I musulmani bosniaci puntano a Nato e Ue…..a spese di serbi e croati

Sabato 14 settembre si è svolto a Sarajevo il VII congresso nazionale dell’SDA – Stranka Demokratske Akcije (Partito di Azione Democratica), la creatura politica creata da Alija Izetbegovic nel 1990 per dare voce alla popolazione bosniaco-musulmana.

L’evento, seguito con grande interesse anche dalle altre “etnie” della Bosnia Erzegovina (BiH), ha avuto il suo momento più rilevante con l’adozione della Dichiarazione Programmatica e della Risoluzione dell’SDA. Si tratta, infatti, dei due documenti che ambiscono a tracciare il nuovo corso politico che intende intraprendere il Partito al fine di modificare radicalmente le stessi basi amministrative e organizzative dello Stato, anche al fine di accelerarne l’ingresso nella NATO e nella UE.

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Supporto alle attività del partito è stato espresso da Joseph Daul, segretario del Partito Popolare Europeo (PPE) che, in una lettera indirizzata ai delegati e al presidente dell’SDA, ha scritto che la “Bosnia Erzegovina, senza il vostro contributo, non proseguirà nel percorso Euroatlantico. Saluto quindi il vostro duraturo impegno per l’integrazione europea e atlantica.”

Andando nel dettaglio, la Dichiarazione Programmatica del VII Congresso – dopo la rituale invocazione a Dio e alcune considerazioni generiche – ribadisce l’intenzione di ottenere quanto prima l’ingresso nell’Unione Europea e nell’Alleanza Atlantica, così come in altre (non specificate) organizzazioni.

Più complicata, invece, risulta essere la volontà di adottare una legge che proibisca la negazione del “genocidio” (implicito riferimento ai fatti di Srebrenica che i serbi invece definiscono “massacro”) e che salvaguardi “la verità sull’aggressione contro la Bosnia Erzegovina del 1992-1995”.

Si tratta, come si può facilmente comprendere, di argomenti estremamente divisivi e potenzialmente in grado di causare forti contrasti tra le diverse entità in quanto, cristallizzando per legge la storia recente del paese, i serbi e i croati si troverebbero quasi certamente dal lato “sbagliato”.

Interessante è anche la proposta di difendere gli “interessi dei bosgnacchi nei paesi confinanti”, nonché supportare le istituzioni e le ONG che si occupano di custodire tradizione, cultura e identità della popolazione bosniaco-musulmana, anche se al punto successivo il programma prevede l’affermazione di un’unica identità bosniaca, fermo restando il riconoscimento delle peculiarità delle singole etnie.

Quanto evidenziato sino ad ora, per quanto potenzialmente fonte di contrasto, risulta comunque essere relativamente secondario a quella che è la vera rivoluzione introdotta dalla Dichiarazione Programmatica.

Il capitolo II del documento dal titolo Re-integrazione della Bosnia Erzegovina (Reintegracija Bosne i Hercegovine), infatti, auspica, senza giri di parole, l’abolizione degli Accordi di Dayton, ritenuti il modo con cui gli “aggressori” sono riusciti ad ottenere numerosi strumenti per bloccare e ostacolare il funzionamento dello Stato.

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Alla luce di ciò, non sorprende che l’SDA si scagli anche contro quelle forze politiche che cercano di ottenere “ulteriori divisioni”, chiaro riferimento alla componente croata che richiede la creazione di una propria entità separata.

Al capitolo IX, infatti, viene previsto che la nuova BiH venga riorganizzata su base regionale, con l’individuazione di Sarajevo come centro politico amministrativo, culturale ed economico del paese, un’ipotesi non facile da far accettare a croati e serbi che attualmente costituiscono un’esigua minoranza della popolazione cittadina (nel 1991 rappresentavano circa il 35% degli abitanti), tanto più che vi è l’impegno a “riannettere” le zone della città che in seguito alla guerra sono passate sotto l’amministrazione della Republika Srpska.

Infine, ampio spazio viene anche dato alla volontà di riuscire a sbloccare l’ingresso in UE e NATO, considerate come scelte fondamentali per il futuro del paese e, incidentalmente, necessarie a garantire al nuovo stato il supporto necessario a contrastare qualsiasi spinta centrifuga proveniente dalle comunità croata e, soprattutto, serba.

Quest’ultima, infatti, memore dei bombardamenti subiti e vicina culturalmente e politicamente a Belgrado, si oppone con decisione a qualsiasi passo ulteriore verso l’Alleanza Atlantica anche perché ciò significherebbe non solo la rinuncia a qualsiasi velleità di riunificazione con la Serbia, ma anche al mantenimento degli stretti rapporti esistenti con la “madrepatria”.

