Oltre l’intesa turco-libica: il problema delle ZEE nel Mediterraneo

L’improvvisa (ma non imprevista) iniziativa turca di delimitazione della propria Zona Economica Esclusiva (ZEE) con la Libia ha modificato d’un sol colpo gli scenari marittimi del Mediterraneo.

La condanna della Turchia da parte di Usa, Ue ed ovviamente della Grecia appare più che motivata se si considera che ad Ankara viene imputato un difetto di buona fede sia nell’aver applicato in modo distorto le tecniche di delimitazione sia nel non aver tenuto conto dei diritti vantati da altri Stati frontisti come appunto la Grecia, Cipro e l’Egitto. Osservando con maggiore attenzione appare però evidente che casi simili sono presenti in altre zone mediterranee in cui è coinvolta anche l’Italia.

 

I criteri adottati

 In materia di delimitazioni di ZEE e sottostante piattaforma continentale c’è infatti una sorta di incertezza e di ambiguità che legittima paradossalmente le pretese più spregiudicate. Anche perché ogni Stato è libero di proclamare unilateralmente proprie zone di giurisdizione ma queste non sono opponibili dagli Stati terzi che le contestino mentre la Convenzione del diritto del mare del 1982 (Unclos) non indica alcun metodo da applicare nello stabilire confini marittimi, limitandosi a prescrivere che il risultato raggiunto per accordo debba essere equitativo.

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Mappa presentata alla CIG dalla delegazione italiana nel Caso Libia/Malta (ICJ, Reports, 1984, V, Map 25)

 

In realtà, dalla prassi e dalla giurisprudenza internazionale può ricavarsi il principio che il criterio dell’equidistanza geometrica (in passato applicato con maggiore rigidità) rappresenti il punto di partenza del procedimento di delimitazione, mentre la mediana (che alcuni ritengono erroneamente essere sinonimo di equidistanza) sia invece il risultato raggiunto dalle Parti.

Le decisioni giurisprudenziali come quella relativa al caso Malta-Libia del 1985 danno concretezza alla metodologia delle delimitazioni la quale si articola su tre passaggi (c.d. “three steps process” e cioè:

1) tracciamento preliminare di una linea di equidistanza geometrica tra le coste rilevanti degli Stati interessati;

2)  rettifica successiva se esistono “circostanze rilevanti che esigano l’aggiustamento o lo spostamento di tale linea al fine di ottenere un risultato equitativo”, quali la proporzionalità tra la lunghezza delle coste rilevanti da prendere a base per la delimitazione;

3) esecuzione di un test di proporzionalità mediante comparazione tra l’estensione delle aree marine da attribuire a ciascuna parte e la lunghezza delle rispettive coste rilevanti al fine di verificare il carattere equitativo del risultato raggiunto

 

Il confronto nel Mediterraneo Orientale

Si spiega così che Cipro abbia potuto stipulare accordi di delimitazione con l’Egitto (2003), il Libano (2007) ed Israele (2010) che hanno irritato la Turchia vistasi confinata in prossimità delle proprie coste, senza alcun affaccio sulle aree alturiere ad ovest di Cipro ed a nord dell’Egitto.

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Il tracciato del gasddotto East Med Fonte Sygma Live

 

Quello che è accaduto è la ben nota disputa del Mar di Levante che ha visto Nicosia assumere un ruolo centrale di hub energetico proiettato verso l’Italia ed il resto d’Europa con il gasdotto EastMed, mentre Ankara ha stabilito un confine della ZEE con la parte settentrionale della Repubblica Turca di Cipro del Nord.

La Grecia era invece rimasta sinora silente, rinunciando a proclamare proprie ZEE per via della moratoria imposta dalla Nato dopo che, nel 1974, il contenzioso con la Turchia per la piattaforma continentale dell’Egeo era divenuto un casus belli. Anche allora, il problema erano le isole greche a ridosso della costa turca, che Ankara considera irrilevanti per la definizione dell’equidistanza.

