L’imbarazzante caso dei droni italiano e americano abbattuti in Libia

(aggiornato alle ore 24.00)

Risposte confuse e poco convincenti. Roma e Washington hanno preso tempo per spiegare la perdita di due velivoli teleguidati nell’area di Tripoli.

L’Italia non ha spiegato cosa ci faceva un velivolo teleguidato MQ9 Reaper (Predator B) della nostra Aeronautica in volo sulla prima linea della “battaglia per Tripoli” quando è stato abbattuto da un missile dell’Esercito Nazionale Libico, le forze di Haftar.

Il Reaper italiano in volo non lontano da Tarhouna, città a una sessantina di chilometri a sud di Tripoli e roccaforte dell’LNA nell’offensiva scatenata il 4 aprile scorso per la conquista della capitale libica, è stato abbattuto il 20 novembre ma da allora nessuna reale notizia in proposito è stata resa nota da Roma.

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Nel pomeriggio del giorno 20 la Difesa aveva reso noto uno scarno comunicato: Nella giornata odierna è stato perso il contatto con un velivolo a pilotaggio remoto dell’Aeronautica Militare, successivamente precipitato sul territorio libico. Il velivolo, che svolgeva una missione a supporto dell’operazione Mare Sicuro, seguiva un piano di volo preventivamente comunicato alle autorità libiche. Sono in corso approfondimenti per accertare le cause dell’evento.

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Da allora più nulla, a conferma di un probabile imbarazzo del governo per quanto accaduto. I dettagli infatti sono giunti tutti dall’LNA, la cui comunicazione e propaganda è notoriamente molto efficace e a quanto pare molto più tempestiva di quella del governo italiano.

Il giorno stesso dell’abbattimento il comandante della zona militare occidentale del LNA, generale Mabrouk al-Ghazawi, aveva parlato dell’abbattimento ad opera delle difese aeree della “9a Brigata di fanteria del LNA di un “drone armato” nell’area di Tarhouna. I libici ritenevano si trattasse di un drone armato turco (uno dei Bayraktar TB2 dislocati a Mitiga e Misurata e gestiti da personale di Ankara al servizio del GNA).

“Stiamo ancora aspettando una dichiarazione ferma dall’Italia sulle ragioni di questo volo sul territorio libico e in una zona di divieto di sorvolo” aveva detto in conferenza stampa a Bengasi nel pomeriggio del 20 novembre il portavoce dell’Esercito nazionale libico di Khalifa Haftar, Ahmed al-Mesmari, commentando l’abbattimento, “con missile terra-aria”, di un drone italiano che sorvolava una delle zone sotto il loro controllo nell’ Ovest del Paese.

“Il velivolo italiano stava volando nel cielo di Tarhouna, che è un punto importante per le forze armate”, ha continuato il portavoce, “abbiamo dichiarato più di una volta che l’area che si estende da Sirte a Zuwara è un’area di operazioni militari di aria, mare e terra”.

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“Il volo di un aereo militare straniero su Tarhouna è una violazione dello spazio aereo libico e della sovranità della Libia”, aveva aggiunto al-Mesmari.

“E’ ancora presto per una spiegazione definitiva”, aveva detto sempre il 20 novembre una fonte della Difesa italiana all’ANSA, ma allo stato “l’ipotesi prevalente e più accreditata” è quella di “un incidente provocato da un problema tecnico”.

La stessa fonte ha rivelato che il Predator italiano volava a circa 6mila metri di quota, giudicata troppo alta per i sistemi antiaerei dell’LNA che però schiera da tempo i sistemi di difesa aerea russo Pantsir S-1 (concepito anche per individuare e abbattere droni) fornito dagli Emirati Arabi Uniti e i cui missili raggiungono e superano i 6mila metri.

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Inoltre è difficile credere che il primo MQ-9 Reaper perduto dall’Italia in circa dieci anni di attività abbia avuto un guasto proprio mentre sorvolava la zona di guerra di Tarhouna.

Anche perché il 23 novembre il comando delle forze Usa per l’Africa (Africom) ha reso noto di aver perso il contatto con uno dei suoi droni mentre era in volo sull’area di Tripoli. L’episodio sarebbe avvenuto il 21, un giorno dopo la perdita del Reaper italiano.

Africom ha annunciato che “un’indagine è in corso” per chiarire le cause dell’incidente ma, come nel caso del velivolo italiano, ben difficilmente verranno rese note le cause della perdita di ben due velivoli teleguidati in due giorni consecutivi nell’area di Tripoli.

Anche gli USA, come l’Italia, svolgono operazioni di sorveglianza sulla Libia tese a valutare le condizioni di sicurezza del Paese e per “monitorare le attività degli estremisti” ha spiegato Africom le cui forze hanno effettuato diverse incursioni contro le milizie dello Stato Islamico che stanno riorganizzandosi nell’entroterra desertico a sud di Sirte.

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“Queste operazioni – ha concluso la nota – sono fondamentali per contrastare le attività terroristiche in Libia e si svolgono in totale coordinamento con le autorità locali”.

E quindi quasi una certezza che Washington abbia intese in tal senso con il GNA di Tripoli come con l’LNA di Tobruk come dimostra anche l’assenza di polemiche da parte delle forze di Haftar nei confronti di Washington mentre si sprecano le accuse all’Italia.

