Le spese per la Difesa in ambito NATO
Da qualche anno l’appuntamento con la pubblicazione del rapporto con il quale la NATO fornisce i dati aggiornati sulle spese per la Difesa dei Paesi membri si è trasformato in un passaggio di una certa importanza.
In realtà, quella della elaborazione dei dati relativi a tali spese è un’attività che l’Alleanza Atlantica svolge da sempre; a segnare una sorta di spartiacque rispetto alla sua rilevanza ha però provveduto il “North Atlantic Council” del settembre 2014.
E’ infatti in quell’occasione che i Capi di Stato e di Governo affrontano con decisione la questione delle risorse destinate al comparto, sancendo alcuni principi fondamentali:
- I Paesi che soddisfano già le linee guida della NATO, spendendo almeno il 2% del PIL nella Difesa, dovranno impegnarsi a continuare su questa strada.
- coloro i quali invece non raggiungono ancora tale obiettivo dovranno impegnarsi a:
- interrompere ogni ulteriore diminuzione delle spese per la difesa;
- mirare ad aumentarle in termini reali con la crescita del PIL;
- muoversi verso le linee guida del 2% entro un decennio.
Un analogo ragionamento è stato poi svolto sulla parte di risorse che, nell’ambito dei budget della Difesa dei singoli Paesi, sono destinate all’acquisizione dei cosiddetti “Major Equipment”; di fatto la somma di quanto destinato all’acquisizione dei sistemi d‘arma più quanto dedicato a Ricerca & Sviluppo.
Anche in questo caso:
- coloro i quali destinano almeno il 20% dei loro budget a questa voce, dovranno impegnarsi a conservare almeno tale percentuale;
- gli altri, sempre nel giro di un decennio, dovranno invece impegnarsi a raggiungerla.
Impegni che, peraltro, sono stati sempre riaffermati in maniera puntuale anche nei Consigli successivi; sempre confermando l’orizzonte temporale del 2024.
Nel frattempo, è dunque arrivato l’ultimo aggiornamento elaborato dall’Alleanza Atlantica; esso si ferma per ora alle spese per la Difesa relative all’anno scorso, dunque ad appena a un passo dalla metà esatta del percorso delineato in Galles nel 2014. Un intervallo di tempo che consente comunque di elaborare una prima valutazione di merito rispetto a quanto è stato fatto (o meno).
Non senza però avere svolto subito un paio di doverose precisazioni. La prima fa riferimento al fatto che le cifre relative al 2018 sono delle stime. La raccolta dei dati forniti dai vari membri e la necessità di elaborarli in maniera sufficientemente omogenea sono attività evidentemente non semplicissime. Oltretutto, occorre anche ricordare che alcuni Paesi adottano “anni fiscali” non coincidenti con quelli solari; così come a incidere sono pure le fluttuazioni dei tassi di cambio fra le diverse valute nazionali.
La seconda, che assume un particolare valore per l’Italia, è rappresentata dalla considerazione che la definizione di spesa per la Difesa della NATO è piuttosto ampia, con alcune differenze sensibili proprio per quanto riguarda le informazioni rese disponibili abitualmente nel nostro Paese.
Gli elementi di maggiore indeterminatezza sono rappresentati dalla presenza della spese per le pensioni del Personale militare e civile ritirati dal loro servizio/lavoro, e quanto del bilancio dei Carabinieri viene stimato quale contributo alle capacità di Difesa.
Ovviamente, a fronte di un così vasto perimetro di spesa e dell’abitudine da parte di molti Paesi di attingere da fonti diverse per il finanziamento delle proprie Forze Armate, le informazioni fornite dalla NATO non hanno certo la pretesa di mostrare un quadro assolutamente preciso al centesimo.
Così come è altrettanto vero che i numeri non sempre riescono a spiegare tutto, necessitando talvolta di qualche ulteriore approfondimento.
Tuttavia, simili rapporti sulla spesa costituiscono comunque un riferimento fondamentale nonché imprescindibile quando si tratta di effettuare dei confronti e di valutare l’evoluzione storica dei bilanci della Difesa.
La “fotografia” d’insieme
Dal rapporto elaborato in sede NATO, si evince l’importanza assegnata proprio al 2014 in quanto utilizzato come punto di partenza per molti confronti.
Nel dettaglio allora, in quell’anno la spesa complessiva dell’Alleanza Atlantica era stata di 883 miliardi dollari; ben 611 dei quali riferibili ai soli Stati Uniti e i restanti 272 ai Paesi europei e al Canada.
