Ha ancora senso l’embargo sulle armi alla Libia?

Un traffico internazionale fuori controllo di armi sta alimentando le opposte milizie impegnate nella battaglia per Tripoli. L’allarme lo ha lanciato nei giorni scorsi il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres che ha chiesto alla comunità internazionale di controllare le navi che raggiungono i porti libici. Un richiamo neanche troppo indiretto alla “singolare iniziativa” presa dall’Ue a fine marzo di prolungare la missione navale europea Eunavfor Med (Operazione “Sophia”) privandola però delle navi.

NEW YORK, NY - OCTOBER 13: Newly-elected United Nations Secretary General-designate Antonio Guterres looks on a photo opportunity at the United Nations (UN) headquarters October 13, 2016 in New York City. Guterres, a former prime minister of Portugal, will replace outgoing secretary general Ban Ki-moon starting in January 2017. (Photo by Drew Angerer/Getty Images)

I fatti sono noti: l’Italia ha chiesto ai partner europei di sbarcare nei propri porti i migranti eventualmente soccorsi dalle navi dell’Operazione Sophia (che dal 2015 aveva sbarcato in Italia quasi 50mila clandestini) ma per non correre il rischio di sobbarcarsi l’onere dell’accoglienza tutti gli Stati che hanno aderito all’operazione Ue hanno riturato le navi lasciando operativi solo aerei ed elicotteri.

Tra i compiti di “Sophia” c’era anche il controllo delle navi dirette in Libia e sospettate di trasportare armi in violazione dell’embargo posto nel 2011 dall’ONU su questo genere di carico e mai revocato.

Un compito che ora Guterres chiede agli Stati di assolvere individualmente anche se non pare vi siano state adesioni al suo appello ribadito anche dall’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamè, che ha sottolineato l’entità delle ultime forniture giunte alle milizie che difendono Tripoli e rispondono al Governo di accordo nazionale (GNA) presieduto da Fayez al-Sarraj e all’Esercito nazionale libico (LNA) del generale Khalifa Haftar.

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Informazioni raccolte dall’Onu evidenziano l’ingresso in Libia di armamenti, inclusi aerei e lanciarazzi destinati ad “entrambe le parti” in conflitto, come ha illustrato al Financial Times la numero due della missione delle Nazioni Unite nel paese nordafricano, Stephanie Williams.

Precedenti rapporti dell’Onu indicavano gli Emirati arabi uniti e l’Egitto fra i Paesi che hanno violato l’embargo (sospettate anche Francia e Russia) in appoggio ad Haftar mentre Turchia e Qatar hanno rifornito le forze della Tripolitania legate in gran parte alla Fratellanza Musulmana.

Anche Mosca si è preoccupata per le forniture di armi con la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova.

“Le opposte coalizioni che si sono formate attorno al Governo di Accordo Nazionale guidato dal Primo Ministro Sarraj e dall’Esercito Nazionale Libico sotto il comando di Haftar stanno ancora privilegiando l’uso della forza per risolvere le differenze tra loro, Questo è anche motivato dal fatto che a entrambi i campi non mancano armi ed equipaggiamenti militari che entrano in Libia eludendo l’embargo dell’ONU”.

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In realtà il rispetto dell’embargo non sembra preoccupare né i paesi che potrebbero farlo rispettare né quelli che lo violano sistematicamente anche attraverso le vaste e incontrollate frontiere terrestri della Libia.

Unica eccezione è costituita dall’Italia che si interroga sull’opportunità di continuare, in questa fase di scontri intorno a Tripoli, a consegnare motovedette disarmate alla Guardia Costiera del GNA, che le impiegherebbe peraltro non certo in inesistenti battaglie navali contro le forze di Haftar ma bensì per contrastare i traffici migratori illegali diretti in Italia.

In realtà occorrerebbe chiedersi che senso possa avere ancora mantenere in vita un embargo che non ha mai realmente impedito né i traffici di armi che attraversano il territorio libico né le forniture militari giunte da più parti alle diverse fazioni fin dal conflitto contro il regime di Gheddafi.

Un embargo che oggi vede paradossalmente le Nazioni Unite impedire solo a parole di acquisire sistemi d’arma (anche “non letali” o non offensivi) allo stesso governo di Tripoli, voluto, creato e sostenuto dall’Onu stessa.

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L’impasse nei combattimenti intorno alla capitale viene utilizzato su entrambi i fronti per potenziare gli arsenali con veicoli da combattimento, armi e munizioni, forniture che vengono peraltro ampiamente pubblicizzate sui media libici.

“Abbiamo visto in televisione le immagini dei giorni scorsi della consegna a Tripoli di un grande numero di armi pesanti al Governo di accordo nazionale”, ha dichiarato nei giorni scorsi Salamè.

Le truppe di al-Sarraj hanno ricevuto almeno 40 veicoli ruotati protetti Kirpi di produzione turca, sbarcati nel porto della capitale dal cargo moldavo Amazon. Non confermate da immagini televisive invece le indiscrezioni circa la possibile consegna di mitragliatrici pesanti e missili anticarro di produzione bulgara.

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Fornitura indirettamente confermata da un tweet delle milizie filo-Sarraj che il 19 maggio recitava: “Il Governo di accordo nazionale potenzia le forze a difesa di Tripoli con veicoli blindati, munizioni e armi di qualità, in vista di una vasta operazione per sconfiggere i ribelli del criminale di guerra, il ribelle Haftar, e ristabilire la sicurezza in tutto il Paese”.

Sul fronte opposto l’LNA ha già ricevuto molte decine di veicoli blindati realizzati negli Emirati Arabi Uniti sullo chassis della Toyota Land Cruiser con i quali nel febbraio scorso è stato conquistato il desertico Fezzan mentre da pochi giorni sono stati consegnati alle truppe di Haftar veicoli blindati ruotati trasporto truppe al-Mareb al-Wahsh, realizzati in Giordania ma con ogni probabilità pagati dagli Emirati Arabi Uniti.

Si tratta in entrambi i casi di veicoli dotati di scafo resistente a mine e ordigni improvvisati consegnati disarmati ma armabili con torrette dotate di lanciagranate, mitragliatrici e cannoni a tiro rapido.

Almeno uno dei veicoli di costruzione giordana è già stato distrutto in combattimento ed è prevedibile che questi nuovi equipaggiamenti vengano impiegati nelle prossime fasi della battaglia per Tripoli.

@GianandreaGaian

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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