Qualche riflessione circa lo stop alle forniture militari alla Turchia

Anche il governo spagnolo si è unito ieri all’embargo sulla vendita di armi alla Turchia già decisa da Germania, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi e Finlandia. “In coordinamento con i suoi partner dell’Unione europea, la Spagna negherà nuove licenze di esportazione militare che possono essere utilizzate nell’operazione in Siria”, ha reso noto Madrid in una nota.

Come nel caso degli altri Stati Ue che hanno aderito all’iniziativa si tratta quindi di una misura più che altro politica e simbolica e non certo di sostanza. L’ embargo sarà limitato a quelle categorie di armi che possono essere utilizzate nell’offensiva contro i curdi nel nord-est della Siria e non influirà sui contratti già in vigore, anche se l’Italia avvierà una istruttoria anche sulle forniture in atto come ha detto il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

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Nel caso spagnolo non saranno coinvolti nell’embargo né l’aereo da trasporto Airbus A400M che si produce a Siviglia nè la nave d’assalto anfibio Anadolu realizzata a Istanbul da un consorzio turco-spagnolo di cui fa parte anche l’iberica Navantia.

Da un lato è fuori discussione il diritto dell’Europa di chiedere alla Turchia di ritirarsi dal nord della Siria ma la minaccia di blocco delle forniture suscita qualche perplessità.

Non solo perché sarà inefficace e non influirà sulle operazioni belliche in atto, la cui durata potrebbe essere di pochi giorni o poche settimane, ma soprattutto per ragioni di opportunità strategica e industriale e perché la Turchia è membro della NATO, inserita in tutti i meccanismi congiunti dell’alleanza. Inoltre al momento non è sottoposta ad alcun embargo internazionale disposto dall’Onu, ragione che per la legge italiana e di molti altri Stati europei sarebbe sufficiente a fermare l’export di equipaggiamenti militari.

E’ poi il caso di aggiungere che i turchi sono penetrati da anni in territorio siriano proteggendo le milizie qaediste a Idlib mentre l’anno scorso conquistarono l’area curda di Afrin cacciandovi la popolazione senza che ci fossero particolari reazioni sdegnate da parte dell’Europa, schierata al fianco degli oppositori al regime di Damasco.

Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse24-09-2019 New York, Stati UnitiPolitica Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte a New YorkNella foto: Giuseppe Conte con ErdoganDISTRIBUTION FREE OF CHARGE - NOT FOR SALE - Obbligatorio citare la fonte LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

Oggi si parla tanto della fascia a Est dell’Eufrate, ma sono anni che i turchi sono presenti in armi in diverse zone del Nord Ovest siriano.

Un blocco dell’export italiano (o europeo) non fermerà i programmi militari di Ankara né impedirà ad Erdogan di impiegare sul fronte siriano gli elicotteri T-129 Atak derivati dai nostri Mangusta. Ankara è infatti largamente autonoma nella produzione militare e le sue aziende realizzano veicoli blindati, carri armati, fucili, velivoli teleguidati e artiglierie peraltro esportati con sempre maggiore successo. I

velivoli teleguidati armati Bayraktar TB2 (nella foto sotto) vengono impiegati con successo dai consiglieri militari turchi che affiancano le milizie di Misurata contro quelle del generale Haftar in Libia.

Erdogan persegue del resto un programma che nel giro di pochi anni dovrebbe consentire alla Turchia di diventare completamente autosufficiente per la produzione di sistemi d’arma e piattaforme terrestri, aeree e navali, elettronica militare e munizioni.

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Circa l’export italiano Leonardo ha ricordato che “collabora da molti anni con la Turchia in linea con la posizione dell’Italia all’interno della NATO” e ha fornito diversi prodotti e tecnologie per la sicurezza. Incluso l’elicottero turco T-129, prodotto dalla società TAI (Turkish Aerospace) con il contributo di molte aziende nazionali turche e che costituisce una derivazione dell’elicottero AW129 sviluppata nell’ambito di un accordo di collaborazione risalente a oltre dieci anni fa.

In ambito civile l’azienda italiana garantisce “supporto per il complesso programma di gestione del traffico aereo nazionale turco denominato SMART (Systematic Modernisation of ATM Resources), che permette di collegare e gestire – dal centro principale di Ankara – oltre 20 torri di controllo, e per il Vessel Traffic Management System con sede a Izmir, che monitora e gestisce il traffico navale dei porti e di tratti costieri turchi per oltre 1.500 chilometri”.

Per compiti di sorveglianza Leonardo ha fornito velivoli da pattugliamento marittimo ATR 72 e, tramite Telespazio, il satellite di osservazione delle Terra Gokturk.