Anche il dato del rapporto Percentuale sul PIL era eloquente; mentre per gli USA era pari al 3,76% (peraltro in calo rispetto agli anni precedenti, contrassegnati dal fortissimo impegno in Iraq e Afghanistan), in Europa (e Canada) si raggiungevano nuovi record negativi, con un valore medio pari all’1,4%.
Da lì in poi però le cose cambiano. Come detto, il 2015 (e cioè il primo anno di effettiva implementazione degli obiettivi posti dal vertice NATO in Galles) fornisce già qualche timido segnale positivo; mentre negli USA si registra un’ulteriore flessione delle risorse, fino a 594 miliardi di dollari e al 3,6% sul PIL, l’Europa (e, come al solito) il Canada registrano invece un primo miglioramento. Il livello di risorse complessive sale infatti a 277 miliardi di dollari, mentre la percentuale sul PIL rimane ancorata all’1,4%; dunque un (piccolo) passo in avanti;
In realtà, quello stesso 2015 non può che essere definito di semplice assestamento.
Sono quelli successivi a registrare un ritmo di crescita diverso; non tanto negli USA quanto nell’insieme degli altri Paesi. Una crescita che trova proprio nel 2018 quello che potremmo definire (sotto molti punti di vista) un anno di svolta. A testimoniarlo sono i numeri stessi: il totale di risorse stanziate in ambito NATO torna infatti a superare la soglia dei 900 miliardi di dollari, attestandosi a quota 919, registrando una crescita di 35 miliardi sul 2014.
Ma il dato più interessante è un altro. Questo incremento è totalmente da ascrivere ai Paesi Europei, più Canada.
E questo accade perché, mentre gli USA scendono dai ricordati 611 miliardi del 2014 ai 605 del 2018 (con il rapporto percentuale spese Difesa/PIL che scende dal 3,76 al 3,39%), per tutti gli altri Paesi si registra una crescita consistente da 272 a 313 miliardi (e con il rapporto percentuale citato che sale dall’1,4 all’1,48%).
Soffermandosi poi proprio sul parametro del rapporto percentuale con il PIL, emerge una sorta di “classifica” che (limitata alle prime 10 posizioni) vede svettare gli USA con il 3,39%, poi la Grecia con il 2,22%, il Regno Unito al 2,15%, l’Estonia con il 2,07%, la Polonia con il 2,05%, la Lettonia con il 2,03%, la Lituania con il 2%, la Romania all’1,92%, la Francia con l’1,82 % e, infine, la Croazia con l’1,71%. Con una media finale per tutta l’Alleanza Atlantica pari al 2,36%.
Evidenziata la forte presenza di Paesi dell’Europa dell’Est (per ovvie ed evidenti ragioni geopolitiche), un dato ancora più interessante riguarda proprio il numero di Stati membri in grado di rispettare i rapporti percentuali precedentemente indicati.
Oltre agli USA, nel 2014 solo il Regno Unito e la Grecia raggiungevano il livello del 2%. Nel 2018, si sono aggiunti Estonia, Polonia, Lettonia e Lituania; mentre diversi altri Paesi si sono comunque molto avvicinati (la Romania per esempio, mentre la stessa Francia non è poi così lontana).
Per quanto riguarda il parametro relativo alla porzione di bilancio totale (almeno il 20%) dedicata al “Major Equipment”, nel 2014 erano solo 5 i Paesi a rispettarlo. Nel 2018 sono diventati ben 16.
Un altro aspetto importante è costituito dall’analisi dell’evoluzione della spesa a prezzi costanti; anche in questo caso si rileva come tutti i Paesi europei più importanti (oltre al Canada) hanno aumentato i loro bilanci della Difesa in termini reali. O meglio, quasi tutti…; come vedremo in seguito.
Da ultimo, sia pure in assenza di cifre puntuali sul 2019 (probabilmente, la NATO le renderà note in estate), le prime indicazioni lasciano prevedere che tutti gli aspetti postivi emersi lo scorso anno non solo saranno confermati ma anche migliorati. A conferma del dato ormai evidente: la svolta c’è stata e tutti (o quasi) si stanno impegnando, sia pure con ritmi diversi.
Questo è ciò che riguarda il presente, laddove anche per il futuro non mancano i segnali positivi; sempre da fonti NATO, si apprende che i “National Plans” presentati da ogni singolo Paese restituiscono una chiara indicazione rispetto al fatto che, nel 2024, la conclusione di questo percorso avrà comunque fatto registrare nuovi ingressi in entrambe le classifiche.
