Il caso Sea Watch delinea i “nemici” dell’Italia

“Autorità estere che non solo mettono in discussione la legittimità dell’ordinamento italiano, ma che fanno pressione per una sua applicazione secondo il proprio tornaconto nazionale. A questo punto è chiaro che ad essere in gioco sono alcuni valori non negoziabili delle democrazie liberali, quali la sovranità nazionale, la primazia del diritto e i principi di legalità, cui tutti gli europei si ispirano.

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Se una nave battente bandiera straniera deliberatamente non rispetta l’ordinamento italiano usando la forza e allo stesso tempo il nostro diritto di far rispettare la legge viene apertamente messo in discussione da rappresentanti di altri Stati si pone un grave problema di indipendenza politica e di sovranità del nostro Paese. Leggi e confini, costruiti e difesi sia dai padri costituenti che dai nostri avi, anche a costo della loro vita, fin dai tempi del Risorgimento. Non accettiamo pressioni atte a minare la credibilità e la sovranità della nostra Italia”.

Questa lunga dichiarazione, rilasciata il sottosegretario alla Difesa Raffaele Volpi (Lega), dipinge con un’analisi fredda ma efficace i punti salienti e di principio dell’ennesimo “caso Sea Watch”.

Un episodio che certo non altera il bilancio dell’immigrazione clandestina in Italia, in fortissimo calo rispetto agli anni precedenti, ma che ha contribuito a definire in modo chiaro e inequivocabile quali e quanti siano i “nemici” dell’Italia e dei suoi interessi.

Dall’inizio dell’anno al 28 giugno sono sbarcati in Italia 2.601 immigrati illegali contro i 16.566 dello stesso periodo del 2018 (-84,30%) e i 79.154 del 2017 (-96,71%).

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Quelli provenienti dalla Libia sono stati appena 773 mentre in 738 sono partiti dalla Tunisia, 664 dalla Turchia, 241 dall’ Algeria e 184 dalla Grecia.

Numeri così limitati non se erano mai visti dal 2011 e sono certamene il frutto delle iniziative del governo e soprattutto del ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini, la cui operazione “porti chiusi” e i due Decreti Sicurezza non hanno forse permesso di sigillare del tutto le nostre coste ma hanno contribuito a ridurre grandemente i traffici di esseri umani nel Mediterraneo e i morti in mare (grazie anche all’ottimo lavoro eseguito dalla Guardia Costiera libica) e a indurre i trafficanti a dirottare i flussi maggiori verso Spagna e Grecia.

Ciò nonostante la questione migratoria continua ad assumere un significato sempre più politico, ideologico e affaristico che va ben al di là della lotta ai flussi illegali per diventare un tema su cui attaccare il governo italiano (ieri Marco Minniti, oggi Matteo Salvini) su traballanti basi etiche e morali.

Basi che non riescono certo a nascondere, quasi fossero una foglia di fico, gli interessi legati al business di soccorso e accoglienza che ingrassano una parte importante del mondo delle ong/coop per lo più di ispirazione religiosa e di sinistra.

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Non è un caso che questa contrapposizione si sia intensificata, o per meglio dire incattivita, dopo che il Decreto Sicurezza ha ridotto le diarie assegnate a chi si occupa dei migranti giunti illegalmente in Italia da 35 a 21 euro (standard Ue), abbassandone in modo significativo i profitti già ridottisi con il crollo degli sbarchi.

Il caso della Sea Watch e delle altre navi di ong straniere che periodicamente cercano di dimostrare che i porti italiani non sono del tutto chiusi hanno un evidente obiettivo politico: sfidare il governo italiano e dimostrare di essere al di sopra delle leggi degli Stati o più forti di esse e di essi.

