I droni e l’evoluzione della minaccia terroristica

Secondo l’opinione di autorevoli think-tank, quanto maggiore e sofisticato è lo sviluppo tecnologico tanto maggiori sono le probabilità che la tecnologia evoluta sia impiegata dai terroristi per condurre i propri attacchi.

Lo stato attuale delle nostre conoscenze è altamente tecnologico tanto che il terrorismo se ne sta estesamente occupando sia ricorrendo al web per comunicare le peculiari linee di condotta, sia per illustrare le modalità tecniche per la realizzazione di armi ed esplosivi artigianali, sia per reclutare nuovi proseliti.

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In tale quadro, i droni – armi belliche impiegate nel corso di conflitti a bassa intensità e/o asimmetrici – hanno attirato l’interesse del disfatto Islamic State (Daesh). Quest’ultimo ha addestrato molti suoi affiliati alla costruzione, modifica ed impiego di macchine (droni) le quali – attraverso il controllo remoto o secondo programmi predefiniti – portano a termine compiti di una certa complessità, caratterizzati da diversi livelli di supervisione umana.

In ambito militare vi sono droni da combattimento simili ad aerei da caccia in grado di individuare, monitorare ed attaccare un obiettivo nonché macchine più piccole: i mini-droni bellici, piccoli e facilmente trasportabili. Questi ultimi sono lanciati a mano e guidati tramite un portatile da un operatore in prossimità dell’obiettivo. Hanno un’autonomia di volo di circa un’ora e la loro mission è soprattutto quella di acquisire una visuale della situazione del campo di battaglia entro 5 Km dalle proprie unità. T

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ali macchine possono essere impiegate, altresì, per l’aerofotogrammetria fino all’analisi termica di impianti industriali e alla vigilanza di sicurezza. Il loro volo è guidato da un pilota a terra mediante un controller remoto.

Tali apparati in genere possono essere classificati in funzione del grado di controllo esercitato dall’operatore e suddivisi in 3 categorie:

  • Human in the loop (controllo umano inserito nel ciclo): sistemi a controllo remoto che svolgono funzioni selezionate – delegate dall’operatore – ma non possono effettuare alcuna operazione in tempo reale, senza un comando attivato dal pilota;
  • Human on the loop (controllo umano supervisiona il ciclo): sistemi semi-autonomi assolvono funzioni di selezione di un obiettivo e possono attaccarlo in modo indipendente. Tuttavia, l’attività nel suo complesso rimane costantemente subordinata alla supervisione dell’operatore, il quale può intervenire in ogni fase e decidere, o meno, di effettuare l’attacco;
  • Human out of the loop (controllo umano fuori dal ciclo): sistemi interamente automatizzati che “una volta attivati, possono selezionare, ingaggiare ed attaccare gli obiettivi senza l’ulteriore intervento di un operatore umano” (direttiva del Dipartimento della Difesa americano del 2012).

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Nel settore commerciale, invece, sono disponibili una svariata quantità di modelli di droni da impiegare in attività del terziario (servizi di varia natura: fotografia, agricoltura, spedizioni, ecc.) il cui impiego non è ancora disciplinato da una appropriata regolamentazione.

L’impiego dei droni militari ha finora interessato prevalentemente il campo di battaglia della cosiddetta “guerra ibrida” – come avvenuto ad esempio il 6 gennaio 2017 – contro le forze militari russe, presso la base aerea di Hmeymim ed il centro ogistico di Tartus in Siria.

Tali unità sono state attaccate da uno sciame di tredici droni – ad ala fissa – decollati dalla regione sud-occidentale di Idlib, verosimilmente lanciati da ISIS.

Dei tredici droni, sei sono stati intercettati dai sistemi di guerra elettronica russi, mentre gli altri sette distrutti dai Pantsir-S1 (Sistema missilistico appartenente ad una famiglia di sistemi missilistici terra-aria a propulsione media, di medio raggio).