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Come è facile immaginare, un programma così ambizioso non ha incontrato grande favore al di fuori dei sostenitori dell’SDA. Come riporta InfoSrpska, Milorad Dodik (neklla foto a sinistra)  rappresentante serbo nella presidenza tripartita del paese, ha infatti affermato che la “dichiarazione è anticostituzionale, contraria a Dayton, mina la pace, ignora la realtà e il fatto che esistono altri popoli costitutivi [della BiH] come i Serbi e i Croati”. Rincarando la dose, inoltre, egli ha accusato l’SDA di Bakir Izetbegovic di voler continuare il piano teorizzato da suo padre Alija, ossia la creazione di uno stato per soli musulmani.

Allo stesso modo, anche il Consiglio Nazionale Croato della Bosnia Erzegovina ha espresso disappunto per il documento, definendo “inaccettabile” la Dichiarazione, ritenuta un salto nel passato che non contribuisce a rafforzare o modernizzare il paese, nonché una “violenza” nei confronti dei croati. Mentre Zagabria non si è ancora fatta sentire, il presidente serbo Aleksandar Vucic ha definito un problema il documento programmatico, in quanto indirizzato ad abolire gli stessi accordi di Dayton di cui Belgrado è uno dei garanti.

Ciò premesso, è possibile ora fare alcune considerazioni in merito al programma adottato dal Partito di Azione Democratica. Innanzitutto, la scelta di attaccare frontalmente gli Accordi di Dayton è “comprensibile” perché l’SDA resta il partito più forte della comunità etnicamente più numerosa del paese (quella islamica) e di conseguenza anche il movimento più danneggiato dall’attuale equilibrio costituzionale in cui la ripartizione delle cariche avviene equamente e indipendentemente dal reale peso delle etnie.

Il problema è, però, che la soluzione proposta non pare essere pacificamente attuabile in quanto né i serbi né i croati hanno motivo di rinunciare allo status quo, soprattutto considerando che se passasse l’idea di uno stato unitario rischierebbero di trovarsi in forte difficoltà nelle amministrazioni locali come in quelle regionali (e nel Parlamento nazionale).

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In aggiunta, la vicinanza tra l’SDA e la Comunità Islamica, confermata anche all’interno dello stesso documento, difficilmente può trovare l’appoggio dei cristiani o dei non praticanti.

Proprio questo aspetto riveste particolare importanza, dato che a fronte delle dichiarazioni di volersi aprire a tutti – indipendentemente dal credo religioso e dall’appartenenza etnica – il Partito di Azione Democratica resta sostanzialmente musulmano e per i musulmani, come conferma il fatto che si propone di essere il garante di tutti i bosgnacchi residenti nei paesi confinanti e che intende promuovere a tutti i livelli una lingua “bosniaca” separata dal croato e dal serbo.

Non manca, inoltre, una notevole attenzione rivolta alla lotta alla “propaganda contraria al popolo bosgnacco”, espressione con cui l’SDA si ripropone di combattere le tesi secondo cui i bosniaci-musulmani sarebbero radicali (riferimento indiretto all’estremismo religioso), anche se poi finisce paradossalmente per ammettere di avere un problema interno laddove solo pochi capitoli dopo si richiama alla promozione di un Islam moderato e autoctono.

Ovviamente, l’integralismo è un problema che riguarda solo una minima parte della popolazione locale di fede musulmana, ma l’attitudine dei partiti politici bosgnacchi a minimizzare la questione o ad accusare di islamofobia gli esperti (locali e non) che hanno evidenziato come l’influenza wahabita e salafita non abbia aiutato ad affrontare seriamente ed efficacemente questa minaccia.

In conclusione, sebbene sia ovvio che i leader politici europei e statunitensi interessati ad espandere ulteriormente i confini di UE e NATO nei Balcani non possano che apprezzare l’entusiasmo dell’SDA è bene che gli stessi facciano attenzione ai personaggi e ai programmi che decidono di supportare.

La stabilità della BiH, infatti, è estremamente precaria e un eventuale irrigidimento delle posizioni rischierebbe di avere un effetto domino e di coinvolgere nuovamente Croazia e Serbia. In più, non va nemmeno dimenticato che l’SDA, pur essendo un membro osservatore del Partito Popolare Europeo, ha anche forti legami con paesi islamici che hanno interessi ben diversi da quelli del Vecchio Continente.

 

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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