SPECIALE CINA – Il deterrente nucleare subacqueo di Pechino

Con questa analisi di Giovanni Martinelli completiamo la serie di tre articoli incentrati sulla potenza militare cinese che ha preso il via a inizio dicembre e che ha visto Analisi Difesa pubblicare l’articolo di Francesco Palmas sulle Forze Missilistiche cinesi e quello di Marco Leofrigio sulle forze navali costiere di Pechino. Nel 2020 continueremo ad approfondire il tema della potenza militare cinese.

 

Prima di affrontare nel dettaglio, per quanto possibile, il tema del deterrente nucleare imbarcato cinese (Ballistic missile Submarine Nuclear-powered – SSBN – e Missili balistici lanciabili da sottomarini) corre l’obbligo di precisare  che la proverbiale riservatezza cinese quando si tratta di divulgare informazioni sensibili che riguardano il proprio strumento militare, finisce con l’amplificarsi a dismisura.

Al punto che tracciare un quadro di questa particolare componente della Marina Cinese (o PLAN, People’s Liberation Army Navy) diventa un’impresa non proprio agevole, contrassegnata dalla necessità di incrociare dati, notizie e ogni altro aspetto utile. Con il risultato che, anche così facendo, gli elementi mancanti continuano a essere molti.

La decisione della Cina di dotarsi di armi nucleari può essere fatta risalire intorno alla metà degli anni 50; la Guerra in Corea si era appena conclusa e, nel frattempo, era scoppiata la prima crisi dello Stretto di Taiwan. Entrambi gli eventi, caratterizzati dalla contrapposizione con la potenza nucleare degli Stati Uniti, avevano fatto capire alla leadership di Pechino e in particolare all’allora guida del Paese e del Partito Comunista Mao Zedong, quanto fosse ormai diventato indispensabile per la nascente potenza asiatica sviluppare un proprio arsenale nucleare. Pur nella consapevolezza che le distanze con gli Stati Uniti erano già notevoli, alla fine prevalse la considerazione che le possibilità di avere un maggior peso prima di tutto nello scacchiere asiatico non potevano prescindere da un simile aspetto, per quanto limitato fosse.

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Forti dell’appoggio tecnologico dell’Unione Sovietica, prima della fine del decennio si assistette all’inizio della costruzione di diversi impianti (per la produzione di materiale per gli ordigni) e di siti per lo svolgimento di test.

Nel frattempo, da Mosca giungevano diverse componenti fondamentali, ivi compresi un paio di missili (gli R-2 o SS- 2 Sibling). Appare così subito chiaro quello che sarebbe stato uno degli elementi distintivi delle politiche di acquisizione/sviluppo di armamenti da parte della Cina: l’acquisizione all’estero di un numero limitato di parti e tecnologie con il preciso scopo di svilupparli poi in patria.

Il tutto con gli evidenti vantaggi di acquisire gradualmente la necessaria autonomia e, al tempo stesso, introdurre in servizio sistemi adatti alle proprie esigenze.

Quelli in questione poi erano gli anni segnati da una piccola “rivoluzione” nel campo degli armamenti nucleari: la comparsa dei primi SSBN realmente operativi, attraverso i quali il potenziale bellico in questo specifico campo di una qualsiasi Nazione compie un passo in avanti importante.

Ovviamente, sia i vertici politici sia quelli militari della Cina erano consapevoli dell’importanza di questo specifico assetto tanto che nel luglio del 1958 dettero il via ufficiale ai progetti relativi a un nuovo SSBN (indicato come Project 09) e a un SLBM (Submarine Launched Ballistic Missile) destinato ad armare lo stesso sottomarino (a sua volta, identificato come Project 05).

A dispetto però degli sforzi profusi, non si registrò nessun passo avanti tanto che nell’agosto del 1962 il programma viene sospeso. A pesare furono 2 fattori: l’impreparazione cinese e la rottura dei rapporti con l’Unione Sovietica avvenuta nel 1960. Ma è soprattutto il primo a diventare davvero determinante; enti di ricerca e di produzione separati geograficamente che, oltretutto, finiscono con l’essere soggetti a continui spostamenti/riorganizzazioni.

Di più, a pesare è anche lo stretto controllo politico del Partito Popolare Comunista, conseguenza della stagione delle grandi riforme avviate da Mao, cioè quella “Rivoluzione culturale” che si svilupperà nel corso di diversi anni. Quale dato di fondo infine, l’evidente impreparazione e la sostanziale sottostima delle complessità legate allo sviluppo di un sottomarino a propulsione nucleare e del suo armamento costituito da missili balistici.

Dovranno perciò passare altri 4 anni, nell’agosto 1966, per registrare il riavvio delle attività di progettazione della nuova piattaforma subacquea; la strada verso un risultato tangibile sarà però ancora molto lunga.

Tra l’altro, è da rilevare come a incidere sulle decisioni di Pechino fosse anche il fattore finanziario poichè all’epoca, i bilanci della Difesa non erano certo ancora “corposi” come quelli attuali.

Non è dunque un caso che la ripresa dei lavori sul nuovo SSBN (e sui suoi missili) sia stata favorita anche dall’aumento delle disponibilità finanziarie. Ciò non di meno, è evidente che a favorire questa nuova spinta siano intervenuti, da un lato la crescente pressione volta a diversificare il proprio deterrente nucleare (oltre cioè ai missili basati a terra) e, dall’altro, la graduale maturazione tecnologico-produttiva della Cina.

Rispetto al primo punto, è chiaro che i vertici di Pechino avevano già all’epoca intuito le potenzialità belliche degli SSBN; del resto, oltre alle “super potenze” Stati Uniti e Unione Sovietica, ben presto anche Regno Unito e Francia avevano provveduto a immettere in servizio simili piattaforme.

