Le armi serbe nel conflitto yemenita
Nei giorni scorsi il sito investigativo Bellingcat ha pubblicato un’interessante analisi realizzata da Eric Woods in merito all’uso di armi di provenienza serba sul campo di battaglia yemenita.
Stando a quanto scoperto dall’autore grazie alla sua attività di ricerca intelligence su fonti aperte (OSINT), infatti, l’Arabia Saudita avrebbe acquistato da Belgrado fucili d’assalto Zastava M05 e li avrebbe a sua volta girati alle Forze di Supporto Rapido Sudanesi e all’Esercito Sudanese dislocato sul confine saudita-yemenita.
La ricostruzione effettuata dalla testata investigativa parte dall’analisi di alcuni video pubblicati su Youtube e Telegram dalle milizie Houthi e nei quali erano volutamente ripresi non solo i documenti d’identità rilasciati dalle Autorità del Darfur ai combattenti uccisi nei pressi del confine saudita, ma anche le armi che questi avevano a disposizione.
Come si può notare, sia il calcio che il paramano (con le tre fessure per il raffreddamento) sono riconducibili allo Zastava M05 E1 (l’assenza di slitte a coda di rondine e Picantinny portano ad escludere che si tratti dell’E2 o dell’E3), per cui non vi sarebbero dubbi sull’origine del fucile d’assalto.
In un altro filmato, invece, oltre ai corpi di combattenti di origine africana, venivano inquadrati altri Zastava M05 e numerosi caricatori, nonché delle granate – anche se non è presente alcun lanciagranate BGP 40mm (sempre prodotto dalla Zastava).
Lo stesso Eric Woords, comunque, evidenzia come da parte saudita vi fossero state delle rassicurazioni scritte circa il fatto che tutto il materiale d’armamento acquistato da Belgrado sarebbe stato unicamente utilizzato dalle Forze Armate di Riyadh e non soggetto a riesportazione, clausola che evidentemente non è stata rispettata, come peraltro già successo con forniture statunitensi finite anch’esse sul campo di battaglia in Yemen.
In ogni caso, come evidenziato sempre da Bellingcat, il secondo elemento di interesse, ossia la presenza delle forze armate regolari sudanesi sul luogo del conflitto non è più un segreto, ma anzi è confermata anche dai post pubblicati sui social network da alcuni militari. In una di queste, in particolare, si può vedere un sergente che imbraccia uno Zastava M05 mentre alcuni soldati sauditi siedono poco dietro di lui.
Secondo il New York Times, inoltre, a fine 2018 erano oltre 14.000 i miliziani di Karthoun che avevano combattuto nella guerra civile yemenita, tra cui le già citate Forze di Supporto Rapide, accusate di stupri sistematici, omicidi e altri crimini di guerra durante il conflitto in Darfur. In ogni caso, le fonti del quotidiano statunitense hanno confermato che armi ed equipaggiamento vengono forniti direttamente da Riyadh, che si occupa di tutta la logistica e della pianificazione delle operazioni, ma che si rifiuta di mandare i propri soldati in prima linea, preferendo contare su truppe più “sacrificabili” e a basso costo.
Sempre stando al NYT, infatti, la paga di un combattente sudanese si aggirerebbe tra i 480 e i 530 dollari al mese, oltre ad un bonus di ulteriori 185-285 dollari per ogni mese di combattimento e un bonus finale di 10.000 dollari dopo ogni turno di 6 mesi.
Ciò detto, è opportuno sottolineare che, sebbene vi sia stata una scarsa copertura mediatica sul tema, la Serbia negli ultimi anni ha effettivamente concluso diversi importanti contratti con le Monarchie del Golfo per la vendita di materiale d’armamento, sia di produzione nazionale, che originario delle repubbliche vicine (Bosnia, Croazia, Ungheria) ma fatto transitare sempre attraverso società serbe.
Nello specifico, sebbene in diverse quantità, sia gli Emirati Arabi che l’Arabia Saudita a partire dal 2014 hanno acquistato lanciarazzi multipli, lanciarazzi, razzi d’artiglieria, mitragliatrici pesanti, fucili d’assalto e fucili anti-materiale per equipaggiare non i reparti nazionali ma bensì unità combattenti alleate nel conflitto yememita.
A titolo d’esempio, stando al Registro ONU delle Armi Convenzionali (UNROCA), nel 2017 Riyadh ha comprato in Serbia 50 veicoli da combattimento di tipo imprecisato, 50 sistemi d’artiglieria di grosso calibro (probabilmente lanciarazzi campali da 122 millimetri) 16.000 fucili d’assalto, 800 mitragliatrici, 50 mitragliatori pesanti e 260 mortai da 81 millimetri M-69BK.