 

Il memorandum turco-libico

Ora Turchia e Libia hanno infranto tale status quo. Non conosciamo la metodologia da loro applicata per stabilire le rispettive frontiere marittime, anche se il testo del Memorandum riporta la lista delle coordinate dei punti delle coste turche e libiche (ora sotto controllo della Cirenaica) prese a base per la definizione della linea di equidistanza: la costa turca interessata va dalla zona retrostante l’isola greca di Castellorizo alla Penisola di Marmaris prospiciente Rodi; quella libica, dal confine con l’Egitto arriva sino a Derna.

In sostanza, non è stato tenuto conto delle isole greche suindicate (oltre Scarpanto) considerandole collocate dalla parte “sbagliata”, né si è dato effetto alle coste orientali di Creta, facendo passare nella potenziale ZEE dell’Isola la diagonale congiungente l’Anatolia alla Cirenaica.

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La Zee turco-libica. In blu la Zee pretesa dalla Turchia nel Mar di Levante e nell’Egeo. Fonte https://www.keeptalkinggreece.com

 

 Possibili sviluppi

Purtroppo non si può immaginare quali sviluppi avrà una crisi indotta da un accordo che priva la Grecia di ampi spazi di mare sinora pretesi come propri (e perciò aperti a sud di Creta a promettenti ricerche energetiche) e la separa da Cipro. La fascia di ZEE turco-libica taglia inoltre in due il Mediterraneo creando potenziali problemi geopolitici attinenti la libertà di navigazione e la posa di gasdotti.

Volendo ragionare in termini di contromisure, si potrebbe per assurdo pensare che la Grecia, oltre ad estendere a 12 miglia le acque territoriali sinora ferme a 6 miglia, delimiti una sua porzione di ZEE con il Governo della Cirenaica.

Non senza dimenticare che l’Italia, per parte sua, potrebbe stipulare un accordo di delimitazione di ZEE e piattaforma continentale con Tripoli ponendo in atto quello che era stato affermato e riconosciuto dalla Corte internazionale di Giustizia nel 1985 e cioè che Malta e Libia, nel delimitare le proprie zone di piattaforma dovessero fermarsi al meridiano 15°10’ dove inizia la zona di interesse di Stati terzi (cioè, l’Italia e la Grecia).

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Quadro d’insieme delle pretese di Malta, Tunisia, Italia e Libia (Fonte: Times of Malta)

 E che dire della recente iniziativa dell’Algeria di estendere la propria Zee in prossimità della Sardegna centro-occidentale, sovrapponendosi alla piattaforma continentale italo-spagnola ed alla Zpe italiana? E’ evidente che dovremmo rimproverare all’Algeria di considerarsi Stato frontista della Francia, come appunto ha fatto la Turchia con la Libia.

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I punti in verde indicano i limiti della ZEE algerina dichiarata nel 2018. Ad ovest della Sardegna la Zona di protezione ecologica e la piattaforma continentale italiana su cui si sovrappone la ZEE algerina

 

Insomma, siamo ancora agli inizi di una partita che si annuncia quanto mai complessa ed imprevedibile. Sul piano giuridico le uniche soluzioni sono o un accordo complessivo tra tutti gli Stati interessati o un deferimento del caso ad una corte internazionale, a meno che, di fronte ad una grave crisi, non debba intervenire il Consiglio di sicurezza.

Un’alternativa potrebbe essere un prolungato sovrapporsi di pretese contrastanti di tutti gli Stati mediterranei che creerebbe instabilità e danneggerebbe l’economia della stessa Europa: ben poche società del settore energetico affronterebbero infatti i rischi di operare in aree offshore disputate, come del resto sta accadendo ad Eni-Total per le concessioni nella ZEE cipriota.

 

Ammiraglio in congedo, docente a contratto di "Introduzione geopolitica e diritto internazionale del mare" presso l'Università di Bari. E' autore del "Glossario di Diritto del Mare", RM, 2020 disponibile in https://www.marina.difesa.it/media-cultura/editoria/marivista/Documents/supplementi/Glossario_di_diritto_del_mare_2020.pdf

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