Dubbi e perplessità circa il ferimento degli incursori italiani Iraq
La dinamica dei fatti bellici che hanno portato il 10 novembre al ferimento di cinque incursori di Esercito e Marina nel nord dell’Iraq suscita qualche dubbio e perplessità.
Secondo quanto reso noto “il convoglio era composto anche da mezzi blindati, ma l’esplosione avrebbe interessato una pattuglia di militari che stava procedendo a piedi”.
Un particolare che appare sorprendente, come Analisi Difesa ha evidenziato già prima che lo Stato Islamico rivendicasse ’la paternità dell’attentato, dal momento che tutti i militari italiani hanno riportato ferite agli arti inferiori, purtroppo in alcuni casi così gravi di richiedere amputazioni.
Ferite cioè tipiche di chi subisce i danni dell’esplosione di una mina o di un ordigno improvvisato mentre si trova a bordo di un veicolo.
La deflagrazione di una bomba in terreno aperto infliggerebbe ai militari presenti nel raggio d’azione dell’ordigno, ferite anche al tronco, alla testa e alle braccia solo parzialmente protetti da elmetto e giubbotto antiproiettile.
Il dubbio che i membri delle forze speciali si trovassero in realtà a bordo di un veicolo è rafforzato anche da altri elementi. Il 10 novembre il primo comunicato della Difesa riferiva di “un ordigno esplosivo rudimentale detonato al passaggio di un team misto di Forze speciali italiane in Iraq” senza precisare se i militari si trovassero a bordo di un mezzo o meno.
Nel pomeriggio l’agenzia di stampa AGI riferiva che “al momento dello scoppio dell’ordigno il gruppo di militari italiani coinvolto stava facendo rientro alla base di appoggio in prossimità di Kirkuk dopo l’attività di mentoring e training svolta in una zona di Suleymania, nel Kurdistan iracheno. Il team italiano era impegnato a favore di forze di sicurezza locali – in particolare forze speciali dei peshmerga – che operano contro il Daesh. Il nucleo italiano procedeva in parte a piedi, in parte su mezzi blindati”.
Il giorno successivo, nel rivendicare l’azione, l’Isis (che negli ultimi 15 giorni ha portato a termine in quell’area 34 attacchi) ha affermato di aver condotto l’attacco contro un veicolo.
“Con il favore di Dio, l’esercito del Califfato ha preso di mira un veicolo 4×4 che trasportava membri della coalizione internazionale crociata e dell’antiterrorismo dei Peshmerga, nella zona di Qarajai, a nord della zona di Kafri, con l’esplosione di un ordigno. Questo ha causato la distruzione del veicolo e il ferimento di 4 crociati e di 4 apostati”.
Pur prendendo con le molle le rivendicazioni dello Stato Islamico, che sbaglia per difetto il numero dei militari della Coalizione (italiani) feriti, l’indicazione del bersaglio colpito in un “un veicolo 4×4” sembra voler indicare più facilmente un fuoristrada o un pick-up di modello civile come quelli impiegati su vasta scala dai curdi ma anche dalle forze irachene regolari e irregolari (vedi le due foto sotto) e dallo stesso Isis.
Veicoli non protetti e provi di blindature e protezioni antimina/Ied. Se avessero colpito un Lince o altri veicoli protetti come i diversi tipi di mezzi MRAP (Mine-Resistant Ambush Protected) in dotazione al contingente italiano e alla Coalizione l’Isis lo avrebbe probabilmente descritto nel comunicato di rivendicazione come un veicolo blindato.
In base alla tipologia di ferite riportate non si può quindi escludere che gli incursori italiani della Task Force 44 si trovassero a bordo di un veicolo non protetto contro mine e Ied in compagnia di peshmerga curdi, se si vuol dare credito alla rivendicazione dell’Isis.
Ipotesi plausibile dal momento che i membri delle forze speciali, per non essere identificati dal nemico, si muovono spesso mischiati alle forze irachene e curde e a bordo dei loro veicoli, spesso di tipo civile o non protetto: in tal caso se l’ordigno fosse stato più potente avrebbe determinato un bilancio di vittime ben più grave.
Del resto raramente le operazioni delle forze speciali vengono rese note e in molti casi l’attività di consiglieri militari impone di affiancare le forze curde anche in combattimento con un evidente rischio di coinvolgimento in azioni a fuoco.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.