Nello stesso periodo le forze emiratine hanno ricevuto 26 lanciarazzi campali da 122 millimetri con 4mila razzi Grad e Grad 2000, 7 lanciatori campali multipli da 128 millimetri M63, 340 mortai da 82 mm M69A e 350 mortai leggeri di calibro inferiore (probabilmente M57 da 60 millimetri) e 10.000 missili, razzi e lanciatori anticarro
Queste cifre, per quanto già di per sé importanti, vengono ulteriormente ritoccate verso l’alto dal portale Balkanska Bezbednosna Mreža, che ha dedicato ampio spazio al tema dell’export balcanico verso il Golfo.
L’analisi più interessante sul fenomeno, comunque, è probabilmente quella realizzata da Dilyana Gaytandzhieva sul sito Armswatch.
Nel corso di tre lunghi articoli pubblicati rispettivamente l’1, il 2 e il 15 settembre scorsi, infatti, la giornalista investigativa bulgara ha affrontato nel dettaglio i rapporti tra Serbia, USA, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita che, stando alle sue fonti, hanno portato Washington, Riyadh e Abu Dhabi a servirsi delle aziende controllate da Belgrado per rifornire i combattenti anti-Houthi, tra i quali vi sarebbero anche gli appartenenti allo Stato Islamico.
Lo scoop della Gaytandzhieva parte proprio dai documenti fuoriusciti dalla Krušik di Valjevo (fabbrica di materiale d’armamento) tra cui e-mail, memo interni, contratti, foto, documenti di spedizione e documenti di commercianti d’armi e funzionari governativi.
Questo, unitamente alle fotografie e ai filmati pubblicati dalla propaganda dall’ISIS, le ha permesso di affermare che gli estremisti islamici sarebbero effettivamente stati messi in condizione di contrastare i ribelli sciiti grazie all’intervento diretto degli acquirenti summenzionati.
A titolo d’esempio, la giornalista ha scoperto che alcune bombe da mortaio da 81mm (nella foto a lato) teoricamente vendute il 12/02/2018 dalla Yugoimport (azienda pubblica serba del settore Difesa) alla statunitense Alliant Techsystems LLC per essere impiegate dall’Esercito Afghano, sarebbero invece finite nelle mani dello Stato Islamico in Yemen.
Come si vede nell’immagine il seriale identificativo KV 04/18 ( KV sta per Krušik di Valjevo, mentre 04/18 è il numero di lotto) presente sui colpi maneggiati dal miliziano corrisponderebbe esattamente a quello riportato nel contratto di acquisto reso pubblico dalle fonti della Gaytandzhieva. Più complessa e delicata risulta essere invece la vicenda dei colpi da mortaio 81 mm M72 HE KV del lotto 01/08.
Secondo l’autrice dell’articolo, infatti, questi sarebbero stati esportati in Arabia Saudita dalla GIM, una società con sede a Belgrado il cui rappresentante è il padre di Nebojsa Stefanovic, vice-premier e Ministro degli Interni serbo.
Come evidenziato anche da Bellingat, gli acquisti sarebbero avvenuti previa assicurazione che il materiale d’armamento sarebbe stato impiegato unicamente da eserciti regolari (saudita, afghano, emiratino, etc.) e non girato a terzi.
Singolarmente, queste accuse non sono state riprese dai quotidiani in lingua serba, mentre hanno trovato ampio spazio su N1 (media legato direttamente alla CNN) che, pur ignorando il supposto coinvolgimento degli USA, ha riportato sia la versione di ArmsWatch, che quella del Ministro Stefanovic.
Quest’ultimo, come era facilmente immaginabile, ha negato categoricamente che la Serbia abbia esportato armi o equipaggiamenti in Yemen e ha accusato l’opposizione (che lo aveva chiamato a rispondere delle accuse) di voler danneggiare l’immagine del Paese.
Comunque sia, diversi utenti locali e gli stessi admin hanno confermato che subito dopo la pubblicazione di questa notizia il sito di ArmsWatch e i 3 articoli relativi a questo massiccio leak di informazioni è diventato irraggiungibile a causa di un pesante attacco informatico.
In conclusione, va sottolineato anche che secondo la Gaytandzhieva gli USA avrebbero acquistato negli anni diverse decine di migliaia di colpi da mortaio di vario calibro e 11 milioni di munizioni tramite la già citata Alliant Techsystems LLC, società che nel 2016 si è aggiudicata un contratto per l’acquisto di munizionamento e mortai non standard (cioè non di calibro statunitense) con il Dipartimento della Difesa per il valore complessivo di 750 milioni di dollari (rif. W52P1J-16-D-0058).
Possibili destinatari di tali armamenti acquisiti da Washington sono probabilmente le milizie curde siriane inquadrate nelle Forze Democratiche Siriane appoggiate direttamente dalla Coalizione a guida statunitense.
Luca SusicVedi tutti gli articoli
Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.