Dopo la Siria turchi e russi si spartiranno anche la Libia?
La Marina Militare Italiana ha reso noto che la fregata Federico Martinengo “ha effettuato una sosta nel porto di Larnaca, Cipro, dal 6 al 9 dicembre. Nave Martinengo, sta conducendo un’operazione di pattugliamento nel Mar Mediterraneo Orientale per svolgere attività di presenza e sorveglianza degli spazi marittimi, in rispetto del diritto internazionale e a tutela degli interessi nazionali”.
La nota ha aggiunto che “durante la sosta, iniziata lo scorso venerdì 6 dicembre, il comandante e una rappresentanza dell’equipaggio hanno partecipato alle celebrazioni di San Nicola, patrono della Marina -cipriota. Lasciato il porto, la fregata Martinengo condurrà attività addestrative con navi delle marine di Paesi amici dal 12 al 14 dicembre”.
“La presenza nel porto di Larnaca rientra nell’ambito delle attività di Diplomazia Navale, peculiarità della Marina Militare, svolte nel settore della cooperazione internazionale e del dialogo tra i Paesi dell’area, con cui l’Italia intrattiene importanti rapporti politico-diplomatici, economici e industriali” ha concluso il comunicato della Marina.
La missione della fregata italiana in quell’area va messa in relazione con le tensioni in atto tra Grecia e Cipro da una parte e Turchia e Libia (Governo di Accordo Nazionale – GNA – di Tripoli) dall’altra in seguito alle dispute sulle Zone Economiche Esclusive (ZEE) nel Mediterraneo Orientale
Il recente accordo tra Ankara e Tripoli, firmato a Istanbul il 27 novembre, consente di fatto ai turchi di esercitare il controllo su uno specchio di mare che si incunea tra Creta e Cipro fino a incontrare a sud la ZEE libica. Un “accordo di demarcazione” contestato e ritenuto illegittimo dalla Grecia e che potrebbe impedire la realizzazione del gasdotto EastMed, destinato a portare in Europa il gas estratto nei giacimenti greci, ciprioti, israeliani ed egiziani attraverso Creta e l’Italia.
Allo stesso tempo la definizione delle ZEE tra Cipro, Grecia ed Egitto è sempre stata considerata una minaccia da Ankara che ha già in più occasioni inviato navi da guerra e navi per prospezioni nelle acque cipriote assegnate da Nicosia alle ricerche di giacimenti di gas alle navi di diverse compagnie energetiche incluse ENI e Total.
Il 6 dicembre Atene aveva espulso l’ambasciatore libico suscitando le proteste turche. Il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, ha ribadito che “l’accordo tra noi e la Libia non è segreto, ma si tratta di un atto che viene discusso dai Parlamenti. Condanniamo la decisione della Grecia, perchè la Libia è uno stato sovrano”. Il ministro turco ha poi specificato che Ankara fornirà tutti i dettagli dell’accordo “attraverso i canali opportuni”.
L’accordo con il governo libico prevede la giurisdizione della Turchia in un tratto delle acque nordafricane, giurisdizione che Ankara rivendica in base all’estensione della propria costa ma Atene lo contesta in base alla sua giurisdizione sull’isola di Kastellorizo (segnato in giallo nella mappa qui sopra), situata a pochi chilometri dalla costa turca proprio nell’area di “proiezione” della ZEE turca verso la Libia.
L’8 dicembre a Tripoli, il GNA del premier Fayez al-Serraj ha annunciato l’entrata in vigore dell’accordo con la Turchia sulle aree giurisdizionali del Mar Mediterraneo insieme a quello sulla cooperazione militare e di sicurezza. Secondo il ministero della Giustizia del GNA, il consiglio presidenziale del governo ha chiesto ai dipartimenti competenti dimettere in vigore gli accordi che saranno pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale libica all’ inizio del 2020.