Un aspetto quest’ultimo non solo simbolico ma di ampia portata politica: per chi punta a un mondo globalizzato guidato da autorità sovranazionali che rispondono a gruppi d’interesse e puntano al “meticciato” come strumento per la distruzione dei popoli e della loro sovranità espressa democraticamente, è fondamentale dimostrare l’incapacità degli Stati di difendere le proprie frontiere, di imporre e applicare le proprie leggi, di garantire la sicurezza e mantenere gli impegni assunti con i propri cittadini ed elettori.

L’Italia e il suo attuale governo “sovranista” deve quindi fare i conti con questi “nemici” con i quali si scontrò anche Marco Minniti, il ministro dell’interno del PD che per primo cercò di porre un freno ai flussi clandestini e alle attività delle navi delle ong imponendo loro un decalogo ancor oggi ampiamente disatteso.

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Le imbarcazioni continuano a spegnere il trasponder per non essere localizzate ogni volta che, certo “casualmente”, stanno per imbattersi in qualche imbarcazione di migranti illegali. Gommoni o barconi spesso privi di motore e quindi rimorchiati dai trafficanti, sempre “per caso” a due passi dalle navi delle ong.

L’offensiva lanciata da questi “nemici” dell’Italia e dei suoi interessi non conosce soste e può contare su ampi supporti presso una parte della Magistratura (manifestamebnte espostasi al fianco delle Ong), i vertici della Chiesa Cattolica (molti meno tra i fedeli come dimostrano le chiese e persino Piazza San Pietro sempre più deserte) e molti media che continuano il processo di eutanasia in termini di credibilità, di copie vendute e audience piegandosi all’ideologia e più che all’informazione.

Il martellamento propagandistico sui “lager libici” cozza clamorosamente con le immagini dei clandestini palestrati e ben nutriti che sbarcano dalle navi delle Ong.

Certo persino il ministro degli esteri Enzo Moavero afferma che la Libia non è un porto sicuro ma la questione è discutibile. La Libia è assistita da Onu, Ue e Italia, copre un’area di ricerca e soccorso riconosciuta, nei porti libici sono presenti in forze le agenzie dell’Onu che assistono i migranti riportati indietro dalla Guardia Costiera libica con oltre 3.500 persone salvate da inizio anno.

Agenzie dell’ONU che in un anno e mezzo hanno già rimpatriato con voli da Tripoli oltre 40 mila clandestini partiti da un aeroporto evidentemente sicuro dopo essere sbarcati in porti evidentemente sicuri.

Chi fosse interessato realmente agli aspetti umanitari dovrebbe battersi per rendere più sicura la Libia e per il rimpatrio dei clandestini da Tripoli, non per il loro arrivo in Italia (sempre e solo in Italia!), che avvenga con trafficanti e ong o con i cosiddetti “corridoi umanitari”.

Inneggiare a una fuorilegge che ha speronato una motovedetta della Guardia di Finanza rischiando di ferire o uccidere dei militari regalerà certo ulteriori consensi alla Lega ma getta il discredito su chi si esprime in tal senso.

In termini politici tra i “nemici” dell’Italia va purtroppo annoverato anche il PD, che dopo aver rinunciato a ricandidare (o ad attribuirgli un rilevante ruolo politico) le sue figure di maggior rilievo, incisività e competenza, oggi non riesce ad andare oltre una progettualità politica da centro sociale (“porti aperti” e “ius soli”).

Basti pensare che vicino alla “capitana” tedesca Carola Rackete, mentre speronava la motovedetta per entrare nel porto di Lampedusa, si trovavano alcuni deputati del PD incluso quel Graziano del Rio che fino al marzo 2018 era stato ministro dei Trasporti e quindi anche della Capitaneria di Porto/Guardia Costiera.

Come spesso è accaduto nella Storia, i “nemici” interni dell’Italia sono spesso al servizio dei nemici “esterni”, oggi Bruxelles, Berlino, Parigi e Madrid, ostili da sempre all’Italia e oggi ancor di più al suo governo, che considerano l’immigrazione illegale uno strumento per mettere in ginocchio Roma.

