L’eterno dibattito irrisolto sull’F-35

Torna alla ribalta in Italia il dibattito sul taglio o meno della commessa per 90 aerei da combattimento F-35, riemerso dopo il confronto tra il premier Giuseppe Conte e il segretario di Stato statunitense Mike Pompeo.

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Gli Usa si apprestano a “punire” l’Europa con dazi commerciali per i finanziamenti pubblici forniti ad Airbus, gigante dell’Aerospazio e Difes rivale di Boeing sul mercato mondiale dei velivoli commerciali. Dazi che minacciano di colpire anche i prodotti italiani anche se Roma non ha nulla a che fare con Airbus. Un’obiezione alla quale Pompeo avrebbe replicato ricordando i ritardati pagamento italiani per gli F-35 già acquisiti e i mancati ordini per i nuovi esemplari.

L’infinito dibattito sulla commessa degli F-35 si è trascinato negli ultimi 15 mesi in attesa degli esiti di uno studio commissionato dall’allora ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, di cui nessuno ha mai saputo nulla.

Lo stesso ministro aveva poi ammesso prima della caduta del governo M5S- Lega che la decisione era stata lasciata nelle mani di Conte, decisione che a quanto pare non è ancora maturata.

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Secondo il quanto riporta il Corriere della Sera il presidente del consiglio avrebbe dato garanzie a Pompeo circa il rispetto degli impegni presi per l’acquisto di 90 cacciabombardieri ma nelle ultime ore lo stesso Conte si è detto “d’accordo” con il M5s sulla “rinegoziazione” degli impegni di acquisto con gli Stati Uniti.

“Leggiamo con stupore le ricostruzioni giornalistiche riguardanti la presunta conferma del programma F-35 che il presidente Conte avrebbe dato a segretario di Stato Usa Pompeo” ha dichiarato il senatore Gianluca Ferrara, capogruppo M5S nella Commissione Esteri di Palazzo Madama.

“Il Movimento 5 Stelle ha sempre criticato questo programma militare che, così com’è, ci indebiterebbe per almeno 50 miliardi di euro nei prossimi quarant’anni. Un progetto insostenibile che molti Paesi, Stati Uniti compresi, hanno già tagliato.

Una rinegoziazione è doverosa anche da parte dell’Italia. Un ridimensionamento del programma di acquisto consentirebbe di liberare miliardi di euro da investire in scuole, ospedali e trasporti pubblici. I cittadini ci chiedono questo, non bombardieri strategici con capacità nucleare. Confidiamo nel fatto che il nostro presidente del Consiglio farà la scelta giusta”.

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Su questo tema nel governo precedente la Lega aveva posizioni opposte a M5S, si era espressa per il completamento della commessa ribadendolo anche durante la visita di Matteo Salvini a Washington. Nell’attuale esecutivo invece le forze che compongono la maggioranza sono tutte ostili agli F-35 o almeno si erano dichiarate tali in passato.

Matteo Renzi li aveva definiti costosi e inutili e benchè il ministro Roberta Pinotti fosse riuscita a non tagliare ulteriormente la commessa, scesa da 131 a 90 aerei col governo Monti, in molti nel PD si erano detti contrari al cacciabombardiere di Lockheed Martin. Un’ostilità certo presente anche nei LeU così come in molti esponenti di M5S che, come dimostrano le dichiarazioni del senatore Ferrara, che riprendono i vecchi slogan della Sinistra.

Ribadire come fa Ferrara che con i soldi che si spenderanno per F-35 si possono costruire scuole, treni e ospedali è fuorviante e conferma l’immutabile e insuperabile immaturità e inadeguatezza di una parte purtroppo consistente della classe politica italiana.

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Il concetto vale per tutta la spesa militare o almeno per l’acquisizione di equipaggiamenti che consentono alle forze armate di aggiornarsi e disporre di strumenti efficaci e al passo coi tempi.

Ogni Stato determina un bilancio per ogni settore di spesa: Difesa, Sanità, Istruzione, Trasporti, ecc….

