L’intelligence italiana rilancia l’allarme per il terrorismo islamico

“Nonostante la perdita di territorio, combattenti e figure di rilievo, che ne ha indebolito la capacita di pianificare e dare diretto supporto ad azioni terroristiche di proiezione transnazionale, lo Stato Islamico, determinato a colpire l’Occidente, si è mostrato ancora in grado di ispirare attacchi in Europa, suggerendone autori e modi”. E’ quanto sottolineano gli analisti dell’intelligence italiana nella loro ultima Relazione al Parlamento.

“La minaccia terroristica in Europa – spiegano – ha confermato il proprio carattere polimorfo, che ha trovato espressione, accanto alle azioni di ‘ lupi solitari’ ed estremisti ‘in cerca di autore’, nel persistere di warning, raccolti soprattutto nell’ambito della collaborazione internazionale, concernenti progettualità terroristiche riferibili sia a cellule ‘dormienti’ sia a nuclei di operativi appositamente instradati verso il Vecchio Continente”.

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Quanto agli autori, “il coinvolgimento, negli attentati perpetrati nel 2018, di soggetti con passato criminale o trascorsi in prigione, e è valso a ribadire un tratto ormai congenito del fenomeno dei radicalizzati in ambito europeo”.

I foreign fighters tornati in Europa sarebbero 1.700, dei quali 400 nei Balcani. E fra loro, dopo i trascorsi ‘al fronte’ , figurano anche “donne e minori, spose e figli” dei miliziani dell’Isis.

Relazione 2018 dei Servizi di informazione e sicurezza evidenzia che i “combattenti stranieri’ nell’ area siro-irachena si attestano “intorno agli 8 mila, di cui 2.600 europei dello spazio Schengen”.

 

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Ma “la pericolosità del fenomeno dei “rientri” risiede piu che nei numeri, nel profilo stesso dei reduci, potenziali veicoli di propaganda e proselitismo, nonchè portatori di esperienza bellica e di know-how nell’uso di armi ed esplosivi”. I “ritornati” appaiono “propensi a raggiungere quei Paesi che, per criticità  strutturali o situazioni di endemica instabilità , finiscono con l’apparire attrattivi a quanti sono interessati a proseguire il jihad o anche solo ad eludere i controlli di sicurezza.

Una delle mete privilegiate potrebbe risultare l’Afghanistan, teatro di conflitto ‘iconico’ nell’immaginario jihadista, ove la radicata presenza di estremisti stranieri -prevalentemente di origine pakistana e centroasiatica (soprattutto uzbeka) – può agevolare la ridislocazione di foreign fighters.

Ciò tanto più in ragione dello scontro in atto, in quel Paese, tra Daesh da una parte e Talebani/al Qaeda dall’altra e della prospettiva, appetibile per entrambi gli schieramenti, di un ritiro delle truppe Usa”.

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Rimane “sostenuto” anche “l’attivismo finanziario” dell’organizzazione, “in grado di trasferire all’estero, con largo anticipo, ingenti fondi drenati dal contesto siro-iracheno, così da preservare liquidità a fronte della perdita di territori che – con risorse energetiche, estorsioni ed altre attività predatorie – garantivano al Califfato le maggiori entrate”.

La minaccia jihadista “non ha in realtà mai conosciuto flessioni”. Anzi, “si conferma come molto articolata e dalle radici profonde, risultando in grado di riproporsi sia nelle sue manifestazioni tradizionali, sia in ulteriori forme ed in nuovi teatri.

Le sconfitte inferte a Daesh nella sua ‘incarnazione statuale’ in Siria ed Iraq non hanno fatto venir meno il pericolo rappresentato dalle sue propaggini regionali e dalla rete di affiliati e simpatizzanti operante al difuori del Syraq – incluse le cellule che l’organizzazione avrebbe dispiegato all’estero in modalità ‘dormiente’ – ne’ quello collegato al richiamo che il messaggio del Califfato esercita tuttora presso una platea variegata, compresa quella in Occidente”.

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Quanto all’immigrazione illegale il calo degli sbarchi di migranti sulle coste italiane – che ha fatto segnare una contrazione dell’80% nel 2018 – è dovuto sondo il nostro intelligence alla “rafforzata capacità della Guardia Costiera” libica da un lato e alla “drastica riduzione delle navi delle Ong” davanti alle coste nordafricane dall’altro che, “di fatto, ha privato i trafficanti della possibilità di sfruttare le attività umanitarie” ricorrendo a barconi e gommoni fatiscenti e a basso costo.

La Relazione al Parlamento, sottolinea che sul calo ha inciso anche “il potenziamento dei controlli a sud della Libia, specie in territorio nigerino. La contrazione delle partenze dalla Libia ha però fatto sì che aumentassero i flussi dalla Tunisia e dal Marocco, lungo la rotta del Mediterraneo occidentale, e da Grecia e Turchia, nel Mediterraneo orientale. Anzi, dicono i servizi, per la prima volta gli arrivi da queste due rotte hanno superato quelli dal Mediterraneo centrale (57mila arrivi da ovest, 56mila da est e 23mila circa dalla Libia).

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Ci sono però ancora una serie di “aspetti strutturali”, dicono ancora gli 007, che potrebbero innescare “nuove ondate migratorie: la precarietà della situazione libica, gli sviluppi in altri paesi nord africani dove si registrano “criticità economico-sociali che potrebbero riflettersi sulle capacità di contenimento della spinta migratoria”, l’evoluzione della crisi siriana e in particolare della ‘tenuta’ di Idilb, la sacca controllata dalle milizie jihadiste (per lo più i quedisti dell’ex Fronte al-Nusra) ma circondata dalle truppe di Damasco.

Quanto alle organizzazioni criminali che gestiscono i traffici, i Servizi parlano di “potenti gruppi criminali “operativi sia sulla costa che nella fascia subsahariana, al confine tra Ciad e Sudan. Ed evidenziano un attivismo che” interessa tutte le fasi del business”: dalla pubblicazione sui social dei servizi offerti – con tratte, vettori tariffe e modalità di pagamento – fino all’ assistenza logistica nei paesi di destinazione. Ma non solo: i gruppi sono stati in grado di “adattarsi agli sviluppi sul terreno, rimodulando basi dipartenza e itinerari secondo logiche di mutuo sostegno e convenienza ma anche di accesa competizione”.

(con fonti Ansa e AGI)

Foto Stato Islamico

 

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