I droni – di cui i Russi si sono impossessati – sembravano rozzi giocattoli radiocomandati che, seguendo una rotta prestabilita su coordinate GPS, hanno volato per 50 km portando bombe a frammentazione sotto le ali. Avevano un design improvvisato: fusoliera coperta da un involucro di plastica verde e bombe assemblate prevalentemente con parti in legno e nastro adesivo.

 

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Erano alimentati con un motore a combustibile liquido, tipo falciatrice da prato. Avevano in dotazione GPS, trasduttori di pressione (convertono la pressione atmosferica in un segnale elettrico analogico) e servo-attuatori (dispositivo utilizzato per regolare o per controllare una grandezza meccanica in modo continuo nel tempo. È tipicamente impiegato per attuare cinematismi meccanici). Trasportavano un armamento tipo bombe da mortaio, costituite da involucri semi-trasparenti con alette di plastica bianca, stampati in 3D.

Ogni UAV (Unmanned Aerial Vehicle – ovvero APR, Aeromobile a Pilotaggio Remoto) era armato con otto/dieci granate per un carico utile di dieci chili. Un grosso gancio di metallo consentiva di collocarle sotto le ali.

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La rotta dei droni era stata programmata esattamente su precise coordinate non disponibili su internet. Anche il rilascio del carico utile era stato programmato. Inoltre, uno dei droni era stato equipaggiato con una videocamera così da monitorare e regolare l’attacco se necessario.

L’ISIS sembra che abbia cominciato ad interessarsi ai droni già dal 2014 per trasformarli in armi da impiegare contro le truppe della coalizione anti ISIS.

Nel 2017 – secondo alcuni organi di stampa statunitensi – si sosteneva che durante la battaglia di Mosul, l’ISIS avesse impiegato:

  • droni sia per spiare gli spostamenti delle unità statunitensi, sia per sganciare ordigni esplosivi;
  • “droni suicidi” – in alternativa – cioè piccoli droni dotati di esplosivi da far esplodere contro obiettivi prefissati (per esempio edifici o folla).

All’inizio di marzo 2017, l’International Center for the Study of Violent Extremism (Organizzazione internazionale della Unione Europea) sosteneva che l’ISIS avesse costituito un centro per addestrare i miliziani ad impiegare i droni commerciali sia a scopo di sorveglianza, sia a scopo bellico. Ogni volta che i miliziani dell’ISIS si procuravano droni commerciali, li trasferivano a Raqqa dove venivano modificati e preparati per le operazioni future.

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Tale base, utilizzata anche per apportare modifiche ad altri dispositivi elettronici e meccanici, era gestita principalmente da tre ingegneri: il giordano Abu Azam e i siriani Abu Saad e Abu Usama (nomi di battaglia non ancora compitamente identificati).

In tali attività prestavano la loro opera anche foreign fighters europei. Nel merito, l’ISIS ha distribuito un elevato numero di guide e manuali per armare e modificare i droni, in modo da renderli strumenti affidabili per attacchi a distanza. Ovviamente il proposito è quello di ampliare e diffondere fra miliziani/simpatizzanti una tecnologia adatta per l’impiego in attentati terroristici.

Fino ad oggi i droni commerciali sono stati impiegati per la ricognizione, la sorveglianza e l’irrorazione di coltivazioni agricole, talché si prestano molto bene come strumenti per la conduzione di altre simili attività ausiliarie.

 

Tuttavia, con l’avvento del 5G, i droni stessi possono essere impiegati oltre gli attuali limiti kilometrici in quanto il segnale del radio-comando non subisce decadenza. Un primo esperimento è già in atto nella città di Torino – ove la Polizia locale è stata dotata di un team di 5 vigili, piloti di droni per il supporto delle squadre a terra in situazioni di criticità – con tecnologia 5G di TIM.

In alcuni casi, tali macchine – divenute dual use, in quanto munite di apparati di sorveglianza e di armi portatili – sono state impiegate da alcuni armatori su loro navi al fine di individuare e contrastare azioni di pirateria marittima, in luogo di impiegare personale ad hoc in difesa della nave.

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In altri casi i droni sono stati impiegati in attività rurali per irrorare con prodotti anti-parassitari le coltivazioni agricole.