E anche laddove alcuni Paesi membri non saranno in grado di rispettare l’impegno preso, soprattutto sul fronte del rapporto percentuale tra le spese per la Difesa e il PIL, quegli stessi piani segnalano comunque un concreto impegno a incrementare il proprio sforzo.
Quale ultima considerazione di carattere generale, si rileva come (nonostante i progressi fatti) la caduta generalizzata dei bilanci della Difesa avvenuta all’incirca tra la fine del decennio scorso e la prima metà di quello attuale (con il suo culmine negativo proprio nel 2014) non sia stata ancora del tutto riassorbita. Ciò a ulteriore dimostrazione dell’importanza di vedere garantita una crescita delle risorse destinate ai comparti Difesa dei singoli Paesi membri; una crescita che sia sostenibile e duratura nel corso del tempo. Ovviamente accompagnata, nel caso di raggiungimento degli obiettivi programmati, da una successiva stabilizzazione su livelli adeguati.
Il “caso” Italia
C’è un dato che emerge chiaramente dalle tabelle fornite dalla NATO: il nostro Paese continua a occupare le ultime posizioni nella “classifica virtuale” delle spese per la Difesa. In termini di rapporto percentuale tra spese per la Difesa e il PIL (il principale parametro di confronto), l’Italia è addirittura sest’ultima; peggio del nostro 1,15% fanno solo Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna, Belgio e Lussemburgo.
Eppure, osservando i dati forniti dall’Alleanza Atlantica, anche il nostro Paese sembrerebbe aver fatto la propria parte sia pure in misura modesta.
Se infatti nel 2014, il totale delle spese per la Difesa dell’Italia era indicato in 18.427 milioni di euro, nel 2018, esso arriva 21.183 milioni. Una crescita dunque importante che assume ancora più valore se si pensa che nel 2015, in realtà, esse erano addirittura precipitate a 17.642 milioni. Quindi, in questi primi anni del percorso destinato a concludersi nel 2024, l’Italia sembrerebbe aver compiuto (almeno) qualche passo in avanti.
Con dati che, ovviamente, trovano una loro conferma anche nella progressione del rapporto percentuale tra le spese per la Difesa e il PIL. Ricordato il dato del 2014 (1,08%), 5 anni dopo tale rapporto è ora pari a 1,15%.
Sennonché, per valutare più correttamente quanto accaduto proprio negli ultimi anni, occorre tornare al 2016; quando cioè il Ministero della Difesa comunica che per la prima volta il Dicastero ha fornito alla NATO i dati relativi ai fondi inseriti nel bilancio del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE).
Un passaggio, per l’appunto, mai avvenuto prima e che nel giro di un solo anno (tra il 2015 e il 2016) fa salire le spese per la Difesa del nostro Paese da 17.642 a 20.226 milioni di euro; e il rapporto con il PIL dall’1,01 all’1,12%.
È tuttavia evidente che con questo passaggio sia venuta meno l’omogeneità del perimetro di spesa; al punto da falsare completamente l’analisi di un qualsiasi osservatore esterno rispetto a quanto accaduto.
Infatti, una volta ristabiliti i termini di un confronto su cifre per l’appunto omogenee (cioè inserendo i fondi MISE negli anni in cui essi non erano stati conteggiati), il quadro cambia completamente.
In particolare, prendendo come riferimento il 2014, le spese per la Difesa calcolate in ambito NATO (e, per l’appunto, ora comprensive dei fondi MISE) diventano pari a 20.515 milioni di euro; con un conseguente rapporto spese Difesa/PIL pari all’1,2%.
Attraverso questa (semplice) “correzione” diventa così palese un dato e cioè che non solo l’Italia non ha mai realmente aumentato il proprio sforzo sul fronte dei bilanci della Difesa; di più, nonostante gli impegni formalmente sottoscritti, ha continuato a tagliare risorse anche dopo il 2014.
Come dimostrato anche facendo ricorso ai confronti sulle somme stanziate, ma questa volta calcolate a prezzi costanti.
Singolare poi il fatto che simili livelli di spesa, comunque particolarmente bassi, non riescano neanche a beneficiare di qualche espediente; così come accade rispetto a quanto il nostro Paese comunica all’Alleanza Atlantica come apporto dell’Arma dei Carabinieri alla Funzione Difesa. Solo nel Documento Programmatico Pluriennale (DPP) per la Difesa 2017-2019 è comparsa (per la prima volta) la suddetta cifra, per un passaggio che ha poi trovato conferma anche nel DPP dell’anno seguente.