Il 9 dicembre il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio ha definito il memorandum tra Turchia e governo libico “illegittimo” aggiungendo che rappresenta un “ulteriore rischio di instabilità. Quegli accordi per noi non sono assolutamente legittimi” mentre è “un fatto inaccettabile che la Turchia e il governo libico decidano autonomamente quali siano i limiti delle acque territoriali e non, senza coinvolgere un paese come la Grecia.”
I media greci e ciprioti evidenziano infatti come la presenza della fregata Martinengo venga considerata un evidente schieramento dell’Italia a sostegno diretto di Cipro e della Grecia con quest’ultima che ha chiesto all’Onu di condannare l’accordo turco-libico.
Nelle ultime ore anche l’Unione Europea ha assunto una posizione netta. “Siamo dalla vostra parte, l’azione della Turchia nell’Egeo è inaccettabile, invieremo un chiaro messaggio alla Turchia” ha affermato il presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, rivolgendosi alla Grecia.
Una disputa non nuova
La pubblicazione da parte di del sito Sigma Live, il 28 febbraio 2018, della mappa relativa all’accordo a tre sulla ZEE egiziana-greca-cipriota suscitò le proteste turche mentre nei giorni scorsi la stampa turca ha accusato la Grecia di svolgere un ruolo destabilizzante nel Mediterraneo Orientale, cercando di occupare circa 39.000 metri quadrati di acque marittime considerate libiche.
Ankara afferma che i diritti dei sovrani libici in mare sono colpiti dalla guerra in atto intorno a Tripoli e non possono essere violati da Israele, Egitto, Grecia e altri attori regionali a causa del gasdotto EastMed.
“L’accordo tra il governo della Libia e Ankara è in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare”, ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri turco, Hami Aksoy.
il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, alla vigilia del vertice Nato di Londra, aveva ribadito che Ankara non intende rimettere in discussione l’accordo firmato a Istanbul con al-Sarraj e nelle ultime ore ha aggiunto che adesso Turchia e Libia possono effettuare operazioni congiunte di esplorazione nel Mediterraneo Orientale.
In un’intervista con l’emittente statale TRT Haber, Erdogan ha affermato che l’accordo consentirebbe anche alla Turchia di effettuare perforazioni sulla piattaforma continentale della Libia con l’approvazione di Tripoli. L’intesa tra Tripoli e Ankara è stata duramente criticata anche dall’Egitto e dal governo libico della Cirenaica cui fa capo l’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar, rivale del GNA.
“Tali accordi non hanno effetto legale e non possono essere riconosciuti alla luce dell’articolo 8 dell’Accordo di Skhirat del 2015 che determina che il primo ministro libico (Fayez al Sarraj) non ha l’autorità per firmare trattati internazionali”, ha affermato il governo egiziano richiamando l’accordo siglato in Marocco che consentì la nascita del GNA sotto l’egida dell’ONU.
“È inoltre noto che il governo libico è incompleto e soffre di grossi squilibri nella rappresentazione delle regioni libiche”. Per questo Il Cairo sostiene che gli accordi firmati a Istanbul “non vincolano o influenzano i diritti e gli interessi di parti terze, così come non hanno impatto sui diritti dei paesi che affacciano sul Mediterraneo rispetto alla demarcazione dei confini marittimi della regione”.
Lo stesso giorno anche il parlamento di Tobruk ha condannato l’accordo militare firmato dalla Turchia con il GNA il 27 novembre a Istanbul definendolo “un alto tradimento, un accordo illegittimo, una minaccia per il Mediterraneo” e annunciando che l’LNA guidato dal generale Khalifa Haftar non rinuncerà a rispondere.
Aspetti militari e rischi per l’Italia
L’accordo turco-libico ricopre del resto anche un importante veste militare che impatta sul conflitto in atto intorno a Tripoli dall’aprile scorso. “Siamo fiduciosi che insieme miglioreremo le condizioni di sicurezza del popolo libico. La stabilità della Libia è di importanza cruciale per la sicurezza dei libici, la stabilità regionale e la prevenzione del terrorismo internazionale”, ha commentato su Twitter il portavoce della presidenza turca, Fahrettin Altun, subito dopo la firma dell’intesa.
