Erdogan ricatta l’Europa e attiva con gli USA la “safe zone” turca nel nord della Siria
Gli eserciti di Turchia e Stati Uniti iniziano oggi a pattugliare il territorio destinato a diventare una “safe zone” (ma sarebbe meglio chiamarla “zona cuscinetto”) in territorio siriano, lungo il confine con la Turchia.
Lo ha reso noto ieri il ministro della Difesa turco, generale Hulusi Akar, fino al 2018 capo dell’esercito di Ankara. “Abbiamo un accordo in base al quale a partire dall’ 8 settembre partiranno pattugliamenti da effettuare sul campo”, ha detto Akar, che ha poi rivelato che le attività di ricognizione degli Usa, tramite elicotteri e droni, sono già iniziate.
Lo scorso 7 agosto Turchia e Stati Uniti hanno raggiunto un’intesa per stabilire un centro operativo congiunto che monitori una “safe zone” al confine tra Turchia e Siria, da amni chiesta da Ankara ma ora pretesa lungo un’area di 32 chilometri di profondità in territorio siriano ed estesa per 450 chilometri lungo tutto il confine turco-siriano a est del Fiume Eufrate fino alla frontiera con l’Iraq.
Un’ area da cui il presidente Recep Tayyip Erdogan ha promesso di eliminare le postazioni delle forze curdo-siriane, che costituiscono la componente più importante delle milizie delle Forze Siriane Democratiche (FDS) appoggiate e affiancate da truppe USA, Britanniche e francesi.
Le Unità di Difesa Popolare (YPG) del Partito Democratico Curdo (PDY) sono da tempo motivo di tensioni e polemiche tra Turchia e Stati Uniti, in quanto considerate alleati contro lo Stato Islamico dalla Coalizione a guida Usa, ma terroristi da Ankara, che li ritiene l’ala siriana del Partito Curdo dei Lavoratori (PKK) con cui la Turchia è in guerra dal1984.
Nella strategia turca la “safe zone” è indispensabile per separare le milizie curde dal confine nazionale e per disporre di una porzione di territorio siriano in cui trasferire almeno una parte dei profughi soriani da tempo riparati in territorio turco.
Le autorità curdo-siriane hanno però respinto con forza il 6 settembre la proposta della Turchia di trasferire circa un milione di profughi siriani nella Siria nord-orientale. Altri 350.000 siriani sono già tornati in parti del paese che sono state poste sotto il controllo turco (nel nord, a ovest dell’Eufrate) durante le offensive del 2016 e del 2018
In un’intervista ripresa dai media siriani, il presidente del consiglio legislativo della regione semi-autonoma curdo-siriana, Hussein Azzam, ha affermato che le autorità curde sono pronte ad accogliere i siriani fuggiti all’ estero provenienti dalle regioni nord-orientali (cioè coloro che già prima della guerra erano residenti nel Rojava, i territori a maggioranza curda) ma non i siriani originari di altre regioni della Siria.
Proprio questi ultimi costituiscono la gran parte dei profughi che Ankara vorrebbe trasferire, per lo più sostenitori dei ribelli islamisti delle diverse milizie sunnite sconfitte in quasi tutta la Siria dalle truppe governative di Bashar Assad.
Come appare nell’immagine qui sopra la “safe zone” unirebbe i territori del nord a ovest dell’Eufrate già controllati dai turchi con quelli a est del fiume esclusa l’area di Qanishi, controllata come Hasaka dall’esercito siriano.
Anche Damasco si oppone all’iniziativa di Ankara, già impegnata a sostenere i ribelli qaedisti e milizie filo-turche asserragliati nel nord della provincia nord-occidentale di Idlib, considerandola un’invasione legittimata da altri invasori, i militari anglo-franco-americani della Coalizione la cui presenza in territorio siriano, al pari di quella turca, non è legittimita dal diritto internazionale né da risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Nei giorni scorsi, su pressione degli USA, le milizie curde (nelle foto a lato e sotto durante la liberazione di Raqqa dalle milizie dell’Isis) avevano annunciato l’inizio di un ritiro parziale dalle loro postazioni a ridosso della frontiera turca a nord di Raqqa, mentre il 5 settembre forze militari turche e statunitensi hanno condotto per la terza volta in pochi giorni un pattugliamento aereo della zona frontaliera sui distretti di Ras al Ayn e Tall Abyad, tra il confine turco e la zona rurale a nord di Raqqa.
Il 5 settembre Erdogan ha minacciato l’Europa di riaprire la “rotta balcanica” dei migranti lasciando che un milione di siriani si dirigano dalla Turchia in Europa se non dovesse venire autorizzata la “safe zone” in Siria.
Il presidente ha affermato che la Turchia ha speso 40 miliardi di dollari per i rifugiati e ha criticato l’Occidente, soprattutto l’Unione Europea, per non aver mantenuto le sue promesse.
Come è noto, nell’ambito di un accordo del 2016, dopo i mega-flussi di migranti illegali dell’anno precedente (nella foto sotto), l’UE ha promesso ad Ankara 6 miliardi di euro in cambio di maggiori controlli sui migranti illegali che tentano di venire in Europa, affermando che finora sono arrivati solo tre miliardi di euro.
“Potremmo essere costretti a aprire le porte per ottenere questo sostegno internazionale”, ha detto Erdogan.
Il portavoce della Commissione Europea Natasha Bertaud a Bruxelles ha respinto le accuse di Erdogan affermando che l’UE ha fornito 5,6 miliardi di euro alla Turchia in base all’ accordo, con “il saldo rimanente che dovrebbe essere assegnato a breve”
Nei giorni scorsi, su pressione degli USA, le milizie curde avevano annunciato l’inizio di un ritiro parziale dalle loro postazioni a ridosso della frontiera turca a nord di Raqqa, mentre il 5 settembre forze militari turche e statunitensi hanno condotto per la terza volta in pochi giorni un pattugliamento aereo della zona frontaliera sui distretti di Ras al Ayn e Tall Abyad, tra il confine turco e la zona rurale a nord di Raqqa.
Foto: AFP, Anadolu, South Front, EPA, Reuters e AP
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