Possibile quindi che i due droni siano stati individuati e abbattuti sulla “prima linea” di Tarhouna perché ritenuti turchi e quindi impegnati in azioni di guerra per conto del governo di Tripoli.

Una circostanza ammessa da una fonte ufficiale dell’LNA citata dal sito d’informazioni Libya Express che esprime rammarico per l’abbattimento peer errire del velivolo teleguidato statunitense e chiede “un maggior coordinamento con gli Stati Uniti per evitare in futuro simili incidenti”. Un “coordinamento” che in qualche misura sembra esistere già considerato che del Reaper statunitense abbattuto non sono state diffuse immagini a differenza di quanto ha fatto l’LNA con il velivolo italiano.

Washington impiega solitamente sulla Libia due tipi di UAS: gli RQ-4 Global Hawks basati a Sigonella (7th Reconnaissance Squadron), e gli MQ-9 Reapers dekl 324th Expeditionary Air Reconnaissance Squadron basati sempre a Sigonella ma rischierati in Grecia (Larissa) e Niger (Base 201 ad Agadez).

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La coincidenza dell’abbattimento ravvicinato di due UAS (Unmanned Aerial System) apre anche all’ipotesi che l’LNA disponga di sistemi di disturbo dei segnali satellitari che guidano i velivoli teleguidati.

Un’ipotesi che viene seguita con rinnovato interesse specie dopo le notizie del crescente ruolo di centinaia di contractors russi del Gruppo Wagner impegnati al fianco delle forze di Haftar di cui Mosca ha però smentito la presenza.

Gli specialisti del Gruppo Wagner sarebbero coinvolti nella logistica e  manutenzione ma anche con l’impiego di droni Orlan-10 e la presenza di consiglieri militari, secondo alcune fonti anche in prima linea.

Come abbiamo ricordato su queste pagine i russi avrebbero già subito perdite in Libia ma avrebbero recentemente inviato rinforzi e, con la giustificazione di aiutare le forze di Haftar ad abbattere i droni turchi del GNA, potrebbero testare nuovi sistemi di disturbo elettronico sui velivoli teleguidati occidentali.

FILE - In this March 18, 2015 file photo, Gen. Khalifa Hifter, then Libyas top army chief, speaks during an interview with the Associated Press in al-Marj, Libya. From east and west, the forces of Libyas rival powers are each moving on the city of Sirte, vowing to free it from the hold of the Islamic State group. Hitter, backed by Egypt and the United Arab Emirates, he is considered a hero in the east. But he is widely despised in western Libya, where his opponents depict him as a would-be dictator along the lines of Gahdafi. (ANSA/AP Photo/Mohammed El-Sheikhy, File) [CopyrightNotice: Copyright 2016 The Associated Press. All rights reserved. This material may not be published, broadcast, rewritten or redistribu]

Del resto nel 2011 gli iraniani abbatterono con jammer elettronici il segretissimo drone-stealth americano RQ-170 Sentinel che teneva d’occhio i siti atomici di Teheran e negli anni successivi i talebani afghani riuscirono ad abbattere alcuni Predator con un sistema di disturbo elettronico rudimentale ma molto efficace.

In assenza di dettagli da Roma e Washington resta comunque valida anche l’ipotesi che il drone statunitense, come quello italiano, sia stato abbattuto da missili dei Pantsir forniti dagli Emirati arabi Uniti all’LNA.

Tornando all’attualità ieri la fazione di Haftar ha reiterato le accuse all’Italia. La Commissione Difesa della Camera dei rappresentanti di Tobruk ha infatti denunciato quello che definisce il sostegno italiano a “bande terroristiche ed estremiste in Libia attraverso il supporto logistico sul terreno e il volo di droni nello spazio aereo libico”  (Haftar definisce “terrorista” il governo di Tripoli perchè sostenuto dal movimento islamista dei Fratelli Musulmani.

2. Primo volo Predator B

“Avvertiamo la Repubblica Italiana che persistendo con questo approccio a sostegno delle milizie l’Italia non avrà alcuna opportunità di partecipare in futuro alla cooperazione con la Libia”, si legge nel comunicato diffuso dal sito Libyan Address Journal, vicino ad Haftar, che venerdì aveva già pubblicato il monito all’Italia del deputato di Tobruk, Ali al Saidi, molto vicino al generale, a “rispettare la sovranità della Libia”.

L’abbattimento potrebbe quindi venire interpretato come il tentativo di Roma di osservare direttamente lo sviluppo degli eventi bellici nella battaglia per Tripoli. Obiettivo giustificato tenuto conti degli interessi italiani in Libia e di come gli sviluppi militari potrebbero mettere a rischio i circa 400 militari italiani schierati tra Tripoli e Misurata.

Gli sviluppi potrebbero essere preoccupanti tenuto conto che finora i raids aerei di Haftar sull’aeroporto di Misurata hanno presto di mira droni, blindati e depositi di munizioni turchi ma non il vicinissimo contingente italiano che peraltro non dispone di difese antiaeree.

Sempre ieri l’LNA ha annunciato l’imposizione del divieto di sorvolo intorno all’ area delle operazioni militari dentro e intorno alla capitale Tripoli. E il portavoce Ahmed al-Mesmari ha reso note si twitter le coordinate delle aree interessate alla “no-fly zone”, da cui rimane escluso l’aeroporto tripolino di Mitiga.

@GianandreaGaian

Foto: LNA, Twitter, AFP e US DoD

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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