Invece di puntare a dirottare le risorse destinate agli F-35 o ad altri programmi militari sui bilanci di altri ministeri si abbia il coraggio politico di aprire un dibattito sulla necessità o meno dell’Italia di avere le forze armate. Se la risposta è affermativa, queste vanno finanziate e armate a puntino, se è negativa si decida di scioglierle e di mettere all’asta sul mercato dell’usato mezzi ed equipaggiamenti.

Mantenere lo strumento militare privandolo dei mezzi necessari e aggiornati significa sperperare denaro per stipendi e costi infrastrutturali senza ricavarne capacità ed efficacia adeguate.

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Eppure un’attenta valutazione del programma F-35 (28 velivoli ordinati o acquisiti) offrirebbe ancor oggi all’Italia l’opportunità per negoziare importanti contropartite economiche e politiche.

In termini militari e finanziari occorre chiedersi se i bilanci della Difesa dei prossimi anni ci permetteranno o meno di avere una forza aerea da combattimento efficiente basata sui due velivoli più costosi anche in termini di manutenzione: F-35 e Typhoon.

Abbiamo bisogno di 90 velivoli stealth da “first strike”, anche nucleare? Contro quali nemici prevediamo di combattere in futuro, ammesso che l’Italia sia ancora in grado sul piano politico e sociale di combattere?

Le risorse da destinre all’F-35 non sarebbero almeno in oparte meglio investite nell’industria nazionale anche per finanziare la partecipazione italiana al programma britannico Tempest, al momento priva di copertura? L’adozione dell’F-35 risponde ancor oggi a precise valutazioni strategiche e operative o solo alla necessità di essere integrabili con componenti aeree statunitensi?

La Marina ha assolutamente bisogno degli F-35B, unici aerei in grado di operare dalla portaerei Cavour, ma tutti i 60 F-35A e i 15 B dell’Aeronautica sono davvero indispensabili?

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Potrebbero bastarne 50 per rimpiazzare i Tornado, sostituendo invece i più leggeri AMX con un paio di dozzine di M-346FA realizzati da Leonardo e che avrebbero maggiori prospettive di export se acquisiti dalla nostra Aeronautica?

A queste e ad altre domande dovrebbe rispondere uno studio sull’acquisizione degli F-35.

Tagliarne il numero (a cominciare dai 15 F-35B a decollo corto e atterraggio verticale dell’Aeronautica?) comporterebbe risparmi ma anche ulteriori riduzioni del carico di lavoro nello stabilimento FACO di Cameri (che non ha mai lavorato a pieno regime e che, allo stato attuale della commessa italiana, dal 2024 non avrà più lavoro) in cui invece potremmo negoziare con gli statunitensi l’incremento delle attività e dei posti di lavoro ora che la Turchia è stata estromessa dal programma perdendo anche quote di produzione di componenti e di manutenzione.

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Sul piano politico ed economico col governo sovranista di M5S-Lega il completamento della commessa avrebbe potuto venire speso per consolidare il legame con gli Usa di Donald Trump nel momento in cui il governo Conte 1 era in rotta di collisione con la Ue a trazione franco-tedesca.

Un contesto in cui il via libera ai 90 caccia americani avrebbe potuto offrirci l’occasione di chiedere maggiore attenzione agli USA verso il “made in Italy della Difesa”, a cominciare dalla gara per 20 nuove fregate dell’US Navy a cui partecipa Fincantieri con le FREMM.

Oggi che il governo Conte 2 ha virato decisamente verso politiche prone ai franco-tedeschi varrebbe la pena condizionare la commessa F-35 all’esclusione dei prodotti italiani dai dazi che Washington minaccia di applicare all’Europa.

Invece dei tentennamenti, degli studi inconcludenti e degli slogan pacifisti, il programma F-35 meriterebbe finalmente una riflessione basata esclusivamente sugli interessi nazionali.

@GianandreaGaian

Foto Difesa.it e Lockheed Martin

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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