Il dibattito un po’ surreale sulle ritorsioni contro la Turchia
C’è qualcosa di comico nel surreale dibattito che coinvolge l’Occidente circa le iniziative da assumere nei confronti della Turchia per l’invasione della regione curda del Rojava nel nord della Siria.
Sia ben chiaro, non si vuole ironizzare su un tema così tragico ma è difficile non lasciarsi sfuggire un sorriso di fronte alla marea di parole vuote che si sprecano in questi giorni in Europa e Stati Uniti senza che nessun governo pensi minimamente di intervenire con fermezza, anche con l’uso delle armi, per fermare l’aggressione turca e dei miliziani jihadisti alleati di Ankara.
A cominciare da Donald Trump che dopo aver di fatto dato il via libera all’offensiva turca ha ritirato i suoi militari dall’estremo nord siriano senza riuscire però a evitare bombardamenti turchi contro una base americana che secondo alcuni non sarebbero frutto di un errore ma di una ben mirata intimidazione.
I turchi sapevano della presenza americana in quella base nel nord est della Siria e l’attacco potrebbe essere stato voluto secondo il Washington Post che cita alcuni funzionari americani
Brett McGurk, l’ex inviato speciale di Barack Obama e Donald Trump nella campagna contro l’Isis, ritiene che l’attacco turco “non è stato un errore. La Turchia ci vuole lontano dalla regione del confine. Sulla base dei fatti disponibili, i colpi sparati erano un avvertimento a una postazione nota, non colpi sparati inavvertitamente” aggiunge McGurk.
La risposta di Trump è stata dura a parole, ma così morbida nei fatti da premiare l’iniziativa turca. “Sto trattando con il senatore Lindsey Graham e molti membri del Congresso, democratici compresi, per imporre sanzioni potenti alla Turchia” ha scritto su twitter il presidente USA aggiungendo che il Dipartimento al tesoro “è pronto ad agire”.
Nei fatti però Trump lascia totale via libera alle milizie e alle truppe di Erdogan ordinando il ritiro dei mille militari ancora presenti nella Siria Orientale.
“Nelle ultime 24 ore abbiamo appreso che la Turchia probabilmente intende estendere la sua offensiva più a sud di quanto inizialmente pianificato e verso l’ovest della Siria”, ha spiegato il segretario alla Difesa Mark Esper.
“Abbiamo anche appreso nelle ultime 24 ore che le milizie curde stanno provando a strappare un accordo con i siriani e con i russi per una controffensiva contro i turchi nel nord. Se rimanessimo nel Paese – ha aggiunto – rimarremmo intrappolati tra due forze armate che avanzano, una situazione insostenibile”.
Esper ha quindi raccontato di aver parlato con Trump la scorsa notte e con tutti i membri del consiglio per la sicurezza nazionale, un incontro alla fine del quale il presidente ha dato l’ordine del ritiro che Trump del reto aveva già più volte annunciato dovendosi però limitare a dimezzare le truppe in Siria (da 2mila a mille) a causa delle pressioni del Pentagono.
Inevitabile chiedersi quindi se i bombardamenti turchi sulla base americana, precisi al punto da non provocare vittime né feriti, costituissero un’intimidazione nei confronti di Washington o un assist a Trump, che dopo aver dato luce verde consente all’attacco turco ora ha le giuste condizioni per portare a casa i soldati dalla Siria, come aveva promesso da tempo con l’obiettivo di guadagnare consensi in vista delle elezioni del prossimo anno in cui è in gioco il suo secondo mandato.
“E’ molto intelligente non venire coinvolti negli intensi combattimenti lungo la frontiera turca” ha detto Trump in un tweet in cui chiama indirettamente in ballo il suo predecessore. “Coloro che, facendo un errore ci hanno trascinato nelle guerre in Medio Oriente, stanno continuando a spingerci a combattere non hanno idea di che pessima idea abbiano avuto”.
Il ritiro delle truppe statunitensi, che anche in questa circostanza determinerà caos e destabilizzazione in tutta la regione, prevede che le truppe vengano probabilmente esfiltrate dal confine iracheno, forse insieme alle task force britannica e francese che le affiancano. Un ritiro che galvanizzerà i turchi incoraggiandoli a proseguire nell’offensiva, arginabile solo da un accordo tra Putin ed Erdogan.
Il presidente turco ha infatti reso noto ieri che parlerà con Vladimir Putin assicurando che qualsiasi tipo di problema con la Russia, rispetto all’intervento militare nel nord della Siria, verrà risolto “nelle prossime 24 ore”.
Poche ore dopo, forse non casualmente, è stato annunaciato l’accordo tra milizie curde e Damasco che prevede lo schieramento dell’esercito siriano al confine con la Turchia. L’intesa. Mediata da Mosca, prevede che le forze di Assad superino l’Eufrate riprendendo il controllo dei territori orientali e si schierino lungo il confine turco a protezione di città curde come Manbij, dove le forze di Assad sarebbero entrate la notte del 13 ottobre.