Forniture operate nel rispetto delle normative di riferimento nazionali, europee, internazionali e NATO, relative all’esportazione di equipaggiamento militare mentre la società ha reso noto che “nel caso di evoluzioni del quadro normativo di riferimento, Leonardo naturalmente si adeguerà alle nuove direttive nazionali”.
Facile comprendere che o stop all’export verso Ankara non ostacolerebbe le operazioni turche in Siria ma avrebbe in impatto pesante sull’industria nazionale.

AP

La questione dei rapporti con la Turchia merita innanzitutto una definizione politica poiché i temi sui quali Ankara e la Ue si confrontano aspramente non sono certo limitati all’operazione “Finte di pace” in Siria ma investono i ricatti turchi all’Europa sui migranti illegali, la penetrazione arbitraria delle navi turche nelle acque cipriote ricche di gas, il rispetto dei diritti umani e civili in Turchia e il sostegno del governo di Erdogan all’estremismo islamico.

Temi che impongono di chiedersi se abbia ancora un senso considerare la Turchia un “alleato”, se non sia il caso di estrometterla dalla NATO o di imporle sanzioni economiche come quelle che Europa e Italia hanno posto ad altri Stati con cui il contenzioso in atto è di portata ben più limitata.

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Che senso ha parlare di stop alle forniture militari a un paese che resta ufficialmente mostro alleato nella NATO?

Una valutazione politica e strategica imporrebbe all’Europa anche di interrogarsi sulle ambiguità della sua politica nei confronti della crisi siriana. Dobbiamo stare dalla parte dei curdi perché per anni hanno combattuto l’Isis e che oggi sono alleati di Assad e Putin?  Eppure per anni gli europei hanno fornito aiuti (e armi) ai cosiddetti “ribelli moderati” in Siria che ora, al fianco dell’esercito turco, massacrano i civili curdi.

Prima ancora di agire sulle forniture militari è urgente una rivalutazione di quanto fatto in Siria come Ue e come Nato e anche delle responsabilità su quanto sta accadendo avviando una seria discussione sul senso della presenza nella Nato della Turchia, con cui non c’è più alcun valore né, a quanto pare, interesse condiviso.

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L’unica iniziativa significativa che Roma potrebbe attuare è il ritiro immediato dalla Turchia della batteria del sistema di difesa aerea Samp-T dell’Esercito (foto a lato), schierata a Gaziantep nell’ambito dell’operazione NATO che doveva proteggere la Turchia da attacchi dal cielo provenienti dalla Siria.

La batteria e i 130 militari italiani dovrebbero comunque rientrare in Italia entro fine anno ma anticiparne il rimpatrio avrebbe un valore politico pur non comportando costi aggiuntivi tenuto conto che quella presenza era dovuta anche a motivi commerciali legati alla possibile adozione del SAMP/T da parte dei turchi.

Ankara invece ha scelto i missili russi a lungo raggio S-400 (nella foto sotto) e dopo la rappresaglia statunitense che ha negato ai turchi l’acquisto di 100 cacciabombardieri F-35 è possibile che Erdogan si rivolga a Putin anche per acquistare jet da combattimento.

Meglio quindi tenere conto del fatto che imporre un blocco dell’export di armi occidentali ad Ankara favorirebbe la penetrazione delle aziende e dei prodotti russi nel mercato turco oltre a rafforzare anche in termini militari l’asse Mosca-Ankara determinando un inevitabile spostamento della Turchia (custode degli stretti di Bosforo e Dardanelli per l’accesso al Mar Nero) nell’area di influenza russa.

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E’ un obiettivo che abbiamo interesse a perseguire? La domanda richiede una risposta ponderata perché in ballo c’è la credibilità e l’affidabilità dell’Europa.

L’ondivago e inaffidabile atteggiamento assunto dagli Stati Uniti negli ultimi anni ha già indotto la gran parte dei paesi arabi a diffidare di Washington e a riconoscere credibilità e affidabilità alla Russia (che non abbandona i suoi alleati) che anche in Medio Oriente ricopre sempre di più un ruolo di potenza non solo energetica ma anche politica e militare, come hanno dimostrato le recenti visite di Vladimir Putin in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Reazioni emotive e non supportate da valutazioni politiche, strategiche ed industriali rischiano di rendere l’Europa, a dispetto del suo peso economico, ancora più marginale e irrilevante di quanto non abbia dimostrato di essere negli ultimi anni di fronte alle profonde crisi nel Mediterraneo e in Medio Oriente.

@GianandreaGaian

Foto:  AP, Palazzo Chigi, TAI, Ministero Difesa Russo e AFP

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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