La maggiore capacità di sopravvivenza rispetto a ICBM basati a terra è già un vantaggio notevole, ma non l’unico; anche in termini di letalità i punti a favore non mancano affatto.

Ecco dunque che per un Paese allora privo di alleati o comunque di “amici” di un certo peso (dopo la già ricordata rottura dei rapporti con l’Unione Sovietica) e desideroso al tempo stesso di acquisire un maggior peso sulla scena internazionale, questo percorso di sviluppo del proprio deterrente nucleare diventa un passaggio obbligato. Anche in considerazione del maggio lustro che sarebbe derivato dal poter dimostrare capacità produttive e conoscenza tecnologiche più avanzate.

 

Il primo (e tormentato) passo, la classe Type 092 o Xia

Il lavoro riavviato nel 1966 porta così al completamento di un progetto “preliminare” nel giro di circa un anno; all’epoca, si pensava che l’impostazione del nuovo sottomarino potesse avvenire nel 1973.

E invece, il primo SSBN Cinese finirà con il riuscire a prendere forma solo nel 1978. La costruzione si sviluppò presso i cantieri oggi noti come Bohai Shipbuilding Heavy Industry Co. o BSHIC, a loro volta facenti parte del colosso China Shipbuilding Industry Corporation (CSIC); situati nella città di Huladao.

Questi cantieri non solo sono uno dei più grandi siti produttivi del genere in Cina ma anche la “casa” nella quale prendono forma tutti i sottomarini a propulsione nucleare (siano essi lanciamissili balistici o di attacco) della Marina Cinese.

Il progetto in questione non era del tutto nuovo, la stessa Marina Cinese aveva infatti preferito un approccio che potrebbe essere definito incrementale: in maniera decisamente pragmatica, i primi passi dello sviluppo nel campo delle piattaforme subacquee a propulsione nucleare furono per l’appunto articolati partendo da un unico progetto.

Questo, fin una sua prima fase, dette vita ai 5 sottomarini nucleari d’attacco (SSN) Type 091 (classe Han secondo la classificazione utilizzata dalla NATO, Type 09-I secondo quella Cinese) che entrarono in servizio a partire dal 1974.

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Al fine di diminuire i rischi di un’impresa comunque già impegnativa per la Cina di allora, il nuovo SSBN riprende lo scafo degli Han, aggiungendovi una sezione destinata a ospitare i pozzi di lancio per i missili.

Nasce così un sottomarino indicato come Type 092 o classe Xia secondo la NATO, Type 09-II nella classificazione Cinese Si ricorda inoltre come, nelle regole adottate dalla PLAN nell’assegnazione dei nomi alle proprie unità, tutti i sottomarini a propulsione nucleare (sia lanciamissili, sia d’attacco) ricevono indifferentemente il nome di Changzheng (o Lunga Marcia); seguito da un numero identificativo. Nel caso specifico, 406.

Non tutto però “fila liscio”: se già l’impostazione era avvenuta con anni di ritardo rispetto al previsto, l’unità sarà poi varata solo il 30 aprile del 1981. A pesare sono diversi fattori, la bassa qualità delle tecniche costruttive cinesi e, soprattutto, la scelta di avviare la costruzione dello scafo prima che fosse stata completata la progettazione dei sistemi interni.

Mano a mano che si procedeva al loro imbarco, si rendeva così necessario per esempio calcolare ogni volta la distribuzione dei pesi interni al fine di non alterare il centro di gravità del sottomarino.

E non è tutto, sebbene formalmente consegnato alla PLAN nell’ottobre del 1983, dovranno passare altri 5 anni per vederlo considerato operativo anche se, in questo caso, a incidere sono più le difficoltà legate alla “maturazione” degli SLBM da imbarcare.

Prima di procedere oltre, appare opportuno affrontare uno dei “misteri che avvolgono questa classe di sottomarini: una (presunta) seconda unità che sarebbe poi andata perduta in un (altrettanto presunto) incidente. Secondo alcune fonti mai confermate, tale secondo sottomarino sarebbe stato varato nel 1982 e, per l’appunto, sarebbe andato perduto 3 anni dopo in un incidente tale da causare anche la perdita dell’intero equipaggio.

Difficile dare un giudizio, tanto più che altre fonti sostengono che i piani iniziali della PLAN prevedessero la realizzazione di almeno un’altra unità. Tuttavia, pare che a seguito di una più approfondita analisi, la stessa Marina cinese abbia poi deciso di concentrare le proprie risorse e i propri sforzi verso una nuova classe di piattaforme, fermandosi a un solo Xia.

Per ciò che riguarda la configurazione generale, il Type 092 è facilmente distinguibile per sezione a forma squadrata ospitante il compartimento dei missili che occupa la parte centro-prodiera del sottomarino. Spicca inoltre la “falsa torre” di discrete dimensioni, anche a causa della presenza di 2 superfici di controllo. Sempre a proposito di superfici di controllo, quelle poppiere si presentano nel classico schema a croce, mentre la propulsione è assicurata da una singola elica.

Da un punto di vista tecnico esiste ormai uniformità di opinione sulle caratteristiche dimensionali del Type 092: 120 metri di lunghezza, una larghezza massima di 10 e un dislocamento che varia tra le 6.500 (in superficie) e le 8.000 tonnellate (in immersione).

Non meno tormentata è la storia che riguarda il reattore nucleare, il cui sviluppo ebbe inizio addirittura nei primi anni 60. A contendersi l’assegnazione del progetto furino 2 diversi istitut: la Quinghua University of Nuclear Energy Technology (con una proposta basata sul reattore installato sulla nave mercantile tedesca Otto Hahn) e il Reactor Engineering Technology Institute (con progetto mutuato dal reattore OK-150 installato sul rompighiaccio sovietico Lenin). Intorno al 1965, la scelta cadde sulla seconda proposta ma, fin da subito, apparve evidente come l’arretratezza cinese nel settore e la necessità di adattare all’impiego su unità subacquee un progetto nato per quelle di superficie costituivano un ostacolo importante. Solo intorno al 1970 esso sarà finalmente testato a piena potenza, a distanza cioè di 10 anni (e oltre) dall’avvio delle prime progettazioni.

