Guerra limitata tra India e Pakistan
da Il Mattino del 28 febbraio 2019
Attacchi aerei, duelli tra caccia e scaramucce con scambi di fuoco d’artiglieria lungo la linea che separa il Kashmir indiano da quello controllato dai pakistani: un livello di conflittualità che non si registrava dagli scontri del 1999 o addirittura dalla guerra del 1971.
La pesante incursione aerea condotta martedì mattina da uno squadrone di 12 cacciabombardieri Mirage 2000 indiani contro quelli che Nuova Delhi ha definito “accampamenti di estremisti islamici” nella zona di Balakot, nella provincia del Khyber Pakhtunkhwa (Kashmir pakistano), hanno costituito la risposta all’attacco terroristico suicida effettuato il 14 febbraio a Pulwama, nella regione del Kashmir controllata dall’india e che ha provocato la morte di 44 poliziotti.
Il governo pakistano ha negato ogni responsabilità per la “strage di San Valentino” e l’India ha atteso ben dodici giorni prima di individuare, grazie all’intelligence, l’obiettivo della rappresaglia: un resort 60 chilometri oltre il confine trasformato in base paramilitare dai miliziani del gruppo islamico Jaish-e-Mohammad (JeM, l’Esercito di Maometto) che combatte l’occupazione indiana della regione abitata da musulmani e aveva rivendicato l’attentato di Pulwama.
Il raid dei Mirage, che sembra aver colto di sorpresa le difese aeree pakistane, secondo fonti di Delhi avrebbe provocato la morte di 325 miliziani e 25 consiglieri militari pakistani mentre Islamabad nega sia stato colpito un obiettivo militare e lamenta invece l’uccisione di 4 civili.
Altre vittime civili si sarebbero registrate negli scontri di frontiera scoppiati in una dozzina di località lungo la linea che separa i due eserciti, da sempre “calda” e periodicamente teatro di scaramucce e scambi d’artiglieria.
Se il governo nazionalista indiano di Narendra Modi non poteva lasciare impunita la strage terroristica dei suoi poliziotti, neppure l’esecutivo pakistano di Imran Khan poteva non rispondere alla pesante incursione aerea indiana, sollecitato probabilmente dalle pressioni dell’apparato militare che nel paese islamico ha un’influenza rilevante sulla politica.
Tre caccia pakistani JF-17 sono penetrati brevemente nello spazio aereo indiano, probabilmente per attirare in una trappola gli intercettori indiani subito sopraggiunti, due Mig 21 Bison (un modello di velivolo che l’India ritirerà dal servizio attivo quest’anno per obsolescenza) che sono stati abbattuti lungo il confine dai jet pakistani con la cattura di un pilota mentre la folla esultava intorno ai relitti.
Difficile tracciare un bilancio di questi scontri militari (l’India sostiene di aver abbattuto un caccia F-16 pakistano) che infiammano nuovamente il Kashmir dopo i combattimenti su vasta scala del 1999 quando miliziani locali affiancati da truppe pakistane tentarono inutilmente di strappare all’India la regione di Kargil.
Possibile che i contendenti abbiano ottenuto entrambi successi sufficienti a salvare la faccia ed evitare l’allargamento degli scontri: l’India ha punito i terroristi che avevano fatto strage dei suoi poliziotti e il Pakistan ha lavato l’onda del raid sul suo territorio abbattendo due aerei indiani.
Del resto entrambi i governi hanno annunciato di voler evitare una nuova guerra e la ragione è stata ben illustrata dal premier Imran Khan. “Il buon senso dovrebbe prevalere, la guerra non è nell’interesse di nessuno. Le armi ce le abbiamo noi e ce le hanno loro, possiamo permetterci un errore di calcolo? Se comincia l’escalation dove andremo a finire?”
Un chiaro riferimento agli arsenali nucleari delle due potenze asiatiche, valutati in circa 150 ordigni indiani e 1\40 pakistani impiegabili sia da aerei che con testate applicate ai missili balistici. Arsenali la cui costituzione ha di fatto impedito nuove guerre tra le due potenze asiatiche replicando su scala ridotta quel contesto di deterrenza che ha scongiurato il rischio che la Guerra Fredda tra Usa e Urss potesse degenerare in un nuovo conflitto mondiale.
Pressioni per la sospensione delle ostilità giungono da tutto il mondo, dai maggiori partner e fornitori di armi dell’India (Usa, Russia e Francia) come dalla Cina, principale partner militare del Pakistan e rivale strategico di Nuova Delhi con cui però ha ottime relazioni commerciali.
Se sul piano militare l’attuale crisi non sembra quindi offrire sbocchi, su quello politico invece è il Pakistan che rischia di più in termini di isolamento internazionale. L’India ha infatti buon gioco nell’accusare Islamabad di sostenere il terrorismo islamico ospitando, armando e addestrando sul suo territorio i miliziani jihadisti del JeM.
La stessa accusa formulata l’anno scorso da Donald Trump per il supporto offerto ai talebani afghani (che nella Tribal Area pakistana, appena oltre il confine, hanno le retrovie logistiche) e che ha determinato il forte raffreddamento dei rapporti, molto stretti con le amministrazioni Bush Jr e Obama, tra Islamabad e Washington.
Foto AFP, AP e Reuters
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.