli sulla lingua che “i combattenti dell’Isis di nazionalità britannica vanno individuati ed uccisi: non deve essere consentito loro di tornare in Patria.
Penso che un terrorista morto non possa arrecare alcun danno alla Gran Bretagna. Dovremmo fare il possibile per distruggere ed eliminare quella minaccia. “Dobbiamo continuare a dar loro la caccia far sì che non esista per loro alcun porto sicuro, che non possano andare in altri Paesi a predicare il loro odio, a predicare il loro culto della morte”.
L’Unione Europea ha finora detto più volte di voler “recuperare alla società” i foreign fighters, come ha sottolineato anche il coordinatore Ue per l’antiterrorismo Gilles De Kerchove, ma sarà curioso vedere quali reazioni politiche determinerà l’iniziativa di Trump. Di certo le truppe statunitensi non elimineranno i prigionieri e i curdi hanno già fatto sapere che non intendono mantenere a vita questi miliziani.
La polemica sui prigionieri si aggiunge a quella sul ritiro delle truppe Usa dalla Siria, giudicato troppo frettoloso da molti generali al Pentagono.
“Il Califfato è prossimo a cadere e i soldati americani si apprestano a ritirarsi dalla Siria dopo una vittoria al 100 per cento sul Califfato” ha detto Trump dopo la battaglia nell’ultima roccaforte dell’Isis in Siria, a Baghouz.
Jospeh Votel, il generale alla guida del Comando centrale Usa (Centcom), responsabile delle forze della Coalizione che combatte lo Stato Islamico, si è dichiarato apertamente in disaccordo con la decisione del presidente mentre nelle scorse settimane, aveva stimato in 20.000-30.000 i combattenti dell’Isis ancora presenti tra Siria e Iraq.
In un’intervista alla Cnn, Votel ha sottolineato che l’Iran è la maggiore minaccia per la pace in Medio Oriente mentre “eliminare il Califfato non è abbastanza per la sconfitta dell’Isis. Non avrei suggerito al presidente il ritiro” ha detto Votel.
A Baghouz continuano intanto a resistere agli attacchi i circa 300 miliziani dell’Isis che rifiutano di arrendersi alle forze curdo-siriane appoggiate dagli Usa. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), i jihadisti sono nascosti in tunnel sotterranei o asserragliati in alcuni edifici diroccati.
Fonti militari della Coalizione hanno riferito che oltre mille jihadisti dell’Isis sono fuggiti dagli ultimi bastioni in Siria verso l’Iraq occidentale negli ultimi sei mesi, e potrebbero avere fino a 200 milioni di dollari in contanti. Lo riferiscono fonti militari Usa alla Cnn, precisando che tra questi ci sono anche molti elementi di al-Qaeda.
Trump, come ieri Barack Obama col ritiro da Iraq e Afghanistan o Richard Nixon dal Vietnam, ha oggi bisogno di riportare a casa i militari da Siria e Afghanistan per incassare consensi nella campagna elettorale per conquistare il suo secondo mandato alla Casa Bianca: la politica interna e il voto degli americani hanno ancora una volta la priorità sulle esigenze di politica estera e di Difesa.
Di certo le iniziative di Washington hanno dato il destro al presidente siriano Bashar Assad per avvertire le fazioni che “scommettono” sugli Stati Uniti che Washington non le proteggerà più.
Un riferimento, neppure tanto velato, ai curdi delle Forze Democratiche Siriane (formate dalle Unità di Protezione del popolo curdo (YPG) a cui si aggiungono milizie arabe), principali alleati degli Usa nella lotta all’ Isis in Siria (e prima in Iraq) che potrebbero subire un duro contraccolpo dal ritiro dei soldati statunitensi.
“A questi gruppi che scommettono sugli americani diciamo che non vi proteggeranno più” – ha detto Assad in una dichiarazione trasmessa sulla tv pubblica. “Gli americani non vi metteranno nel loro cuore o tra le loro braccia. Vi metteranno in una tasca per essere uno strumento di scambio”.
Le forze curde oggi controllano circa il 30 per cento del territorio siriano, ben oltre la regione abitata in maggioranza da curdi) ma dopo il ritiro degli USA dovranno fare i conti con la pretesa di Damasco di riassumere il controllo degli ampi territori orientali ricchi di gas e petrolio, oltre che con le minacce provenienti dalla Turchia. Con la mediazione di Mosca i curdi hanno già avviato un riavvicinamento con Damasco e stanno cercando di negoziare una soluzione politica per preservare la loro semi-autonomia
.Foto: Pars, Reuters e Stato Islamico
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.