Da un punto di vista più propriamente tecnico, l’intero impianto propulsivo è costituito da un reattore ad acqua pressurizzata da 58 MW termici (stimati), il quale alimenta 2 turbo-alternatori a vapore; il tutto per una potenza sull’asse che si ipotizza possa essere intorno agli 11 MW.

Dunque, un insieme non particolarmente “esuberante”, così come dimostrato dalle prestazioni che parlano di velocità massime nell’ordine dei 20 nodi; l’inevitabile prezzo da pagare per aver scelto lo stesso impianto installato sui Type 091, laddove questi ultimi presentano dimensioni e valori di dislocamento inferiori.

La profondità massima operativa è infine indicata in 300 metri. Notevole invece la confusione riguardante il numero degli uomini di equipaggio, con stime che variano dai 100 ai 140 effettivi. Se già una ricostruzione attendibile delle caratteristiche generali di questo sottomarino può essere considerata una specie di impresa, non molto differente si presenta un’analoga analisi dei sistemi di bordo; intesi come sensori e come sistemi d’arma.

Una difficoltà accresciuta dal fatto che questi sono stati oggetto di diversi cambiamenti nel corso degli anni. In termini di sensori, vi è una sostanziale uniformità di vedute rispetto alla presenza di un radar di navigazione/ricerca di superficie di origine sovietica MRK-50 o Snoop Tray; accanto a esso, un apparato per la guerra elettronica Type 921-A in funzione Radar Warning Receiver (RWR) e “Direction Finder”.

Appena qualche notizia in più sul versante dei sensori principali, cioè i sonar. Inizialmente, si presume che al pari dei Type 091 anche il Type 092 disponesse di una suite composta da un sonar attivo SQZ-3 (o Type 603) e da uno passivo SQC-1 (o Type 604), entrambi installati a prua e destinati alle funzioni di ricerca e attacco. Nel corso di uno degli innumerevoli refit avuti nel corso della sua vita, questi apparati sarebbero stati sostituiti da una nuova suite, molto più moderna e denominata SQZ-262B.

Anch’essa utilizzata per ammodernare i Type 091 (nonché altre piattaforme subacquee) e successivamente installata su altri sottomarini di costruzione cinese, essa è caratterizzata dal fatto di disporre di sensori pienamente integrati in un unico apparato.

Sempre nel corso dei vari interventi subiti, il Type 092 ha ricevuto anche un apparato passivo utilizzato in funzione di scoperta e incentrato su “arrays” piatti montati a scafo in un numero di 3 per lato. L’aspetto per così dire singolare è che si tratta di un sistema di origine francese, il DUUX-5 dell’allora Thomson Sintra poi classificato in Cina come SQG-2B, acquistato in alcuni esemplari intorno alla fine degli anni 80 e utilizzato anche per un’analoga modifica sugli stessi Type 091.

Sul fronte delle armi imbarcate, si segnala la presenza di 6 tubi lanciasiluri da 533 mm per ordigni Yu-3; questi siluri a guida acustica (per i quali s’ipotizza una qualche derivazione dai SET-65 di origine sovietica) sono impiegati per il contrasto di bersagli di superficie, con un numero totale di ordigni imbarcati pari a 12.

 

 

Le armi: gli SLBM JL-1 e 1A. E i molti altri problemi…

Uno dei problemi principali che hanno contrassegnato l’esistenza del Type 092 è stata proprio quella che potremmo definire la sua stessa ragione d’’essere, cioè i 12 SLBM Ju Lang-1 o JL-1 (o, ancora, CSS-N-3 secondo la nomenclatura americana). Lo sviluppo di questo missile ebbe inizio nei primi anni 70 per diventare, al pari della sua piattaforma di lancio, una grande novità perché il primo SLBM mai prodotto dalla Cina.

Anche in questo caso le difficoltà non mancarono e solo nel 1982, si registrano i primi lanci, dapprima utilizzando una struttura fissa e in seguito facendo ricorso a un sottomarino della classe Golf sovietica adattato per condurre sperimentazioni del genere.

Per effettuare però il primo lancio di prova dal Type 092 fu necessario attendere ancora altri 3 anni, laddove tale lancio si rivelò un fallimento. Solo alla fine di settembre del 1998 ci fu poi un nuovo test, il cui esito positivo consentìcosì a questo sottomarino di diventare operativo.

Ad affliggere il JL-1, missile a propellente solido a 2 stadi e dotato di una singola testata nucleare da 200/300 Kt, sono stati principalmente problemi al sistema di navigazione e guida (nelle sue diverse parti, dai giroscopi fino agli altimetri) nonché ai razzi di propulsione: di particolare gravità i problemi legati al primo aspetto, soprattutto con riferimento al sistema di navigazione inerziale caratterizzato da scarse affidabilità e precisione.

Questo missile rivelò però ben presto anche un altro limite, rappresentato da una ridotta gittata, stimata in circa 1.800 (forse 2.000) chilometri.

Un problema che troverà una sua successiva (e parziale) soluzione grazie alla sostituzione con una nuova versione, la JL-1A, da almeno 2.500 chilometri.

Anche se bisogna dire che alcune fonti propendono per numeri ancora più importanti, nell’ordine dei 2.800/3.000 chilometri. Valori che, in caso di confronto con gli Stati Uniti avrebbero comunque costretto lo Xia ad allontanarsi molto dalle più tranquille acque della madre patria per poter lanciare i missili balistici.