Secondo Altun l’accordo è “una versione più ampia” di quello precedente e riguarda “l’addestramento, struttura la cornice legale e rafforza i legami tra i nostri eserciti”.
“Se la Libia ce lo chiedesse, saremmo pronti a mandare tutte le truppe di cui ci fosse bisogno” ha annunciato ieri Erdogan in un discorso all’università Bilkent di Ankara ribadendo un’ipotesi già annunciata in un’intervista alla tv statale TRT.
Non si può quindi escludere che l’intesa tra Ankara e Tripoli e il posizionamento dell’Italia a favore di Cipro e Grecia, possano influenzare anche i rapporti tra Roma e il GNA (già indeboliti dal disinteresse mostrato negli ultimi mesi dal governo Conte 2 nei confronti della crisi libica e del governo di Tripoli) pregiudicando anche la presenza militare italiana a Tripoli e Misurata e gli accordi circa gli aiuti alla Guardia Costiera libica e il contrasto all’immigrazione illegale.
Ankara attua da anni nei confronti dell’Europa un vero e proprio ricatto minacciando la Ue di aprire i suoi confini occidentali e il Mar Egeo a nuove invasioni di migranti illegali lungo la “rotta balcanica”.
A tal proposito il 12 novembre scorso Erdogan ha ribadìto la minaccia di aprire le porte dell’Europa a 4 milioni di rifugiati siriani e iracheni in risposta a eventuali misure punitive europee per l’offensiva nel nord della Siria delle truppe turche e delle milizie siriane loro alleate. La crescente e ormai preponderante influenza turca su Tripoli potrebbe consentire ad Ankara di allargare il ricatto anche alla “rotta libica”. Una pistola puntata contro l’Italia.
Gli sviluppi militari
I rapidi sviluppi militari e lo scarso interesse che Roma ha mostrato begli ultimi mesi nei confronti dell’evolversi della crisi libica rischiano quindi di aprire scenari in cui l’Italia e l’intera Europa rischiano di risultare del tutto marginali o ininfluenti.
Dopo l’abbattimento del velivolo teleguidato MQ9 Reaper statunitense, il 21 novembre non lontano da Tripoli, ad opera delle batterie antiaeree dell’LNA, l’Africa Command statunitense ha puntato il dito contro la crescente presenza di mezzi e combattenti russi tra le fila delle forze di Haftar, tema di cui si è occupata approfonditamente anche Analisi Difesa.
Le autorità militari statunitensi hanno chiesto per ora invano che il relitto venga restituito ma il fatto che gli statunitensi, da anni abituati a muoversi con estrema disinvoltura e libertà d’azione in tutta la Libia, non siano stati in grado di recuperare la carcassa e gli equipaggiamenti del velivolo sembra lasciar intendere che il livello di minaccia in quell’area venga considerato oggi più elevato.
Il comando delle forze di Haftar si è scusato con Washington per l’abbattimento avvenuto per errore, poichè il velivolo senza pilota era stato ritenuto uno dei Bayraktar TB2 turchi impiegati dai consiglieri militari di Ankara che affiancano le milizie del GNA.
Scuse che l’LNA non ha invece presentato all’Italia per il Reaper del 32° Stormo dell’Aeronautica abbattuto il giorno prima nella zona di Tarhouna, sulla “prima linea” degli scontri tra LNA e GNA. AFRICOM ritiene che l’abbattimento sia opera della difesa aerea russa che affianca l’LNA anche se le batterie missilistiche impiegate finora dalle forze di Haftar sono dei Pantsir S di costruzione russa ma forniti dagli Emirati Arabi Uniti.
Il crescente e sempre più muscoloso ruolo russo in Libia, anche se affidato a contractors del Gruppo Wagner come sostengono molte fonti (ma Mosca nega ogni coinvolgimento in quel conflitto), sembra indicare un aumentato interesse di Washington per la crisi libica. Un interesse improntato però. Come in Siria, più al contrasto di Mosca che alla soluzione del conflitto interno alla ex colonia italiana.