Il loro impiego, pertanto, oltre che per attività agricole, commerciali, terziarie ed amministrative, può trovare spazio – con semplici modifiche nella “versione” sistemi d’arma – anche per svolgere attività illecite, delinquenziali e terroristiche. Infatti possono essere modificati per effettuare azioni propagandistiche, attacchi informatici, con armi e/o esplosivi, chimici e batteriologici, quali:

Oppure:

  • mandare in tilt un grande aeroporto, bloccandone la funzionalità (come avvenuto il 18 dicembre 2018 all’aeroporto di Gatwick di Londra,), ove è avvenuta la “sospensione temporanea” dei voli causata dall’ennesimo avvistamento di un drone che polizia ed esercito non sono riusciti né a fermare né a distruggere;
  • sferrare un attacco hacker – come avvenuto a Torino il 13 luglio 2019 nel corso delle semifinali della “Drone Race” – durante la quale, per circa 15 minuti, i droni in gara sono stati sottratti al controllo dei rispettivi piloti rimanendo in volo senza una guida. Grazie alle reti di protezione, nonché all’abilità dei piloti – in particolare con riferimento agli atterraggi di emergenza – non ci sono stati né danni, né feriti;
  • effettuare attentati di natura chimica e/o batteriologica impiegando droni commerciali – anziché per le irrorazioni agricole – per cospargere nei centri urbani aggressivi chimici e/o batteriologici. Nel corso dell’ultimo anno, più volte il sedicente Stato Islamico ha indirizzato i propri seguaci, attraverso scritti propagandistici anche diffusi sul web, a compiere attacchi letali per mezzo di droni con payload (carico utile) di natura chimica, radiologica, biologica o batteriologica.
  • I droni commerciali sono già stati impiegati per un attentato terroristico avvenuto il 4 agosto 2018: due droni sono esplosi nelle vicinanze di una parata militare presenziata da Nicolás Maduro, il Presidente del Venezuela. L’analisi delle immagini dell’attentato non ha lasciato dubbi sulla provenienza degli apparati: due DJi Industrial Matrice 600, droni civili per fotografia e videografia di qualità professionale

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Le specifiche dichiarate dall’azienda garantivano un raggio di volo fino a cinque chilometri di distanza dall’operatore, una capacità di carico fino a sei chilogrammi ed una autonomia fino a sei ore.

In ambito internazionale stiamo assistendo ad una vera e propria corsa all’acquisto di droni quale tecnologia commerciale ampiamente disponibile. È un mercato in forte espansione che prevede una vendita globale di unità nel 2021 pari a 4,8 miliardi di dollari.

I droni commerciali – di facile reperibilità e relativamente agevoli da pilotare – volano ad una quota estremamente bassa, tale da essere difficilmente intercettati da radar anche per le ridotte dimensioni. Inoltre, possono essere adattati per trasportare pesi.

Tutte le componenti per UAV-APR sono facilmente accessibili perché realizzate con una tecnologia non più di esclusiva disponibilità degli attori statali. Con poche centinaia di euro chiunque può acquistare un drone stabilizzato, dotato di telecamera HD, GPS e con una minima capacità di carico.

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Questa tipologia di droni è facilmente modificabile, rendendone quindi possibile la trasformazione in armi in molteplici modi. Una delle cose più semplici è sostituire la fotocamera con esplosivo o altri congegni utili per il compimento di attentati, oppure trasformando l’apparecchio in un “drone suicida”, cioè con un carico esplosivo o batteriologico e farlo abbattere su infrastrutture o sulla folla, ovvero inviarlo in rotta di collisione contro aerei civili in fase di decollo o atterraggio.

Tali apparati oggi sono alla portata di tutti e si trovano perfino nei supermercati a meno di 50 euro, mentre quelli da appassionati possono costare fino a 1.500 euro.

La tecnologia in questo settore è sempre più semplice da utilizzare. Al posto di software particolarmente complicati che necessitano di una concreta competenza professionale, le aziende (la DJi – impresa di Hong Kong leader nella costruzione di droni – in primis) hanno sviluppato app sempre più intuitive.