Un limite enorme, che ha sicuramente contribuito in maniera determinante alla scelta della PLAN di costruire un solo Type 092, vista la sua scarsa utilità da un punto di vista operativo. Poco tempo dopo l’operatività dei missili, nel 1995 il Type 092 iniziò una serie di lavori che lo tennero fermo fino al 2001. Lavori talmente significativi da portare a una modifica della sua classificazione di riferimento e cioè Type 092G, che significa proprio “modificato”.

E’ esattamente in quest’occasione che avvenne la sostituzione dei diversi sonar e l’imbarco dei nuovi JL-1A (con modifiche, per questi ultimi, anche alla zona che ospita i tubi di lancio) ma anche aggiornamenti al sistema di combattimento, più nuovo rivestimento anecoico per diminuire il rumore irradiato.

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Di fatto, e senza ulteriori giri di parole, non esiste dubbio alcuno circa il fatto che il Type 092G non abbia mai conseguito una reale operatività, non si sia mai allontanato dalle acque territoriali cinesi e, dato ancor più importante, non abbia mai condotto alcun “pattugliamento strategico” o “deterrent patrol”.

In pratica, tra il tempo speso presso la base di Xiaopingdao, un’installazione della Marina Cinese utilizzata per le fasi di consegna dei sottomarini nucleari e (nel caso specifico) per i lanci di prova degli SLBM, e i lunghi periodi di fermo in porto o nel bacino della base di Jianggezhuang, situata vicino a quella Qingdao sede della Northern Fleet cui lo Xia era assegnato, questo sottomarino è stato davvero una fonte quasi inesauribile di problemi.

A pesare soprattutto i limiti dell’apparato propulsore: incapace di fornire prestazioni adeguate, afflitto da problemi di corrosione, scarsamente affidabile, contrassegnato da perdite di vapore dai circuiti con annesso elevato livello di radiazioni e, infine, con tutta una serie di sue parti essenziali (pompe, condensatori, riduttori, ecc) caratterizzati da un cattivo isolamento acustico, a sua volta causa di un elevato livello di rumore.

Per dare un’idea dell’ordine di grandezza del problema legato proprio al rumore e di quanto esso rendesse così facilmente individuabile il Type 092, alcune informazioni filtrate a suo tempo riferirono che inizialmente questo rumore fosse talmente forte da rendere persino difficile il sonno al suo equipaggio.

Una situazione solo parzialmente migliorata per effetto di alcuni interventi correttivi (che anche hanno interessato l’idrodinamicità dello scafo e portato a installare un diverso tipo di elica). Alla fine, le stime più attendibili riportano valori di rumorosità pari a 160 decibel; una sorta di primato negativo, destinato a rimanere imbattuto!

È come se, in definitiva, il Type 092 si fosse rivelato utile solo perché ha rappresentato tutto ciò che non deve essere un SSBN:; una sorta di piattaforma sperimentale, sulla quale la PLAN ha comunque potuto accumulare una certa esperienza.

Una parentesi comunque ormai chiusa perché ogni singola fonte d’intelligence conferma il suo ritiro da ogni parvenza di servizio attivo. Al massimo può essere utilizzato per scopi addestrativi/sperimentali, cioè in quelli che in pratica ha ricoperto finora.

 

Il presente, i Type 094 della classe Jin; un primo passo in avanti

Se quindi l’esperienza con il singolo Xia entrato in servizio (per modo dire…) non può essere definita in altro modo se non “fallimentare”, ben diverso appare lo sviluppo della nuova classe di SSBN costruita in Cina.

Lo sviluppo di questa nuova classe di sottomarini lanciamissili balistici viene individuata (a seconda delle fonti) tra la fine degli anni 80 e l’inizio del decennio successivo. Sulla base però di una serie di riscontri incrociati, appare in realtà molto più probabile che il vero inizio del lavoro di sviluppo possa essere collocato proprio nei primi anni 90.

Questo perché è opinione diffusa che si sia replicato (almeno parzialmente) lo schema utilizzato per i precedenti SSN Type 091 che hanno fornito poi la base di partenza per gli SSBN Type 093. Nel caso specifico invece, la nuova classe di sottomarini nucleari d’attacco è rappresentata dai Type 093 (classe Shang per la NATO), con il progetto di quest’ultima che avrebbe a sua volta fornito molti elementi per progettare gli altrettanto nuovi Type 094 o classe Jin per la NATO, Type 09-IV nella classificazione Cinese.

La differenza rispetto al passato è rappresentata dal fatto che i 2 progetti si sarebbero poi sviluppati nel corso del tempo con maggiori differenze, pur cercando di fare affidamento su parti e sistemi in comune.

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Uno dei temi più controversi della fase progettuale riguarda un possibile coinvolgimento da parte Russa re non mancano infatti voci di una collaborazione del Rubin Central Design Bureau for Marine Engineering di San Pietroburgo, il più importante centro di progettazione di sottomarini della Russia.

Un’ipotesi che se da un lato sembrerebbe plausibile anche in virtù della ripresa delle relazioni diplomatiche (nonché militari) tra le due potenze comuniste, appare in contrasto con la volontà cinese di sviluppare autonomamente un assetto così delicato. Difficile dunque poter mettere la parola fine alla questione.

Ormai assodato invece il ruolo avuto del colosso cantieristico CSIC, in mano al Consiglio di Stato (o Governo Popolare Centrale) di Pechino; sia nella fase di progettazione, coinvolgendo il proprio 719 Insitute, sia in quella di costruzione, facendo ricorso alle già note strutture produttive del cantiere di Huladao. Nel dettaglio, dovrebbero essere 6 le unità uscite dal cantiere e, per quanto non sia facile ricostruire la cronologia esatta delle varie fasi, è comunque possibile fornire alcune indicazioni di massima.

