L’intelligence rinnova l’allarme per i “foreign fighters” islamici
da Il Mattino del 4 marzo 2019
Mourad Sadaoui (nella foto sotto), il miliziano dell’Isis algerino arrestato ieri nel napoletano, è il primo foreign fighter di ritorno catturato in Italia dopo la dissoluzione dello Stato Islamico ma non sarebbe però l’unico aderente al Califfato partito dalla Penisola ad esservi rientrato.
Sarebbero infatti 138 i foreign fighters “italiani”, cioè nati nel nostro Paese o titolari di permesso di soggiorno o residenza, partiti per la Siria, l’Iraq o la Libia per combattere per la causa dello Stato Islamico.
Un dato reso noto nei giorni scorsi dall’intelligence e confermato in occasione dell’arresto di Sadaoui dal capo della Direzione Centrale Polizia di Prevenzione, Claudio Galzerano
Di questi 47 sono stati uccisi sui fronti bellici mentre 28 avrebbero già fatto rientro in Italia dove vengono costantemente monitorati dall’intelligence e dall’antiterrorismo.
Circa gli altri 63 foreign fighters “tricolore” è difficile stimare quanti possano trovarsi nell’elenco degli oltre 800 prigionieri dell’Isis di “origini europee” catturati dalle forze Usa e curde in Siria e che Donald Trump vorrebbe venissero trasferiti e processati in Europa.
Altri potrebbero essere fuggiti dalla Siria verso altri fronti aperti dal Califfato (come l’Afghanistan o il sud della Libia) o potrebbero essersi dati alla macchia senza lasciare Siria e Iraq.
Ipotesi non trascurabile tenuto conto che il comando della Coalizione a guida statunitense valuta ci siano ancora 8mila combattenti del Califfato in quella regione pronti a condurre azioni di guerriglia e terrorismo mentre secondo un recente rapporto dell’Onu tali combattenti sarebbero addirittura 14/18mila dei quali almeno 3 mila stranieri.
Informazioni sui foreign fighters “italiani” che mancano all’appello potrebbero venire fornite dai servizi segreti Usa o di Assad oltre che dalle milizie curde: pare che almeno un paio siano nelle condizioni di essere espulsi ma nelle prigioni siriane potrebbero essercene altri.
Considerato che l’Unione europea non prevede di incarcerare tutti i veterani del jihad, anche alla luce delle difficoltà a processarli e condannarli, ma punta soprattutto al loro reinserimento sociale (come ha sottolineato più volte il coordinatore Ue per l’antiterrorismo Gilles de Kerchoeve), non stupisce che molti governi cerchino escamotage per evitare il rimpatrio dei prigionieri dalla Siria.
Parigi ne ha già consegnati all’Iraq oltre 150 di origine francese che verranno processati e presumibilmente impiccati a Baghdad.
L’ultima Relazione dei Servizi di informazione e sicurezza italiani conferma che i “combattenti stranieri’ nell’area siro-irachena si attestano oggi “intorno agli 8 mila” e stima in 2.600 gli “europei dello spazio Schengen”.
I foreign fighters tornati finora in Europa sarebbero invece 1.700, dei quali 400 nei Balcani, da dove secondo il governo serbo sarebbero partiti ben 800 volontari del jihad kosovari e bosniaci.
La relazione dell’intelligence italiano ha sottolineato ancora una volta come i flussi di migrazione illegale, pur se in fortissimo calo (meno 95% nei primi due mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo del 2018) costituiscano il percorso d’infiltrazione più utilizzato da criminali e terroristi, in particolare i cosiddetti “sbarchi fantasma” da Tunisia e Algeria, paesi che hanno dato migliaia di volontari alla causa del Califfato o di al-Qaeda.
La Procura di Palermo smascherò nel gennaio scorso un traffico di gommoni veloci tra la Tunisia e l’Italia che, al costo medio di 2.500 euro, risultava “particolarmente appetibile per persone ricercate dalle forze di sicurezza tunisine o sospettate di connessioni con formazioni terroristiche”.
Uno degli arrestati riferì di criminali e terroristi che pagavano fino a 3mila euro per sbarcare in Sicilia paventando il rischio di “un esercito di kamikaze in Italia”.
Nel marzo 2018 trapelò dall’Interpol e venne resa nota dal giornale britannico Guardian una lista di 50 sospetti foreign fighters tunisini che sarebbero sbarcati clandestinamente in Italia.
Non vennero forniti altri dettagli ma l’estate scorsa l’Interpol ha varato l’Operazione Neptune inviando propri team in otto porti dell’Europa mediterranea per prevenire infiltrazioni assistendo le autorità locali nello screening dei viaggiatori.
L’Interpol valuta infatti che una delle tecniche usate dai foreign fighters per infiltrarsi nell’area UE consista nel mescolarsi ai flussi di turisti grazie all’utilizzo di documenti falsificati o rubati, decine dei quali sono stati sequestrati.
Foto: Governo.it, Polizia di Stato e Stato Islamico
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.