Ebbene, i 550 milioni riferiti al 2016 e i 570 milioni per l’anno successivo, indicano chiaramente come il Dicastero della Difesa stesso abbia provveduto a fare ampio ricorso al meccanismo dell’approssimazione per eccesso…
In tutto questo, rimane solo da ricordare che nel 2019 la situazione complessiva non appare certo destinata a cambiare di molto.
Per quanto prematuro possa apparire oggi un giudizio conclusivo, in attesa della puntuale definizione delle risorse del MISE e dell’entità del finanziamento per le missioni all’estero, non di meno i segnali di un nuovo peggioramento complessivo non mancano.
Del resto, basta pensare a quegli accantonamenti sui bilanci del Ministro della Difesa e del MISE per i quali (fino ad appena qualche settimana fa) si poteva pur sempre sperare in un loro recupero, e che oggi possono essere invece già considerati come definitivamente tagliati. A conferma delle particolari “attenzioni” riservate dall’attuale titolare del Dicastero della Difesa a questo capitolo di spesa.
Tanto che lo stesso traguardo del 20% del bilancio complessivo destinato all’Investimento, fino a oggi rispettato, andrà anch’esso perso. Mentre la quota di risorse destinata al Personale crescerà ancora! Insomma, una volta analizzati nel dettaglio tutti i dati relativi ai bilanci della Difesa, la loro evoluzione e le loro informazioni “nascoste”, non può che trovare conferma il dato più e più volte evidenziato: l’Italia nella posizione di “fanalino di coda” in termini d’impegno finanziario sul fronte della Difesa. In ambito NATO, ma non solo.
La situazione è ormai sfuggita di mano?
Insistendo ancora sulla specifica questione dei bilanci della Difesa, oltre al dato fallimentare legato ai continui tagli di bilancio operati nel nostro Paese, a colpire in maniera ancora più “diretta” è la constatazione della più totale assenza di programmazioni credibili.
Le Forze Armate italiane sono cioè non solo alle prese con un presente difficile ma, di più, vivono in una condizione di assoluta precarietà per il futuro; insomma, niente di più paradossale per un “organismo” che fa della possibilità di pianificare a lungo termine uno dei tratti caratteristici della propria efficacia e della propria capacità di operare.
In questo senso, non potranno essere certo le proposte del Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, di conteggiare varie voci da inserire nel calcolo finale delle spese per la Difesa a cambiare la situazione. Non fosse altro per il fatto che simili escamotage potrebbero non trovare credito in ambito NATO, come già fatto capire chiaramente dal Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica.
Occorre dunque una riflessione sulla quantità e qualità di risorse che si vogliono assegnare alle Forze Armate senza farle diventare ostaggio della ricerca di consenso elettorale da parte di questo o di quel soggetto.
Una riflessione che porti a evitare, prima di tutto, la lunga serie di episodi a dir poco sconcertanti. Infatti, dopo la ben nota “brutale” cancellazione del programma CAMM-ER o la questione dei pagamenti degli F35.
Una riflessione che, immediatamente dopo, porti ad affrontare una situazione particolarmente grave, con crescenti segnali di confusione e approssimazione; così come, ormai, viene denunciato da più parti e con sempre più forza.
Perché Il “coro”, con toni e sfumature diverse (dettate dai diversi ruoli istituzionali) è davvero unanime; con un Parlamento e un Governo puntualmente informati di quanto sta accadendo e delle sue conseguenze.
Ci ha pensato infatti il Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Enzo Vecciarelli, nella sua audizione di fronte alle Commissioni Difesa riunite, cui ha fatto seguito in una simile occasione il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica e, difficile dubitarne, sulla stessa linea si esprimeranno sicuramente anche i responsabili di Esercito e Marina quando sarà il loro turno.
Sempre il Parlamento, segnatamente la Commissione Difesa della Camera, ha avuto modo di sentire altri soggetti.
Nell’ambito della «Indagine conoscitiva sulla pianificazione dei sistemi di difesa e sulle prospettive della ricerca tecnologica, della produzione e degli investimenti funzionali alle esigenze del comparto difesa», nelle scorse settimane si è svolta l’audizione di Carlo Festucci (Segretario Generale della Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza, AIAD) e quella di Michele Nones, (Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali IAI). In questi casi, ci si è espressi in termini ancora più netti.
Alla fine, se lo stesso Consiglio Supremo di Difesa si è dovuto esporre con un comunicato dalle parole (e toni) insolitamente espliciti, vuol proprio dire che la situazione ha raggiunto il livello di guardia.
Immagini: NATO.int, Difesa.it, AnalisiDifesa.it, Quirinale.it
Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli
Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.