Quando Minniti chiedeva con cortese fermezza il supporto europeo e che qualche nave dell’Operazione Sophia sbarcasse i clandestini nei suoi porti e non in Italia la Ue non si degnava neppure di rispondere. Oggi che l’Italia ha chiuso i porti (o quasi) e tutti i documenti comunitari parlano di lotta ai trafficanti e stop all’immigrazione illegale, Francia e Germania usano il caso “Sea Watch” per attaccare il nostro governo con argomenti a dir poco strumentali mentre l’Olanda, nonostante i numerosi richiami, ha di fatto finto di dimenticare che la nave “pirata” batte la sua bandiera nazionale.

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Il ministro dell’Interno francese Christophe Castaner, fedelissimo di Macron, sostiene che chiudere i porti viola la legge del mare.  Espressione curiosa in bocca ai leader di un paese che ha blindato Ventimiglia bloccando l’applicazione del Trattato di Schenghen e che ordinava alla polizia di “sbolognarci alla chetichella” nei boschi di confine i suoi clandestini.

Anche Parigi ha poi recentemente chiuso i suoi porti alle navi delle Ong come ha fatto anche la Spagna che multa e sequestra le navi che dovessero sbarcare immigrati illegali ma non blocca le ong iberiche che vogliono portarli in Italia.

Il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas, ha avvertito che “soccorrere vite in mare non può essere criminalizzato”.  A parte il fatto che paragonare a naufraghi chi paga migliaia di euro i trafficanti peer migrare illegalmente è un insulto a chi per mare ci va davvero per guadagnarsi il pane, è evidente che qui non si tratta di soccorso ma di trasferimento di immigrati illegali sempre e solo verso l’Italia.

Un attacco strumentale all’Italia se si valuta che il governo tedesco ha da poche settimane approvato il cosiddetto “Migration Paket” che prevede espulsione immediata dei migranti illegali, ampliamento della detenzione preventiva per chi entra illegalmente in Germania e taglio del welfare agli stranieri che potranno essere sottoposti a perquisizioni senza bisogno di mandato giudiziario.

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“Difendere i confini nazionali non è un diritto ma un dovere. L’Italia non prende lezioni da nessuno e dalla Francia in particolare” ha detto Salvini mentre il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha detto che “abbiamo cercato di far rispettare le leggi italiane e del buon senso. Questo tipo di prepotenza non può essere coperto da nessuno, tantomeno da stati sovrani”.

“Le modalità’ dell’ingresso della Sea Watch 3 nel porto di Lampedusa e la successiva internazionalizzazione del caso segnano un salto di qualità’ nella gestione illegale dei flussi migratori diretti verso il nostro Paese.

Non solo è stata messa a rischio la vita di un equipaggio e la sicurezza di un’unità navale dello Stato, ma autorità politiche di Stati esteri hanno censurato il comportamento del governo italiano, intento ad assicurare il rispetto di leggi approvate da un Parlamento liberamente eletto”.

Dure critiche all’Italia per il caso “Sea Watch” sono giunte anche dai Verdi tedeschi, dal Consiglio delle chiese protestanti tedesche (tra i finanziatori di Sea Watch) e dal degli Esteri del Lussemburgo Jean Asselborn.

Persino l’ONU (che già ci manda gli ispettori accusandoci di razzismo) ha avuto parole dure chiedendo all’Italia di far sbarcare i migranti della Sea Watch (strano non l’abbia chiesto all’Olanda) ma il braccio di ferro tra Roma e il Palazzo di Vetro è ormai una costante da quando il governo italiano si è rifiutato di firmare il “Migration Compact”, che di fatto sancisce il diritto per chiunque di emigrare ovunque voglia.

La schiera di “nemici”, interni ed esterni, con i quali l’Italia deve fare i conti è quindi lunga e agguerrita ma lo scontro sui migranti rappresenta solo uno dei campi di battaglia sui quali si svilupperà lo scontro.

@GianandreaGaian

 

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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