Accordo coi Talebani: a Doha gli Usa ratificano la loro sconfitta
In Qatar gli Stati Uniti e i Talebani sarebbero vicinissimi a un accordo di pace preliminare che potrebbe non salvaguardare le leggi sociali applicate dopo la caduta del regime islamista nel 2001 e soprattutto quelle per la tutela dei diritti conquistati dalle donne e delle bambine.
Lo ha scritto sabato il New York Times, secondo il quale sarebbe questione di giorni per l’ufficializzazione dell’intesa, dopo diverse settimane di intensi colloqui tra le due delegazioni a Doha.
Il documento, secondo diverse fonti “a conoscenza dell’accordo”, prevede una prima fase di ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan e l’avvio di colloqui diretti tra i miliziani e il governo di Kabul.
Il primo passo sarà la partenza di 5.000 dei 14.000 militari americani di stanza nel Paese, in cambio della rinuncia dei Talebani a lasciar operare in Afghanistan gruppi terroristici quali al-Qaeda e lo Stato Islamico.
Promessa difficile da mantenere da un lato perché al-Qaeda è ornai ben radicata all’interno del movimento talebano al fianco del quale combatte ormai da 20 anni, dall’altro perché difficilmente i talebani riusciranno a sconfiggere i rivali nella galassia jihadista dello Stato Islamico, la cui forza combattente e terroristica sta aumentando ed è ben radicata in alcune province orientali, soprattutto quella di Nangharar.
Del resto se l’ultima strage terroristica (almeno 63 morti e 182 feriti) a una festa di matrimonio nel quartiere scita di Kabul è stata rivendicata dallo Stato Islamico del Korashan (branca afghana del Califfato) molti altri attacchi suicidi compiuti nell’ultimo anno sono stati opera dei Talebani.
Il 7 agosto una loro autobomba volta a colpire le forze di sicurezza è esplosa nella stessa zona di Kabul, abitata soprattutto dalla minoranza sciita degli Hazara, provocando 14 morti e 145 feriti, la maggior partedei quali civili.
Nonostante l’ascesa dello Stato Islamico, i Talebani restano il più importante gruppo di miliziani e terroristi dell’Afghanistan con forze oltre dieci volte superiori ai circa 5mila combattenti che secondo le stima schiererebbe l’IS.
Il fatto che il primo passo dell’intesa preveda il ritiro di oltre un terzo delle forze statunitensi (e di conseguenza anche di molti contingenti Nato) la dice lunga sulla fretta del presidente Trump di giungere a un accordo che gli consenta di spacciare il ritiro delle truppe come un successo da spendere in termini di consenso nelle elezioni presidenziali del novembre 2020
Il 16 agosto, dopo una riunione con i più alti consiglieri di sicurezza nazionale e l’inviato speciale Usa Zalmay Khalilzad, appena tornato da Doha, il presidente Trump ha twittato: “Abbiamo appena concluso un incontro molto buono sull’ Afghanistan. Molti sono contrari a questa guerra che va avanti da 19 anni e noi vogliamo fare un accordo (di pace), se è possibile”.
Hogan Gidley, portavoce della Casa Bianca, ha aggiunto al termine della riunione a Bedminster, nel New Jersey, che “l’incontro è andato molto bene e i negoziati stanno andando avanti”.
Il ritiro totale delle truppe a stelle e strisce dovrebbe avvenire nell’arco di due anni o poco meno ma l’obiettivo politico di Trump sembra essere quello di ritirare prima del voto negli Usa il grosso delle forze lasciando a Kabul un po’ di consiglieri militari.
Del resto già dopo il rientro dei primi 5mila militari le capacità delle forze Usa e alleate (le operazioni Resolute Support per addestrare le forze afghane e Freedom Sentinel per combattere i terroristi) di appoggiare con efficacia le unità militari afghane verrà meno.
Non a caso il ritiro immediato di oltre il 30 per cento delle truppe statunitensi è la condizione tassativa posta dai Talebani per aprire ai negoziati con il governo di Kabul sulla spartizione del potere e il futuro del Paese. I dettagli di questo processo non sono ancora definiti e potrebbero influenzare il ritmo del ritiro americano.
Appena annunciato l’accordo e il relativo cessate il fuoco – a farlo potrebbe essere lo stesso Trump – Talebani e governo afghano dovrebbero avviare colloqui bilaterali.
Prima dell’annuncio è possibile che Khalilzad voli di nuovo in Qatar per ulteriori colloqui. L’intesa preliminare, hanno fatto sapere al New York Times alcuni “funzionari”, non dovrebbe includere garanzie specifiche sul fatto che le donne continueranno a godere di opportunità e diritti nel campo dell’educazione, dell’impiego e dell’accesso alla politica.
Un tema considerato forse di minore rilevanza (probabilmente di scarso valore anche per molti esponenti politici dell’attuale governo afghano) rispetto alle questioni strategiche e geopolitiche dibattute nei negoziati di Doha ma in realtà di grande rilievo sociale e simbolico.
Se ricordiamo come burqa e diritti di donne e bambine furono tra i punti centrali della propaganda statunitense a sostegno dell’Operazione Enduring Freedom e dell’invasione dell’Afghanistan nell’ottobre 2001 teso ad abbattere il regime dei Talebani, oggi il via libera degli USA a un accordo che non tenga conto neppure di questi basilari diritti umani ben rappresenta la sconfitta di Washington e dell’Occidente dopo quasi 20 anni di guerra e anticipa il ritorno dei Talebani nei palazzi del potere a Kabul.
Foto US DoD, Isaf, CNBC e ABC
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.