I lavori sul primo sottomarino sarebbero cominciati alla fine del 1999, il varo dovrebbe essere avvenuto nel 2004 e l’ingresso in servizio 3 anni dopo. Ugualmente confusi i riferimenti per gli altri; il secondo, infatti, sarebbe entrato in servizio nel 2009 o nel 2010. Il terzo invece dovrebbe aver fatto il proprio ingresso nella PLAN intorno al 2012 o forse il 2013. Per il successivo, si ha quale periodo di riferimento per l’entrata in servizio il 2015 o l’anno successivo. Rispetto al quinto, le poche informazioni filtrate ipotizzano l’inizio delle operazioni tra la fine del 2018 e i primi mesi del 2019. Infine, il varo del sesto sottomarino dovrebbe essere avvenuto (secondo foto satellitari) giusto l’ottobre scorso, con un ingresso in servizio però ancora lontano. Si tratta di date assolutamente indicative e non verificabili con esattezza; il tutto accompagnato da dubbi su quanti siano poi comunque i battelli pienamente operativi.

A oggi non sono noti neanche i piani futuri: l’intelligence statunitense ritiene che per assicurare almeno un SSBN sia sempre schierato in mare e pronto al lancio dei missili siano necessarie almeno 4/5 piattaforme; dato che sarebbe più che allineato con la consistenza attuale della classe.

In tempi più recenti poi, nuovi rapporti d’intelligence USA hanno fornito ulteriori indicazioni, arrivando a ipotizzare una consistenza finale di 8 sottomarini per l’anno 2020. Nel frattempo, si segnala che non vi è coincidenza di vedute neanche sui “pennant number” adottati, laddove per alcune fonti si sarebbe partiti da 409 per la prima, per altre la partenza sarebbe il 411.

In termini pratici, così come accaduto fino a oggi, l’unico elemento utilizzabile saranno le immagini satellitari: quando con le unità ancora in costruzione/allestimento nei cantieri CSIC di Huladao, quando dislocate presso la base di Xiaopingdao (utilizzata per svolgere l’allestimento finale e la consegna), quando presso quella di destinazione finale dei Jin e cioè la base navale di Longpo situata sull’isola di Hainan.

A differenza infatti dello Xia, questi nuovi sottomarini sono stati assegnati tutti alla South Sea Fleet anche se non sono mancate le immagini che hanno ritratto alcuni di questi temporaneamente stazionati presso la stessa base di Jianggezhuang, ciò in funzione del fatto che proprio queste 2 sono le uniche installazioni della Marina Cinese in grado di ospitare SSBN.

A tal proposito appare utile spendere qualche parola in più sul fronte delle infrastrutture; perché se da un lato è corretto porre la dovuta attenzione nei confronti delle piattaforme, dall’altro è altrettanto importante evidenziare come il conseguimento di certe capacità (nel caso specifico, quelle legate alla disponibilità di un deterrente nucleare basato in mare) passi attraverso una serie di iniziative di più ampio respiro.

E le 2 basi appena citate rientrano esattamente in questo ragionamento. A sollevare un maggiore interesse sono le installazioni presso l’isola di Hainan, comprensive della base di Yulin (prevalentemente destinata a unità di superficie e a sottomarini a propulsione convenzionale) e di Longpo.

Qui troviamo non solo banchine e le attrezzature normalmente presenti in qualsiasi porto ma anche un grande struttura per la smagnetizzazione degli scafi nonché, aspetto ancora più importante, grandi tunnel scavati sotto terra più strutture coperte/sotterranee sono capaci di ospitare gli SSBN e i missili balistici destinati all’imbarco. Il tutto è simile a quanto già presente presso la base di Jianggezhuang; con la differenza che a Longpo le infrastrutture sono già più importanti e, soprattutto, ancora in continuo sviluppo.

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Per ciò che riguarda le caratteristiche generali e quelle tecniche dei Type 094, per il primo aspetto risulta evidente il ricorso a un disegno di base complessivamente simile ai precedenti Type 092. Fatti salvi gli affinamenti del caso, la configurazione per quanto riguarda la posizione della falsatorre, del compartimento missili e delle superfici di controllo ricalcano infatti in larga parte quanto visto per l’appunto sullo Xia.

Alquanto complicata si presenta invece la disanima tecnica, con informazioni scarse e talvolta discordanti. Con ordine, le dimensioni possono essere fissate in circa 135 metri di lunghezza per 12,5 di larghezza; in realtà, entrambi i dati sono approssimativi perché per il primo elemento si registrano “forchette” di valori che variano dai 133 a i 137 metri, mentre il secondo (nonostante sia quello più comunemente accettato) si segnalano anche valori di larghezza pari a circa 12 metri.

Analoghe difficoltà si riscontrano sulla definizione del dislocamento; 8.000/9.000 tonnellate in superficie è la “forchetta” più diffusa mentre su quello in immersione si passa dalle 9.000 alle 11.000 tonnellate circa.

In una sorta di crescendo rispetto alla difficoltà nel definire le caratteristiche tecniche dei Type 094, non fa eccezione la questione dell’apparato propulsivo. Un rapido passo indietro; è convinzione diffusa che il già accennato percorso parallelo con gli SSN Type 093 abbia portato, tra l’altro, anche l’adozione dello stesso impianto di propulsione.

Sennonché, né per gli uni né per gli altri sottomarini è dato sapere con esattezza cosa si celi all’interno dei loro scafi; al punto che tra le versioni circolate con più insistenza vi è anche quella del ricorso a 2 reattori nucleari (sempre del tipo PWR).

Una tesi che si regge sull’ipotesi che la PLAN abbia preso in qualche modo come riferimento i Project 671 RTM (o Victor III); tale ipotesi appare però molto debole.

Di conseguenza, lo schema effettivamente impiegato dovrebbe essere quello solito e cioè un singolo reattore nucleare con una potenza stimata di 150 MW termici, il cui vapore alimenta 2 turboalternatori che generano una potenza di poco inferiore ai 30 MW su di un singolo asse dotato di un’elica a 7 pale falcate.