Mentre gli americani fanno i bagagli, russi e siriani prenderanno il controllo dell’est del paese dopo che i curdi hanno supplicato Damasco per ottenere quanto Assad aveva offerto loro (senza successo) già due anni or sono proprio per non offrire pretesti agli sconfinamenti turchi. All’epoca i curdi preferirono affidarsi agli Stati Uniti…..
In Europa invece le reazioni sono quelle di un cane che abbaia ma non morde. La cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno chiesto a Erdogan di fermare subito la guerra perché “rischia di creare una situazione umanitaria insostenibile e di aiutare l’Isis a riemergere”.
Un appello a cui Erdogan ha replicato affermando che “Quelli che pensano di bloccarci così si sbagliano di grosso, nulla potrà fermarci” neppure l’embargo sulle armi annunciato da Parigi e Berlino e sollecitato anche da Roma.
Fa sorridere la decisione di sospendere la vendita di armi alla Turchia, che gode del privilegio di essere un membro della NATO a cui di conseguenza ogni vendita di armamenti da parte degli alleati è più che lecita.
Ankara del resto persegue da tempo la strada dell’autonomia strategica e già oggi è a buon punto nei programmi di autosufficienza militare che Erdogan intende completare entro il 2024.
Se si volesse davvero punire o fermare i turchi sarebbe più efficace determinare immediatamente l’espulsione della Turchia dall’Alleanza Atlantica abbinando l’iniziativa a un blocco navale ai suoi porti, un embargo commerciale e sanzioni economiche simili a quelle imposte all’Iran o alla Russia per l’annessione pacifica e attraverso la via referendaria della Crimea.
Opzione impraticabile per Usa e NATO perché in tal modo si incoraggerebbe Erdogan a gettarsi tra le braccia di Putin regalando alla Russia importanti vantaggi strategici nel Mediterraneo Orientale.
Basti pensare alle tensioni esplose dopo che Erdogan ha deciso di acquisire i sistemi missilistici russi S-400 a cui hanno risposto gli USA chiudendo la fornitura di caccia F-35 Non è però neppure ipotizzabile di lasciare mano libera a Erdogan anche perché si creerebbe un pericolo precedente all’interno della NATO.
Opzioni di rappresaglie politiche, militari, politiche (stop al già congelato processo di adesione turca alla Ue) e commerciali contro Ankara sono impraticabili anche per l’Europa perché c’è in ballo un interscambio di molti miliardi e perché Erdogan attuerebbe il ricatto già annunciato e aprirebbe le sue frontiere a uno o forse tre milioni di profughi e migranti illegali mediorientali e asiatici.
In realtà l’Europa, come sempre pavida e imbelle, è incapace di sostenere un braccio di ferro con Ankara e di attuare misure dure ma necessarie come l’attuazione di un blocco navale o il respingimento in Turchia dei clandestini usati da Ankara come “arma di migrazione di massa”.
Imbelle ma attenta al business, considerato che molte aziende europee lavorano ed esportano in Turchia e una dura reazione a difesa dei curdi comprometterebbe un business miliardario. Così la Turchia di Erdogan, con un PIL ridicolo e una situazione economica disastrosa, può perseguire con successo il ruolo di potenza regionale combattendo in Libia e Siria mentre attua provocazioni militari nelle acque cipriote solo perchè, al di là delle armi messe in campo, la sua principale forza è rappresentata dalla nostra debolezza.
Anche in Italia si chiacchiera molto di punire Ankara ma nessuno finora ha ordinato neppure il rimpatrio della batteria di missili da difesa aerea SAMP/T schierata a Gaziantep, nel sud dell’Anatolia, nell’ambito di una missione NATO che avrebbe dovuto difendere la Turchia dagli attacchi del regime siriano di Bashar Assad.
Certo Roma perseguiva anche il fallito obiettivo di incoraggiare con questa missione l’acquisizione turca del missile italo-francese ma il ritiro di quel contingente era già comunque previsto per novembre.
Non sarà però lo stop alle forniture militari italiane o europee a fermare i programmi espansionistici di Erdogan, mentre non sembra ci siano evidenze che a Roma qualcuno sia disposto a inviare la Brigata Folgore in Siria a difendere i curdi né pare che interventi militari vengano presi in considerazione a Bruxelles o presso le altre cancellerie europee.
Solo una ferrea volontà politica di affrontare un lungo braccio di ferro con la Turchia che includa anche una robusta deterrenza militare potrà dare risultati apprezzabili. Se non si è disposti (o capaci) a giocare duro con Erdogan meglio evitare proclami simbolici e minacce poco credibili.
Foto: AFP, Reuters, AP, Anadolu e AP Intelligence
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.