Il “caso Rovezzano” e la vulnerabilità delle infrastrutture strategiche
da Il Mattino del 23 luglio
L’incendio alla cabina elettrica della stazione fiorentina di Rovezzano, certamente doloso e con ogni probabilità definibile un’azione terroristica di matrice anarco-insurrezionalista, conferma l’estrema vulnerabilità delle infrastrutture strategiche italiane, specie quelle che garantiscono la mobilità lungo le direttrici Nord-Sud della Penisola.
Una vulnerabilità sia strettamente connessa con la conformazione geografica dell’Italia che può essere tagliata in due colpendo le vie di comunicazione nel tratto appenninico tra Bologna e Firenze.
Per questa ragione nella Seconda guerra mondiale i bombardieri alleati colpirono duro lo snodo ferroviario bolognese, durante gli anni di piombo quella stessa stazione e i treni in quel tratto vennero presi di mira (le stragi dell’Italicus nel 1974 e quella del Rapido 904 dieci anni dopo) e dopo la fine della Guerra fredda gli archivi di Mosca rivelarono che proprio quello snodo stradale e ferroviario appenninico sarebbe stato l’obiettivo di attacchi del Patto di Varsavia e il possibile bersaglio per un attacco nucleare tattico.
Al confronto l’attentato incendiario di Rovezzano può apparire cosa da poco, con danni limitati a 24 ore di caos sull’unica linea dell’Alta Velocità italiana, ma in realtà le valutazioni che s’impongono sono molto serie.
Sui siti anarco-insurrezionalisti si ironizza sulla facilità con cui è stato possibile bloccare la linea ferroviaria più importante della Penisola, ma la conformazione geografica dell’Italia, che costituisce certo un limite che avvantaggia chi voglia colpire con efficacia le vie di comunicazione, non può diventare un alibi.
Sul piano della sicurezza nazionale vi sono infatti alcune iniziative idonee a ridurre i rischi e far meglio fronte alle emergenze.
La prima, a basso costo finanziario e ad alto tasso di buon senso, dovrebbe prevedere sistemi ridondanti di controllo della rete ad Alta Velocità. Vale a dire disporre di tre o quattro centraline come quella di Rovezzano, situate in luoghi diversi e già integrate nella rete ferroviaria in modo che un guasto o un attacco terroristico che colpisse una di esse, consentirebbe in tempi ragionevoli di metterne in funzione un’altra con capacità analoghe.
La ridondanza dei sistemi di controllo del resto è il principio su cui si basa da tempo la sicurezza di aerei, navi e treni per ridurre al minimo il rischio di incidenti.
Inoltre se la società RFI che gestisce stazioni e reti ferroviarie nazionali ritiene da alcuni anni necessario impiegare guardie private armate per garantire la sicurezza dei passeggeri all’interno delle stazioni ferroviarie, dovrebbe a maggior ragione proteggere installazioni di valore strategico per l’efficienza e la vulnerabilità della rete ferroviaria.
Nulla di nuovo neppure in questo caso, basti pensare che nel recente passato si è impiegato persino l’Esercito per proteggere i cantieri ferroviari in Val di Susa e sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria dagli attacchi dei No-Tav e della malavita organizzata.
Infine, più costosa ma con un investimento che farebbe da volano per lo sviluppo economico, appare necessaria la realizzazione di reti ferroviarie ad alta velocità lungo le intere coste tirrenica ed adriatica, utili non solo a collegare il Meridione all’Europa ma anche a disporre di reti alternative su cui dirottare i convogli in caso di guasti o attentati evitando la paralisi nazionale.
La lezione da apprendere dall’attacco incendiario di Rovezzano è quindi semplice e drammatica: bastano poche persone dotate di strumenti a bassa tecnologia, probabilmente neppure terroristi/sabotatori esperti, per paralizzare il traffico ferroviario nazionale provocando danni economici e d’immagine gravissimi.
Eppure un attacco “cinetico” come quello di Rovezzano ha prodotto danni limitati rispetto a quelli che potrebbe infliggere un attacco cibernetico diretto contro infrastrutture critiche civili: minaccia contro la quale nessuno Stato può considerarsi immune.
Attacchi informatici in grado di paralizzare le reti che gestiscono servizi essenziali per ogni società avanzata, da quelli sanitari-ospedalieri al trasporto aereo e ferroviario, dai servizi amministrativi e bancari alla distribuzione elettrica (quanto potrebbe reggere la nostra società privata di energia elettrica?)
Hacker criminali a caccia di ricchi riscatti o al servizio di Stati “nemici” che avrebbero buone possibilità di restare nell’ombra, senza firmare in maniera inequivocabile un simile attacco, più furtivo e più devastante di un blitz militare.
Proprio nei giorni scorsi è stato approvato dal Consiglio dei ministri, e girato al Parlamento per l’approvazione, il disegno di legge sul nuovo “Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica” volto ad assicurare la sicurezza delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici delle amministrazioni pubbliche, degli enti e degli operatori nazionali, pubblici e privati, da cui dipende l’esercizio delle funzioni essenziali dello Stato.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.