A questi elementi corrisponde così un quadro delle prestazioni che per la velocità massima in immersione (nonostante stime diverse sulla potenza effettiva) restituisce quale dato più realistico oltre 22 nodi. Dunque, qualche passo in avanti rispetto allo Xia ma, ancora, qualche passo indietro rispetto alle più moderne realizzazioni per questo tipo di sottomarini. Nessuna novità di rilievo infine rispetto alla profondità massima raggiungibile, ragionevolmente ipotizzabile intorno ai 300 metri.

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In virtù delle maggiori dimensioni della piattaforma, in crescita rispetto al Type 092 dovrebbe essere anche il numero degli uomini di equipaggio, indicativamente si parla di valori compresi fra 120 e 140 unità, peraltro con livelli di confort che vangono segnalati in crescita rispetto a precedenti piattaforme, il tutto per un’autonomia operativa stimata tra i 60 e i 90 giorni.

Un altro campo nel quale si può ragionevolmente pensare che ci sia stato un travaso di sistemi con i Type 093 è quello dei sensori; esiste infatti una certa uniformità di opinioni rispetto alla presenza sui Type 094 non solo della stessa suite sonar di prua SQZ-262B (per ricerca e l’attacco, operante in modalità attiva/passiva), presente peraltro anche sullo stesso Xia dopo l’aggiornamento, ma anche dell’apparato passivo per la scoperta SQC-207, il primo apparato sonar di questo tipo (con 3 “arrays” posti su ciascun lato del sottomarino) prodotto in Cina.

La presenza di un “rigonfiamento” su una pinna di coda fa pensare che i Type 094 possano essere dotati di un sensore passivo rimorchiato (TAS, Towed Array Sonar).

Sempre dovendo fare ricorso alle ipotesi, quella più probabile per ciò che riguarda gli altri sensori/sistemi di bordo vede la riconferma dello Snoop Tray come radar di navigazione/scoperta di superficie, del sistema Type 921-A come apparato di supporto alla guerra elettronica mentre, quale novità rispetto al passato, la presenza di un sistema di lancio di “decoy” per l’inganno dei siluri avversari.

Argomento quello dei siluri che ci porta ad affrontare il capitolo dei sistemi d’arma installati sui Jin. Su questi sottomarini ritroviamo infatti i (“classici”) 6 tubi lanciasiluri da 533 mm. Questi dovrebbero essere dotati di ordigni Yu-3 ma vi sono indicazioni che sarebbe già iniziata la transizione verso i più moderni Yu-6, caratterizzati da prestazioni/capacità superiori e impiegabili sia in contesti ASW sia ASuW (Anti Submarine e Anti Surface Warfare).

Nel complesso, almeno secondo quelle che sono le informazioni che circolano anche su siti e blog Cinesi (probabilmente, non proprio disinteressate…), sui Type 094 si registrano progressi nel campo dei sistemi di controllo della piattaforma, in quelli di navigazione (con una maggiore accuratezza nella determinazione della posizione, aspetto fondamentale al momento del lancio degli SLBM), e un maggior grado d’integrazione tra i sensori nell’ambito del sistema di combattimento.

 

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I missili JL-2 e le prime evoluzioni dei Jin

Notevole infine il passo in avanti sul fronte dei missili balistici imbarcati: nei 12 (e non 16 come alcune fonti avevano inizialmente ipotizzato) pozzi di lancio sono infatti caricati altrettanti SLBM del tipo JL-2 (CSS-N-14 la definizione in ambito americano), a sua volta derivato dall’ICBM DF-31 basato a terra.

Si tratta di un missile a 3 stadi e a propellente solido, con sistema di guida inerziale e un CEP (Circular Error Probable) di 500, forse 300 metri; valori che dovrebbero essere leggermente migliori di quelli del JL-1A. Due però sono gli elementi di grande importanza: il primo è costituito dalla possibilità di ospitare una singola testata nucleare (con potenze comprese fra i 250 KT e 1 MT) o, in alternativa 3 o 4 Multiple Independently targetable Reentry Vehicles (MIRV) da 90 KT. Il secondo è invece rappresentato dal sensibile incremento della gittata, stimata tra i 7.200 e gli 8.000 chilometri.

Nulla a che vedere dunque con i precedenti JL-1A; eppure, anche lo sviluppo e il conseguimento dell’operatività di questi missili non sono stati una storia semplice. I primi test avvengono nel gennaio e nell’ottobre del 2001 e sono volti esclusivamente a verificare la corretta esecuzione del lancio da una piattaforma subacquea.

A essere impiegato è ancora una volta (così come per il JL-1) il Type 031, cioè quel sottomarino della classe Golf-I realizzato a suo tempo in Cina e poi modificato per svolgere il ruolo di unità sperimentale.

Non è del tutto chiaro se nei 2 anni seguenti siano stati effettuati altri test ma è invece certo che il 2004 rappresentò l’anno in cui lo sviluppo del missile subì un duro stop per effetto del fallimento del primo lancio effettivo di un JL-2.

Nel giugno del 2005 e nel maggio del 2008 poi, il programma riprende slancio per effetto del successo conseguito in altri lanci da parte del Type 031; il preludio di quanto accadrà nei primi mesi del 2006 quando, per la prima volta, un Type 094 lanciò un proprio missile. Gli esiti positivi di questi test fanno dunque ripartire definitivamente il programma; tanto che un nuovo lancio avvenuto nell’agosto del 2012 fa ritenere ormai acquisita l’operatività per l’accoppiata Jin e JL-2.

Nell’ambito del continuo processo di evoluzione delle piattaforme subacquee della PLAN, in tempi più recenti sono emerse delle immagini che fanno concludere come a partire dalla 3ª unità siano state introdotte delle modifiche, dando così origine ai Type 094A (da altre fonti identificati anche come Type 094B).

