Difesa: l’ora del necessario pragmatismo
Settimane fitte di polemiche per la Difesa italiana che dal 25 aprile è al centro di scontri e dibattiti accesi.
Al “caso Riccò” ha fatto seguito lo scontro tra il ministro Elisabetta Trenta e il ministro dell’interno Matteo Salvini circa le competenze e la dipendenza della Marina Militare: dopo la direttiva del Viminale contro le Ong la Trenta è insorta ricordando che la Marina risponde alla Difesa ma dimenticando che da molti anni si interfaccia direttamente con Capitanerie/Guardia Costiera, ministero dell’Interno e procure nelle operazioni riguardanti i migranti.
Il culmine è stato probabilmente raggiunto dalla dichiarazione del presidente del consiglio Giuseppe Conte, che per finanziare una borsa di studio “sulla pace” ha rinunciato a comprare 5 fucili destinati ad altrettanti soldati “mandati nelle retrovie a parlare di pace”.
Un’affermazione avventata o forse solo una battuta infelice, certo detta in buona fede, ma che ben fotografa quel modello culturale che tanto contribuisce a rendere così difficile il momento che sta attraversando la Difesa tra tagli al bilancio, vertici politici incapaci di comprenderne valore e significato con in aggiunta una devastante sindacalizzazione alle porte.
Tra le tante risposte giunte dal mondo militare (almeno da quella piccola parte autorizzata a esprimersi o tra il personale non più in servizio, come il generale Giorgio Cornacchione) quella più significativa e incisiva è giunta dalla Medaglia d’Oro al Valor Militare tenente colonnello Gianfranco Paglia, il quale ha ricordato, a proposito di armi e dotazioni militari, che se al check point Pasta il 2 luglio 1993 avesse avuto addosso un giubbotto anti-proiettile non si troverebbe su una sedia a rotelle.
Al di là dei singoli episodi è la prospettiva culturale con cui M5S guarda alla Difesa a preoccupare per il futuro stesso delle Forze Arnate e delle loro residue capacità.
Certo i tagli alla Difesa non sono cominciati con questo governo ma il fatto che a fine maggio non si sappia nulla del rinnovo delle missioni oltremare scadute il 31 dicembre 2018, non vi siano dati certi circa quante risorse finanziarie siano disponibili nel bilancio di quest’anno né quante se ne prevedano nei prossimi anni dimostra chiaramente una superficialità che non è solo dannosa nell’immediato ma contiene le basi per la demolizione della nostra credibilità militare.
Come si diceva, la questione è innanzitutto culturale. I militari senza fucili “servono a parlare di pace nelle retrovie”, si continua a esaltare la capacità “duale” come se le forze armate fossero una via di mezzo tra una Ong e la Protezione Civile, il Ministero dello Sviluppo economico blocca i fondi già previsti per i programmi della Difesa mettendo in difficoltà industria e forze armate.
Tutti elementi che indicano una visione assai limitata del comparto Difesa, una visione pacifista da oratorio e “casa del popolo” ma oggi quanto memo inadeguata anche solo a comprendere le sfide attuali.
Nonostante la carenza di fondi a disposizione, che colpisce anche e soprattutto la voce Esercizio e quindi l’addestramento, il 7 maggio è stato organizzato a Pratica di Mare un mega show simulando che uno tsunami investisse il litorale romano. L’obiettivo del ministro della Difesa era evidenziare, come spiegava lo slogan dell’evento, il “Duplice uso sistemico: impiego innovativo delle forze armate al servizio del Paese”.
“Duplice uso sistemico” rappresenta l’evoluzione del concetto di “dual use” che prevede l’impiego di mezzi e competenze militari in compiti di intervento in caso di calamità. Esattamente quello che le forze armate hanno sempre fatto nella loro storia: nel terremoto in Friuli del 1976 i militari svolsero un ruolo di primo piano eppure nessuno all’epoca in piena Guerra Fredda) si sarebbe sognato di parlare di “duplico uso sistemico”.
L’impressione è che al ministero della Difesa riescano a dare un senso all’esistenza delle forze armate solo in funzione di un potenziale impiego in compiti di protezione civile e soccorso.
Se proprio si voleva organizzare uno show militare aperto a media e istituzioni il ministero della Difesa avrebbe potuto puntare in pieno Tirreno sull’esercitazione aereo-navale-anfibia Mare Aperto: certo un po’ meno “duale” e dove ogni fante imbracciava il suo fucile.