Il generale Stephen Townsend, che guida l’Africa Command, è convinto che gli operatori della difesa aerea “non sapessero che era un aereo pilotato a distanza negli Stati Uniti quando hanno sparato contro di esso” dando quindi credito alla versione fornita dall’LNA.
“Sicuramente sanno a chi appartiene ora e si stanno rifiutando di restituirlo” ha aggiunto polemicamente Townsend in una nota. Un funzionario del GNA della Libia ha detto all’agenzia di stampa Reuters che i contractors russi sembrano essere responsabili dell’abbattimento del Reaper ma è ovvio che tali valutazioni da parte del GNA non sono certo disinteressate.
Le stesse indicazioni valgono per le dichiarazioni dell’LNA di Haftar che nega di ricevere sostegno straniero, persino quello da anni evidente da parte di Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Un ex contractor russo ha riferito sempre alla Reuters che da settembre l’LNA gode del supporto a terra di combattenti di una compagnia militare privata russa.
Frederic Wehrey analista del think-tank statunitense Carnegie Endowment for International Peace, ha affermato che il contributo dei russi include non solo la logistica ma anche tiratori scelti e armi di precisione e potrebbe avere avuto un peso rilevante sul campo di battaglia, rialzando il morale delle forze di Haftar.
Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti Mark Esper, in un’intervista ha ammesso di ritenere che la Russia stia cercando di “mettere il dito sulla bilancia” nella guerra civile libica per creare una situazione vantaggiosa per Mosca.
Anche il generale Townsend ha espresso preoccupazione per il ruolo crescente della Russia in Libia, incluso il modo in cui ciò influenzerebbe la “sovranità territoriale e la missione antiterrorismo di AFRICOM” a conferma di come la presenza russa stia inibendo i sorvoli e i movimenti delle forze americane in Libia.
“Ciò evidenzia l’influenza negativa dei mercenari russi che agiscono per condizionare l’esito della guerra civile in Libia, che sono responsabili del recente forte aumento dei combattimenti, delle vittime e della distruzione intorno a Tripoli”, ha detto Townsend.
Mohammed Ali Abdallah, consigliere per i rapporti con gli Stati Uniti del GNA, sostiene che siano addirittura 1.400 i contractors russi schierati con l’LNA e che l’UAS americano è caduto vicino alla roccaforte pro-LNA di Tarhouna, a sud-est di Tripoli: esattamente dove è stato abbattuto il 20 novembre anche il Reaper italiano di cui né Roma, né le diverse autorità libiche hanno più fornito notizie.
Anche Israele in campo con Haftar?
Difficile verificare notizie e soprattutto numeri ma va ricordato che nel gennaio 2017 è stato firmato un accordo di cooperazione militare tra Mosca e il generale Haftar, a bordo della portaerei russa Admiral Kuznetsov mentre nelle ultimo ore sembra emergere anche il ruolo di Israele a sostegno dell’LNA.
Militari israeliani (forze speciali?) dell’esercito e dell’intelligence sarebbero stati inviati a sostegno delle milizie di Haftar nella battaglia per Tripoli. La testata The New Arab, che cita fonti libiche ed egiziane, ha riportato che l’accordo bilaterale di cooperazione per la sicurezza tra Egitto e Israele avrebbe consentito al Cairo di coordinare il trasferimento di personale specializzato israeliano nelle aree libiche controllate dal maresciallo Haftar per missioni di addestramento già dall’agosto scorso.
Le fonti citate hanno dichiarato che il coinvolgimento di specialisti israeliani è finalizzato all’ appoggio alle milizie di Haftar per gli scontri nei sobborghi di Tripoli, dove serve un addestramento mirato alle tecniche di combattimento urbano in cui gli israeliani sono maestri anche per le esperienze maturate a Gaza e in Cisgiordania.
Haftar avrebbe tenuto un incontro riservato con esponenti israeliani governativi e dell’intelligence attraverso la mediazione emiratina già nell’ estate del 2018, ottenendo la fornitura di armi e tecnologie come fucili di precisione e visori notturni.