Con i suddetti programmi gli utenti possono facilmente pilotare i propri droni da cellulare e tablet, avvalendosi del segnale Wi-Fi emesso dai relativi dispositivi, oppure con il Bluetooth (per i droni meno costosi e con un raggio di volo inferiore) o con segnali radio.

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Nel contesto sopra delineato, stiamo assistendo all’assenza di una ineludibile e commisurata sicurezza che non è stata caratterizzata da una evoluzione altrettanto rapida a quella dei droni. Infatti, l’incremento tecnologico e commerciale di questi apparecchi – con la diffusa avvertita mancanza di una appropriata regolamentazione, non più rinviabile – favorisce il loro impiego per compiere azioni terroristiche, che possono incidere sulla sicurezza nazionale, ove si consideri che fin dal 2015 l’ISIS ha immesso sulla rete numerose guide per la riconversione offensiva dei droni commerciali o droni fatti in casa.

Di conseguenza è molto probabile che le maggiori potenzialità di impiego a fini terroristici sono rappresentate dai droni professionali fino a 300 grammi, atteso che possono essere impiegati senza richiedere permessi.

Sugli stessi – con un’operazione leggermente più complicata, ma molto valida in termini di carico utile – è possibile l’installazione di un meccanismo di rilascio per lo sgancio di ordigni esplosivi o altro materiale. Molti video e guide fai-da-te sono disponibili online e spiegano passo per passo come modificare l’apparecchio. A ciò si aggiunga che sistemi di rilascio-e-consegna sono venduti su Internet da varie aziende con prezzi a partire da meno di 150 US dollari.

La minaccia in argomento appare ancor più credibile in quanto il rientro di foreign fighter e la migrazione dei reduci dell’Isis in varie aree geografiche, ivi compresa l’Europa, sta contaminando vaste aree e soprattutto il contesto sociale occidentale. Contaminazione operata da soggetti – non solo di diversa e intollerante cultura – ma anche in possesso di expertise caratterizzate da elevate peculiarità tecnologico-militari. Expertise formatesi nel corso dei tre anni di intensa attività del sedicente califfato iracheno, le quali si stanno diffondendo a livello planetari.

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. Inoltre, per dimensioni e materiali (molti dei quali non riflettenti), i droni commerciali sono difficilmente rilevabili dai sistemi convenzionali di tracciamento.

Ne consegue che la difesa contro questo tipo di minaccia è ardua per un operatore anti-APR che deve individuare il drone con “priorità 1”, ma la dimensione relativamente piccola e scarsamente “tracciabile”, lo rende una perfetta arma-letale.

Nel contesto urbano, l’impiego dei droni a scopi terroristici rappresenta una minaccia dagli effetti devastanti: non solo per i danni materiali che potrebbe arrecare, ma anche per la componente psicologica che concorrerebbe ad alimentare considerevolmente la natura stratificata del terrore. L’azione, finanche filmata in tempo reale, consente ai terroristi di rilanciare il video sul web ed amplificare l’effetto paura/panico.

Infine, la minaccia attuale è molto complessa a causa delle tecniche di occultamento creative inventate dai terroristi che, associate ai nuovi dispositivi elettronici e ad esplosivi improvvisati e non, rendono la minaccia di particolare natura asimmetrica tale da alterare il concetto standard di difesa.

Questa nuova asimmetria di rischio impone pertanto il ricorso a nuove e più sofisticate tecniche e contromisure a protezione delle grandi città europee.

Foto: Isis, Twitter, Youtune, Reuters e Drone Industry Insight

 

Luciano Piacentini, Claudio MasciVedi tutti gli articoli

Luciano Piacentini: Incursore, già comandante del 9. Battaglione d'Assalto "Col Moschin" e Capo di Stato Maggiore della Brigata "Folgore", ha operato negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico. --- Claudio Masci: Ufficiale dei Carabinieri già comandante di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali dove ha concluso la sua carriera militare.

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