La difficile attuazione del Trattato sul commercio delle armi
E’ di questi giorni (26 – 30 agosto) la periodica Conferenza che la diplomazia internazionale riserva al Trattato multilaterale sul commercio di armi convenzionali (ATT).
Questo appuntamento – avviatosi nel 2015 sotto la spinta del Segretariato delle Nazioni Unite cui è demandato il compito di sostenere gli Stati nell’attuazione dell’Accordo e garantire che i trasferimenti siano effettuati in modo conforme al Trattato – fornirà ancora l’occasione di elaborare raccomandazioni di merito; valutare gli emendamenti e le interpretazioni di questa fonte giuridica internazionale, ma non potrà evitare l’arduo compito di verificarne il suo perfezionamento, ovvero: la distanza che ancora lo separa dal renderlo definitivamente operante.
A questo riguardo proprio nell’ambito della conferenza tenutasi nel 2017 prese corpo un apposito gruppo di lavoro permanente (Working Group Effective Treaty Implementation – WGETI, organizzato per aree tematiche in tre sottogruppi) con l’obiettivo di guidare e supportare gli Stati Parte nell’esecuzione operativa dei singoli dettati giuridici del Trattato.
Oggi i risultati di quella iniziativa, tratti dai lavori dei sottogruppi di lavoro, ci forniscono lo spessore dei traguardi raggiunti, ma anche degli ostacoli ancora da superare; le luci e le ombre che ancora si proiettano nella dimensione internazionale del commercio delle armi convenzionali e in seno alla attuale Conferenza ginevrina.
Non per caso da questi atti emergono le difficoltà di ottenere dai singoli Stati Parte i dati per la valutazione del rischio che le predette armi possano essere utilizzate per commettere o agevolare gravi atti di violenza; non per caso si registrano omissioni riguardanti la messa a disposizione dello “Stato Parte importatore”, ma anche degli “Stati Parte di transito”, delle informazioni – previste dal Trattato – afferenti alla conformità dell’autorizzazione «con la legislazione, le pratiche e la politica nazionale dello Stato esportatore».
Su questo tema il gruppo di lavoro ha ritenuto utile che questi Stati possano ricevere consulenza e si orientino a condividere le loro esperienze nell’attuazione di questi obblighi. E a tale riguardo pur potendo ricorrere al supporto fornito da alcuni documenti di orientamento già esistenti sul tema della valutazione del rischio, la scelta rimane ancora su base volontaria.
Anche il valore dell’accesso alle competenze che richiede la materia del Trattato, così come la formazione dei relativi funzionari addetti alle autorizzazioni, risulta da migliorare; pressoché nulla “l’esperienza”, ma potremmo anche dire “la coerenza”, degli Stati Parte nel rifiutare le licenze sulla base delle disposizioni del Trattato, per il quale rifiuto nessuna delegazione statale ha indicato, ad oggi, alcunché.
In ambito WGETI tuttavia sono state anche fornite proposte in merito alla condivisione dei documenti di importazione. La stessa terminologia è stata presa in esame, e il sottogruppo di lavoro ha messo in evidenza la mancanza di una comprensione comune riguardo al termine “utilizzatore finale” e “utilizzazione finale”.
Aspetto, quest’ultimo, non di poco conto. Prova ne sia che la maggior parte dei partecipanti ha sostenuto la creazione di una guida volontaria come repositorio di termini chiave utilizzati dagli Stati. Guida volontaria che darebbe ai medesimi l’opportunità di scegliere i termini più adatti alle loro modalità interne ed essere altresì utilizzata per elevare a sistema le rispettive pratiche nazionali.
Un miglioramento gestionale si evince dai dati riguardanti i sistemi nazionali di controllo.
Il Sottogruppo incaricato ha preso in esame la nuova sezione che figura all’interno della Guida base allo scopo di supportare l’istituzione di un regime di controllo nazionale per la conservazione dei dati, e su questa materia un valido contributo è giunto dal Regno Unito e dall’Australia che hanno presentato i loro sistemi di conservazione dei dati per le esportazioni e le importazioni.
Sono stati condotti numerosi interventi sui diversi approcci adottati e sui sistemi in atto a livello nazionale, e contributi su questo importante aspetto sono stati forniti anche da quegli Stati che non hanno ancora istituito un sistema di conservazione dei dati e sono in cerca di consigli su come poterlo organizzare.
Anche i sistemi elettronici di conservazione dei dati e le opzioni offerte dalle moderne tecnologie sono state in questo periodo oggetto di forte interesse, e tra queste le licenze elettroniche. Interesse palesato soprattutto da quegli Stati che attualmente si stanno orientando verso l’individuazione di nuove pratiche e nuovi sistemi di conservazione dei dati.
Un cenno conclusivo merita la questione della universalizzazione di questa fonte giuridica multilaterale. La distanza da questo traguardo di adesione, espresso in forma di auspicio nella parte finale del Preambolo, ci è fornita dai dati attualmente pubblicati dalle Nazioni Unite:
Numero degli Stati | Posizione |
104 | Stati che hanno ratificato, accettato, approvato per aderire al trattato |
33 | Stati che hanno firmato il trattato
ma non lo hanno ancora ratificato, approvato o accettato |
57 | Stati membri delle Nazioni Unite che non hanno ancora aderito al Trattato |
Scorrendo la lista dei Paesi annotati nelle singole posizioni che riflettono lo status del Paese rispetto al Trattato, si può evincere che la strada della universalizzazione sia ancora piuttosto lunga e contrastata.
Prova ne sia anche la lettera che poco più di un mese fa gli Stati Uniti hanno inviato al Segretario Generale delle Nazioni Unite, quale depositario del Trattato:
«In relazione al Trattato sul commercio di armi, messo a punto a New York il 2 aprile 2013, gli Stati Uniti non intendono aderirvi. Di conseguenza, gli Stati Uniti non hanno alcun obbligo legale derivante dalla sua firma il 25 settembre 2013.». Il documento poi prosegue con una ulteriore precisazione: «Gli Stati Uniti chiedono che la loro intenzione di non diventare parte, come espresso in questa lettera, debba riflettersi negli elenchi di stato del Depositario relativi a questo Trattato e in tutti gli altri media disponibili al pubblico. Il Trattato dovrebbe essere aggiornato per riflettere questa intenzione di non diventare Parte.».
Ecco il contesto che si presenta alla infaticabile diplomazia itinerante di questa quinta Conferenza.
Foto: ATT, Difesa.it, Sukhoi, US DoD e AFP
Giovanni PaganiVedi tutti gli articoli
Nato a Lucca nel 1955, laureato in Scienze Politiche con specializzazione Internazionale. Ha conseguito certificazioni presso l'Università di Genova e l'Istituto di Chimica degli esplosivi della MMI ("Master in Sicurezza degli esplosivi"), presso l'Università di Bergamo ("Master in Security Management"), presso l'Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica di Milano, presso lo Stato Maggiore della Difesa (CIFIGE). Le sue esperienze professionali lo hanno portato a operare presso le aziende Oto Melara, Alenia Marconi Systems e MBDA. E' esperto di sicurezza nei trasporti di materiale bellico e esperto qualificato in ambito AIAD (Associazione Industrie Aerospazio e Difesa) nei settori del Trasporto di Merci pericolose.