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A similitudine infatti di quanto sperimentato su alcuni Type 093, la vela presenta una forma più arrotondata nella sua parte superiore, priva di finestrature ed è raccordata in maniera diversa con lo scafo. Inoltre, la stessa sezione ospitante i missili presenta delle modifiche volte a rendere più morbidi i raccordi fra le varie superfici, alle quali si aggiunge la scomparsa delle aperture poste sullo scafo in corrispondenza di tale sezione.

Alla base di questi interventi vi è la necessità di abbattere il rumore generato in navigazione. Tutte da verificare appaiono invece le indiscrezioni legate all’imbarco di una versione evoluta del missile presente sui Type 094.

Si parla cioè di un JL-2A che, derivato dalla nuova versione DF-31A, presenterebbe una gittata stimata di oltre 11.000 chilometri, conservando la possibilità di ospitare 3/5 MIRV o una singola testata, corredata però di decoys per favorirne la penetrazione nello spazio aereo nemico. Ancora una volta, l’assenza di informazioni rende però estremamente difficile propendere per un’ipotesi (integrazione del JL-2A, meno probabile) o un’altra (mantenimento del JL-2, più realistica).

Proprio il tema del rumore ci conduce direttamente alla questione della valutazione complessiva su queste stesse piattaforme; perché è sempre questo a rappresentare il principale fattore critico. Nonostante le migliorie apportate (oltre a quelli già citati, si segnalano ulteriori interventi sui supporti elastici dei macchinari, un miglior isolamento dei locali interni, miglioramenti sulla linea d’asse e affinamenti dei passaggi d’acqua a scafo), le stime formulate dall’intelligence americana classificano infatti i Type 094 nella categoria dei “noisy submarines”, con valori di rumorosità pari ad almeno 140 decibel, mentre per la versione successiva (la A) s’ipotizza un abbattimento fino a 120.

Quale termine di riferimento, (molto) approssimativamente fissato a 90 decibel il rumore di fondo degli oceani, si tenga presente che SSN quali quelli della classe Virginia si posizionano intorno ai 95. Una differenza all’apparenza modesta ma che, data la natura logaritmica nella scala di misurazione dei suoni, si traduce in un livello di rumorosità perfino doppio rispetto ai battelli americani.

Ma non solo, varie fonti indipendenti hanno segnalato problemi sul reattore nucleare e, più in generale, sull’apparato propulsivo. Sia perché tra i principali responsabili della rumorosità, sia perché avrebbe anch’esso manifestato dei problemi di affidabilità (sia pure non gravi come sul Type 092 e, comunque, oggetto di migliorie con i successivi 094A).

Un solo dato per spiegare come l’intera questione presenti dei risvolti all’apparenza incomprensibili: nonostante i battelli in servizio e i diversi anni trascorsi dal loro ingresso nella PLAN, a oggi nessuna fonte è stata in grado di confermare che la Marina Cinese stessa sia davvero in grado di assicurare su base regolare attività di pattugliamento strategico o “deterrent patrol” con tutti i Jin. Anche in questo caso, tuttavia, non mancano indicazioni discordanti.

Secondo informazioni fornite dal Pentagono già nel dicembre del 2015, sarebbe stata rilevata un’operazione genericamente definita di “patrol” della durata di 95 giorni da parte di un Jin.

Ulteriori dettagli non sono stati resi noti, nel senso che non è stato specificato la natura di tale “pattugliamento” ma, anzi, si è arrivati addirittura a ipotizzare che i JL-2 non fossero neanche imbarcati. L’ipotesi a questo punto più probabile è che le attività operative siano in realtà iniziate ma ancora in maniera sporadica e, soprattutto, rimanendo all’interno della cosiddetta “first island chain”. In sostanza, senza avventurarsi nell’Oceano Pacifico. È però altrettanto doveroso ricordare come il fatto che la costruzione di nuovi 094A prosegua ancora vada a dimostrare che questa versione (nel complesso) sia in grado di soddisfare le esigenze operative della PLAN.

 

Sviluppi futuri: i Type 096

Un’importante variabile di cui si deve tener conto è costituita dai piani di sviluppo futuri della PLAN. E se fino a questo punto il ricorso al condizionale non è certo mancato, parlare di quello che potrebbero essere le possibili future piattaforme della PLAN significa attingere ancora di più dal “mondo” dei punti interrogativi.

Da oramai qualche anno infatti, si rincorrono le voci circa una nuova classe di SSBN che, peraltro, avrebbe già la denominazione Type 09-VI secondo la classificazione Cinese, con un’equivalenza in ambito occidentale di Type 096 o classe Tang. A similitudine di quanto già avvenuto in precedenza, anche in questo caso ci sarebbe una sorta di sviluppo parallelo con i nuovi (e anch’essi ipotetici) SSN, a oggi identificati come Type 095.

Di più, secondo alcuni fonti, la prima unità sarebbe già in costruzione; con suggestive teorie che la vedrebbero già in mare per la fine di questo decennio. E così, tra indiscrezioni comparse su blog cinesi (autentiche o pilotate?) e modellini fugacemente mostrati in pubblico, c’è anche chi ha provato a sbilanciarsi: il sottomarino in questione presenterebbe una lunghezza nell’ordine dei 150 metri, con un dislocamento in immersione di circa 16.000 tonnellate.

Il vero salto in avanti sarebbe però dato dall’abbattimento dei livelli di rumorosità rispetto alle precedenti piattaforme oltre all’adozione di specifici rivestimenti anecoici e al solito lavoro di insonorizzazione dei macchinari, un notevole e ulteriore contributo dovrebbe poi venire dall’introduzione di nuovi e avanzati sistemi di propulsione (più in particolare, del cosiddetto “rim-driven thruster”). Lo scetticismo degli osservatori occidentali è forte ma se davvero la PLAN riuscisse a rendere operativo un tale sistema, la svolta sarebbe davvero importante se non epocale.

