Pechino rafforza la repressione dell’islam nello Sinkiang

(AsiaNews) – Centinaia di migliaia di telecamere per il controllo facciale, applicazione telefoniche per tracciare l’utilizzo dei cellulari, decine di luoghi di culto – fra i quali moschee storiche – distrutte e oltre un milione di fedeli in centri di detenzione. Nell’ultimo periodo la leadership di Pechino ha rafforzato la stretta sui musulmani nella regione dello Xinjiang, estrema periferia occidentale del Paese, dove circa il 41% degli abitanti professa l’islam.

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Una campagna che attivisti ed esperti di libertà religiosa definiscono “globale” contro gli uiguri e che le nazioni a maggioranza musulmana, in particolare nel mondo arabo mediorientale, condannano a parole ma, nei fatti, preferiscono preservare i commerci con la Cina.

Da un lato, Pechino considera la minoranza musulmana una minaccia alla sicurezza e, dall’altro, alimenta l’islamofobia per giustificare le politiche controverse nella regione.

Nel contesto della campagna di repressione, le autorità hanno demolito edifici storici della regione. Negli ultimi due anni sono state colpite anche le moschee rimuovendone alcune parti come cancelli o cupole, o demolendo l’intera struttura. Una politica di repressione che vale per l’islam, così come per le alte religioni, soprattutto cristiana, mirata a “sinicizzare” il culto e quanti lo professano.

KASHGAR, CHINA - JULY 31: Chinese soldiers march in front of the Id Kah Mosque, China's largest, on July 31, 2014 in Kashgar, China. China has increased security in many parts of the restive Xinjiang province following some of the worst violence in months in the Uyghur dominated area. (Photo by Getty Images)

Un gruppo di studiosi turchi attacca il governo di Pechino, il quale starebbe tentando di “assimilare milioni di musulmani nel Turkestan orientale [Xinjiang, ndr]” e che ha “appena distrutto la moschea di Keriye Heytgah, nella zona di Hotan, risalente a circa 800 anni fa”.

La Cina, aggiungono, vuole “sradicare ogni elemento che ricorda l’islam e l’identità turca” e che solo di recente “sono stati distrutti circa 50 santuari” e sostituiti con statue o altri elementi di arredo urbano.

Le immagini satellitari raccolte dagli studiosi confermano le devastazioni, che hanno colpito moschee nella contea di Kargilik, nel sud-ovest dello Xinjiang, “completamente distrutta”. E ancora, parti della moschea di Keriya Aitika rase al suolo. Si tratta di un edificio storico risalente al 1237, stessa epoca della cattedrale di Notre-Dame a Parigi.

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Contro queste devastazioni, le nazioni musulmane hanno reagito manifestando condanne di rito, ma stando bene attente a salvaguardare rapporti e commerci con il Paese del dragone. A dicembre l’Organizzazione della cooperazione islamica (Oic), considerata la “voce dei musulmani” nel modo, ha confermato l’esistenza di “rapporti controversi” che giungono dal settore occidentale della Cina e parlano di repressioni e abusi.

Tuttavia, il mese scorso la stessa Oic ha pubblicato un rapporto in cui si “lodavano gli sforzi” compiuti dalla Repubblica popolare “nel fornire assistenza ai suoi cittadini [musulmani compresi]” e si auspicava una “ulteriore collaborazione” fra le due realtà. Parole che hanno sollevato polemiche e attacchi all’interno del mondo islamico, con molti a chiedersi se l’Oic sia “al servizio dell’islam o delle politiche della Cina”.

Foto AFP, Getty Images e Xinhua

 

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