Il supporto israeliano all’LNA si sarebbe intensificato recentemente in contrapposizione alla Turchia anche nell’ottica del duello sugli spazi marittimi in atto nel Mediterraneo Orientale e che vede Gerusalemme schierata saldamente al fianco dell’Egitto, di Cipro e della Grecia.
Il premier della Cirenaica, Abdullah al-Thani, ufficialmente il capo politico di Haftar e dell’LNA, sarebbe volato al Cairo la settimana scorsa per incontrare il capo della intelligence egiziana, Abbas Kamel, e il ministro degli Esteri Sameh Shukri, con cui avrebbe discusso soprattutto di contrasto all’ accordo fra al-Sarraj e Ankara.
Verso una nuova intesa russo-turca?
Che la crisi libica, dopo anni di impasse, di sostanziale disinteresse dell’Occidente e di irrilevanza dell’Europa, possa trovare una sua composizione politica grazie a un’intesa tra Turchia e Russia comincia a diventare un’ipotesi da prendere in considerazione.
Ieri è stato reso noto che Vladimir Putin ed Erdogan avranno una telefonata entro pochi giorni per discutere della Libia. Lo ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ai giornalisti che gli hanno chiesto se fosse prevista una simile conversazione considerando che Erdogan aveva detto in precedenza che desiderava discutere della Libia con Putin e chiedere alla Russia di smettere di sostenere il comandante dell’esercito nazionale libico Khalifa Haftar.
“La Russia mantiene relazioni con tutti gli attori del teatro politico e militare interno in Libia e auspica soprattutto che le parti stesse in lotta manifestino la loro volontà di scendere a compromessi”, ha affermato Peskov aggiungendo che “la Russia accoglie con favore tutte le iniziative che potrebbero facilitare un accordo in Libia”.
Al di là dei giochi di ruolo tra i due presidenti, il dato che emerge è che anche la crisi libica, come già quella siriana, sta diventando un affare esclusivo di Russia e Turchia.
Come è accaduto in Siria, Ankara e Mosca sembrano giocare con spregiudicatezza e determinazione grazie alla loro capacità (ormai sconosciuta agli europei e ritenuta ormai quasi sconveniente dagli USA) di schierare assetti militari (ufficialmente o meno) in prima linea e impiegarli in combattimento.
I consiglieri militari turchi hanno salvato Tripoli dalle truppe di Haftar e i contractors russi probabilmente impediranno al GNA di sconfiggere l’LNA creando così le condizioni per un’intesa politica che probabilmente vedrà la formula “una Libia, due governi”, di fatto caldeggiata da Ankara e Mosca, ansiose di passare all’incasso.
Questo significherebbe in termini politici un altro successo di vasta portata dopo quello in Siria, sul piano militare permetterebbe a turchi e russi di occupare posizioni strategiche nel Mediterraneo Centrale e sul piano economico ed energetico di rilanciare con le proprie compagnie petrolifere l’estrazione di gas e greggio in una Libia divisa ma pacificata.
Al di là degli attuali toni bellicosi entrambe le fazioni libiche sono esauste dopo otto mesi di guerra, pur se a bassa intensità. “Dopo il cessate fuoco, chi sarà coinvolto in questi negoziati, dovrà deciderlo il popolo e non penso” che il coinvolgimento del generale Khalifa Haftar in questi negoziati, “sia una cosa impossibile” ha dichiarato Mohamed Taher Syala, ministro degli Esteri del governo di Tripoli, intervenendo ai Med Dialogues di Roma.
“Io devo essere aperto a tutti gli interlocutori. Forse ci potrebbero essere negoziati diretti e indiretti, ma una soluzione si trova sempre. Si potrebbe iniziare con negoziati indiretti, poi diretti. Innanzitutto, cominciamo a porre fine alla guerra”, ha aggiunto il ministro.
Allo stato attuale non è difficile immaginare che Turchia e Russia abbiano più di chiunque altro Paese le carte in regole per guidare tali negoziati.
Foto: Anadolu, Sygma Live, Twitter,TRT, LNA e Marina Militare Italiana
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.