Erdogan “avanza” anche nei Balcani e punta sulla Serbia

La nuova aggressione turca alla Siria è certamente il tema più discusso e analizzato delle ultime settimane e viene da chiedersi se non sia un caso che il suo inizio abbia coinciso proprio con un’altra offensiva, anche se solo politica, di Erdoğan, verso i Balcani.

Durante la sua visita di Stato a Belgrado (dove ha incontrato il suo omologo Vučić) il Presidente turco ha ribadito il suo interesse per l’area e la volontà di giocare un ruolo di primo piano non solo tra i popoli di fede islamica o comunque filo turchi (bognacchi, albanesi e kosovari), ma anche in Serbia, paese che rappresenta da sempre una spina nel fianco per le aspirazioni la Turchia e i suoi alleati nella regione.

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Si tratta di un’evoluzione particolarmente interessante se si pensa che, come sottolinea Djordje Pavlovic in uno studio pubblicato dal Ministero della Difesa serbo, l’ex primo ministro turco Ahmet Davutoğlu sosteneva posizioni opposte.

All’inizio degli anni ‘2000, infatti, egli scriveva che la politica del suo paese nell’area dell’Europa Sud-Orientale sarebbe dovuta avvenire “contro” Serbia e Grecia, i due paesi più ostili alla dominazione ottomana e, di conseguenza, pronti ad ostacolare le mire neo-imperiali di Ankara.

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Tornando alla visita di Erdoğan, si è trattato certamente di un evento di estrema rilevanza per la Serbia, che ha accolto il “sultano” con tutti gli onori e gli ha dedicato ampio spazio sui principali media, anche se veramente poco è trapelato sul reale contenuto delle discussioni bilaterali e sugli accordi raggiunti.

A conferma di ciò, basti pensare che il sito ufficiale del Ministero della Difesa serbo non ha pubblicato nemmeno una nota per confermare che uno degli argomenti chiave trattati dai due presidenti è stata proprio la cooperazione in ambito militare. Si tratta di un atteggiamento insolito, perché Belgrado è solitamente molto interessata a far sapere ai suoi cittadini, nonché ai paesi vicini (e non solo), i suoi progressi in materia.

È quindi lecito ipotizzare che tale discrezione sia frutto della consapevolezza che questo non è il momento migliore per annunciare pubblicamente la firma di accordi di tale tipo con Erdoğan.

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Ecco perché, allo stato attuale delle cose, sappiamo unicamente che la Serbia sarebbe intenzionata a comprare alcuni “equipaggiamenti” e armi dalla Turchia, nonché a “partecipare al trasferimento di tecnologia militare” tramite delle neo-costituite aziende a capitale misto serbo e turco (a questo link la conferenza stampa congiunta dei due presidenti). 

Per quanto si tratti di dichiarazioni generiche, queste ci permettono di comprendere come Vučić stia tentando di ampliare le partnership strategiche con i principali attori interessati a ribadire la propria presenza nell’area, con la speranza sia di favorire la modernizzazione delle Forze Armate nazionali, che di aprire possibilmente qualche nuovo mercato all’industria serba, in forte difficoltà dopo la caduta della Jugoslavia.

Dal punto di vista di Erdoğan, la possibile nascita di una collaborazione con Belgrado significa ribadire, anche ai confini d’Europa, la volontà di ridiventare una potenza militare anche attraverso l’ottenimento dell’autosufficienza industriale nella produzione e nell’export di materiale d’armamento.

A conferma di questo è interessante notare come Ankara sia da poco diventata anche il principale benefattore dell’esercito montenegrino. Come riporta Balkansec, infatti, nei prossimi cinque anni la Turchia donerà a Podgorica mezzi (rigorosamente made in Turkey) per un valore complessivo di 15,5 milioni di euro, mentre ulteriori 500mila euro saranno spesi per far studiare gli ufficiali montenegrini nelle accademie militari turche.

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Questo nuovo pacchetto di aiuti si aggiunge a quelli già attualmente in essere, che prevedono, tra l’altro, la fornitura gratuita di uniformi e di 30 fucili d’assalto MPT-55 (foto a lato) e MPT-76 (nsella foto sotto) , i due modelli con cui la Turchia vorrebbe sostituire tutti gli Heckler & Koch attualmente impiegati dalle sue forze armate.

In conclusione, è possibile affermare che per Erdoğan i Balcani rappresentano una zona di forte interesse in cui è relativamente facile far sentire il proprio peso politico, culturale e religioso. Come già anticipato sopra, infatti, Ankara cerca di proporsi attivamente sia come la protettrice dei musulmani dell’area, sia (e questo grazie ad un notevole revisionismo storico) come l’unico attore in grado di favorire la pacificazione e la stabilità grazie al suo lungo dominio su quelle terre.

Non è un caso, infatti, che proprio in occasione della visita in Serbia, il presidente turco abbia anche partecipato, assieme ai suoi tre omologhi bosniaci e al padrone di casa, alla posa della prima pietra della nuova autostrada pagata dalla Turchia che collegherà Sarajevo e Belgrado e definita come “un ponte di pace che collegherà la regione”.

Inoltre, Erdoğan ha approfittato dell’occasione per aprire ufficialmente il nuovo consolato generale turco a Novi Pazar, capoluogo del Sangiaccato, regione quest’ultima a maggioranza musulmana e che tanta importanza ha avuto nella storia della seconda metà del XIX secolo.

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Tenendo a mente quanto appena sottolineato, stupisce – e non poco – la posizione adottata da Vucic, che è sembrato quasi reverente e in soggezione davanti al suo ospite. Sebbene la Serbia necessiti di investimenti esteri e di nuovi partner di peso, il che giustifica sicuramente il tentativo di individuare nuove strade, ciò non toglie che l’abbraccio turco sia stato storicamente mortale per il paese e, sebbene i tempi siano cambiati, viene difficile pensare che un leader spregiudicato e aggressivo come Erdoğan possa essere pronto ad offrire soldi senza pretendere di dire la sua sulle questioni politiche locali.

Inoltre, come già visto nel recente passato, Ankara non si è fatta problemi a sostenere posizioni ostili a Belgrado sia in Bosnia Erzegovina che in Kosovo e non è escluso che possa fare lo stesso proprio nel già menzionato Sangiaccato, dove la sua influenza, già forte, pare essere destinata ad aumentare.

Resta poi da capire come reagiranno, davanti a questo riavvicinamento, i principali partner di Belgrado (Berlino e Mosca in primis), certamente poco inclini ad accogliere un ulteriore competitor in una zona in cui già si scontrano gli interessi delle principali potenze mondiali.

 

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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