La parata militare del 2 giugno, quest’anno dedicata al tema buonista “dell’inclusione” costituirà senza dubbio la prossima tappa di questo acceso dibattito politico e sociale sviluppatosi intorno alle forze armate e alla spesa militare.
Un dibattito arricchitosi in questi giorni dalle immagini di balli e “trenini” che hanno coinvolto il ministro Trenta e personale in uniforme. Aspetti di “colore”, certo secondari rispetto ai temi più importanti che riguardano la pianificazione, gli investimenti e il supporto all’industria nazionale ben individuati da un recente rapporto dell’Istituto Affari internazionali pubblicato anche da Analisi Difesa.
Il caso del missile da difesa aerea CAMM-ER di MBDA rappresenta l’esempio perfetto dello stato di catalessi che colpisce la Difesa. Sviluppato da MBDA in Italia e Gran Bretagna, richiede finanziamenti minimi ma indispensabili a realizzarlo anche per l’export.
Realizzarlo sarebbe un buon affare e senza di esso ci troveremo presto nell’impossibilità di difendere lo spazio aereo (i sistemi Spada sono ormai da rottamare) e persino di ospitare summit internazionali o grandi eventi che prevedono batterie antiaeree per proteggere l’area di attacchi aerei terroristici.
Da mesi Londra attende una risposta dal ministero della Difesa italiano per avviare il programma anche se sarebbe ingiusto addossare al ministro Trenta tutte le responsabilità, che fanno capo invece soprattutto a Luigi Di Maio che ha bloccato i fondi del suo ministero per il missile.
Non è la prima volta che ministri della Difesa politicamente deboli subiscono l’iniziativa dei “pezzi grossi” dell’esecutivo ma nell’attuale situazione i due partiti di governo sono caratterizzati da differenze sostanziali di approccio ai temi della Difesa&Sicurezza.
Differenze che emergono non solo nella lotta all’immigrazione illegale. Emblematiche a tal proposito le dichiarazioni rese nei giorni scorsi dal vicepremier Matteo Salvini: “Siamo lealmente fedeli all’Alleanza Atlantica, che qualcuno mette in discussione ma noi no.
Qualcuno mette in discussione anche gli F35, noi no. Quanto al disarmo, non è utile, sarebbe un suicidio economico, e poi il settore difesa è strategico. Un Paese disarmato è un paese occupato e occupabile. Noi abbiamo una diversa posizione su questo rispetto a M5S”.
Temi più volte sottolineati anche dal sottosegretario leghista alla Difesa, Raffaele Volpi. Al contrario M5S, oltre alla gestione approssimativa della Difesa, vuole riformare la legge sull’export di armi sferrando il colpo di grazia all’industria nazionale che, già penalizzata dalla debole commessi interne, sopravvive con l’export.
In febbraio al Salone Idex negli Emirati Arabi Uniti, il sottosegretario Angelo Tofalo (M5S) ha rinunciato a tenere la prevista conferenza stampa a bordo della fregata Fremm Marceglia, giunta appositamente ad Abu Dhabi (con spese a carico dell’industria) per promuovere il “made in Italy”.
A indurre il sottosegretario a non esporsi furono sufficienti pochi articoli di giornale in cui si sosteneva che anche il “governo del cambiamento” puntava a vendere armi italiane nel mondo.
Su questo tema il senatore Gianluca Ferrara, capogruppo del M5S in Commissione Affari Esteri, ha annunciato pochi giorni or sono un disegno di legge per rafforzare i divieti e il controllo politico sull’export e ha presentato un’interrogazione parlamentare “per conoscere le ragioni per cui non si sia ancora provveduto a sospendere le consegne delle bombe aeree della RWM vendute dal Governo Renzi all’Arabia Saudita, che le utilizza in Yemen in violazione del diritto internazionale”.
Come ha precisato la Farnmesiina almeno tre volte negli ultimi anni, l’export di armi ai sauditi è legittimo poiché non vi sono sanzioni o embarghi internazionali nei confronti di Riad. Ancora una volta operò il problema è soprattutto culturale.
Al di là di queste valutazioni, M5S pensa davvero che senza le armi italiane nel mondo dilagherebbe la pace universale e tutte le forze militari del globo verrebbero riconvertite a un “duplice uso sistemico”? Inoltre, in quel movimento sono davvero convinti che nello Yemen gli unici “cattivi” siano sauditi ed e emiratini quando gli Houthi non esitano a lanciare missili balistici e droni in territorio saudita?
Per disperdere la tanta “aria fritta” non guasterebbe un po’ di sano pragmatismo abbinato a un approccio che veda finalmente prioritaria la tutela degli interessi nazionali.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.