Ankara trasferisce in Libia i miliziani jihadisti reduci dalla Siria
(aggiornato alle ore 22,30)
Mentre a Roma e nelle capitali europee si discute su come affrontare la crisi libica, il parlamento turco ha anticipato al 2 gennaio la ripresa dei lavori e di conseguenza il voto (dall’esito scontato) sulla mozione del governo circa l’invio di militari in Libia. Lo aveva lasciato intendere il governo del presidente, Recep Tayyip Erdogan, e ieri lo ha ufficializzato il leader nazionalista, Devlet Bahceli, confermando il sostegno del proprio partito all’azione militare di truppe turche in Tripolitania.
Secondo l’agenzia di stampa AGI un’accelerazione di Ankara potrebbe esserci subito dopo la visita ad Istanbul, l’8 gennaio, del presidente russo, Vladimir Putin. Erdogan ha anche sentito al telefono la cancelliera tedesca, Angela Merkel, che dovrebbe ospitare a Berlino una conferenza di pace a metà gennaio.
La Turchia avrebbe però già inviato in Libia, secondo l’Osservatorio siriano per i Diritti umani (Ondus), mercenari siriani arrivati nel Paese nordafricano per sostenere il Governo di accordo nazionale (GNA) guidato da Fayez al-Serraj.
Secondo l’ong siriana (vicina ai ribelli anti-Assad e con sede a Londra), circa 300 miliziani sono già stati trasferiti con voli aerei dal territorio siriano controllato dalla Turchia alla Libia ma in totale potrebbero arrivarne 1.600 da affiancare, nei programmi di Ankara, a 5mila soldati regolari turchi.
Miliziani siriani e arabi che, secondo l’Ondus, “provengono dal movimento Hazzm” (Movimento della Fermezza), fazione armata islamista siriana vicina alla Fratellanza Musulmana, equipaggiata dagli Stati Uniti e dalla Turchia i cui membri nel 2015 confluirono in altri raggruppamenti di miliziani jihadisti.
Molti miliziani sarebbero stati trasferiti da Afrin, l’ex enclave curda nel nord della Siria conquistata nel 2018 dalla Turchia con l’appoggio di milizie arabe locali. Le fonti dell’Ondus sostengono che i ribelli siriani sono stati individuati nel distretto di Salah al-Din, a sud della capitale libica, e risultano acquartierati nell’ accampamento di al-Takbaly, già in mano a milizie locali filo-turche.
Ai combattenti, sempre secondo l’Ondus, viene offerto uno stipendio che oscilla tra i 2.000 e i 2.500 dollari al mese (altre fonti parlano di 1.800/2.000) per turni di presenza in Libia di 3/6 mesi. Pochi giorni fa sempre l’Ondus aveva rivelato che la Turchia aveva istituito centri di reclutamento per combattenti nella Siria nordoccidentale, in zone sotto il controllo delle fazioni fedeli ad Ankara, per inviarli in Libia.
L’Ondus sostiene che oltre un migliaio di miliziani hanno raggiunto i militari turchi nel nord della Siria per ricevere addestramento e trasferirsi in Libia.
Mervan Qamishlo, portavoce della principale alleanza armata che combatte le truppe di Ankara nel nord della Siria, le Forze Democratiche Siriane (FSD) composte da milizie curdo-arabe, ha rivelato che anche centinaia di combattenti qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra (poi ribattezzato Tahrir al-Sham), dello Stato islamico e dell’Esercito Siriano Libero (ESL) si sono trasferiti in Libia e almeno altrettanti si apprestano a farlo dopo l’inquadramento impartito da militari turchi.
Informazioni difficili da verificare ma Ankara sembra stia offrendo un lavoro in Libia a un buon numero di miliziani dei più importanti gruppi jihadisti che combatterono contro Bashar Assad con il sostegno turco, dei paesi arabi del Golfo e dell’Occidente e che ora, a conflitto ormai vinto da Damasco e Mosca, Erdogan manderà a combattere di fronte alle coste italiane.
Quanto sta avvenendo conferma molti elementi già noti da tempo, primo tra tutti la responsabilità turca nel conflitto siriano e il controllo che l’intelligence di Ankara ha avuto e continua ad avere sulle milizie irregolari jihadiste composte da volontari provenienti da moltissimi paesi islamici.
Paradossale che l’Italia e l’Europa sostengano da anni di preoccuparsi che dalla Libia i “foreign fighters” possano confluire nei flussi migratori illegali quando la Turchia (nostro “alleato” nella NATO) sta inviando a Tripoli un numero di combattenti jihadisti senza precedenti che minacciano di costituire un grave problema di sicurezza e destabilizzazione per la Libia e i paesi confinanti.
Non è forse un caso che ieri la Tunisia abbia reso noto che “le forze armate schierate lungo i confini tra Tunisia e Libia sono pronte e vigili per prevenire ogni possibile intrusione, in rapporto ai continui combattimenti in Libia, e per assicurare il regolare svolgimento delle festività del nuovo anno” aggiungendo che “i militari e le varie istituzioni interessate sono pronte a tutti gli scenari, in caso di afflusso di cittadini libici verso la Tunisia”.
Il rapido afflusso di miliziani filo-turchi (e preso forse di truppe regolari di Ankara dopo i molti consiglieri militari già da tempo presenti a Tripoli e Misurata) sembra legato ai timori per l’avvicinamento a Tripoli delle forze di Haftar che hanno preso l’aeroporto internazionale chiuso da anni e secondo alcune fonti avrebbero compiuto progressi in più settori dopo aver fermato una controffensiva del GNA nell’area di Tarhouna.
Sotto il tiro dei bombardamenti dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) di Haftar è soprattutto l’area dell’aeroporto Mitiga, l’unico in funzione e riaperto recentemente, con l’obiettivo forse di impedire lo sbarco dei miliziani inviati da Ankara. Ieri il corrispondente di al-Arabiya tv ha riportato di 7 raid aerei condotti contro diverse posizioni del GNA a Tripoli.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.