L’altro elemento di grande importanza sarebbe costituito dai pozzi di lancio che sarebbero in aumento fino al numero di 16 o 18 (se non, addirittura, 24) che andranno a ospitare i nuovi SLBM di tipo JL-3 derivati dall’ICBM DF-41, noto anche come CSS-X-10. Missili caratterizzati da un notevole incremento della gittata rispetto ai predecessori, per valori di 9.000/10.000 chilometri e con 10 MIRV.

Con questi ordigni, soprattutto se la gittata fosse nella parte alta delle stime, sarebbe dunque possibile colpire il territorio continentale degli Stati Uniti restando nei Mari Cinesi. Intanto, si segnala che sono già stati effettuati almeno un paio di lanci prova del JL-3, probabilmente facendo ricorso battello al Type 032 in dotazione alla Marina,  un sottomarino utilizzato proprio per le sperimentazioni in campo subacqueo.

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Al netto di tutte queste ipotesi più o meno fantasiose, a oggi rimangono solo indicazioni generiche confermate dalla stessa intelligence americana che riferisce dell’esistenza dei programmi relativi sia al Type 096, sia del JL-3. Con rapporti recenti provenienti dallo stesso Dipartimento alla Difesa, si ipotizza che la costruzione della prima unità potrebbe avere inizio intorno ai primi anni ’20.

Nel frattempo, e questo è un elemento certo, si segnala l’espansione delle strutture produttive presso il cantiere BSHIC di Huladao, con la costruzione di un nuovo grande capannone, all’interno del quale possono essere realizzati contemporaneamente più battelli (il tutto al riparo da “occhi indiscreti”) come i Type 096  e i nuovi SSN Type 095.

 

Le sfide per il deterrente nucleare strategico imbarcato cinese

La rilevanza della questione relativa al raggio d’azione degli ICBM cinesi è sttettamente legata al contesto operativo della Marina Ccinese. Generalmente, le strategie d’impiego degli SSBN sono di tre tipi:

  • costiera, con i sottomarini stessi che operano in specchi d’acqua con profondità fino a un massimo di 200 metri
  •  “bastion”, che individua uno specchio d’acqua delimitato quale zona di operazioni
  • in mare aperto, con gli SSBN che operano nelle profondità degli oceani, che rappresenta la più efficac e flessibile.

Logica vuole che alla Marina Cinese quest’ultima opzione sia sostanzialmente preclusa: i livelli di rumorosità non proprio modesti dei propri sottomarini costituiscono infatti un grave handicap allorquando si opera in acque profonde, laddove cioè le condizioni per chi effettua operazioni di ricerca diventano più agevoli.

Inoltre lo spostamento verso simili zone di operazioni sarebbe anche ostacolato dalla necessità di attraversamento di alcuni passaggi obbligati e, oltretutto, la stessa Marina Cinese nel suo complesso (come assetti navali di superficie, subacquei nonché aerei) non appare ancora in grado di affrontare in pieno le sfide legate alla protezione complessiva dei suoi SSBN.

Non rimane dunque che optare per la prima e/o la seconda opzione. Operare in acque comunque poco profonde significa infatti contare sul vantaggio delle difficili condizioni di propagazione del suono (l’ideale per contribuire a celare le tracce di un sottomarino rumoroso) e, al tempo stesso, condurre i propri pattugliamenti all’interno di “bastioni” ben difesi nonché facili da interdire alle eventuali operazioni di un avversario risulta sempre un’ottima opzione.

Sennonché, la scelta di queste strategie comporta un prezzo da pagare: rimanere confinati in zone costiere e/o “bastioni” rappresentati dai propri Mari (principalmente, il Mar Giallo e, ancora di più, il Mar Cinese Meridionale) significa aumentare le distanze rispetto agli obiettivi.

In termini ancora più diretti, un’ipotetica accoppiata Type 094 con i propri JL-2 operativi, non potrebbe eventualmente colpire gli Stati Uniti continentali. Solo le isole Hawaii o l’isola di Guam sarebbero raggiungibili; una limitazione pesante, tale da ridurre l’efficacia di questo assetto strategico. Comprensibile quindi l’importanza dell’ingresso in servizio dei nuovi Type 096 con i missili JL-3.

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Più in generale poi, la comparsa della componente strategica basata su sottomarini diventa una sfida importante anche sotto diversi altri punti di vista.

Legati principalmente alla dottrina Cinese sull’impiego di armi nucleari e sulle peculiari caratteristiche della catena di Comando e Controllo.

Nello specifico, Pechino da sempre professa la dottrina del “No-First Use” (“NFU”): l’eventuale impiego di armamenti nucleari è per l’appunto contemplato sono in termini di risposta a un eventuale attacco verso la Cina stessa.

Questo aspetto, combinato con lo stretto controllo politico a più livelli per la gestione di tutti gli assetti strategici, ha prodotto alcune decisioni importanti.

La prima è costituita dalla creazione della PLARF (People’s Liberation Army Rocket Force), cioè della struttura che si occupa di tutte le componenti dell’arsenale nucleare strategico basato a terra allo scopo di rafforzare il ruolo della Commissione Centrale Militare quale massimo organismo di controllo e della sua presa su tali armi. In questo caso, non è anche dato sapere (a oggi) se questa “Forza” abbia il controllo diretto degli assetti della PLAN o se sia quest’ultima ad avere la piena autorità sui propri sottomarini e, soprattutto, sui missili imbarcati.

La seconda fa riferimento alla scelta di tenere, in condizioni normali, separate le testate nucleari dai propri vettori (in dotazione alla PLARF medesima). Pratica che viene modificata solo in caso d’innalzamento del livello di allarme. In questo caso, la misura appare rivolta a scongiurare eventi imprevisti, soprattutto in funzione del rispetto dell’appena ricordato principio del “NFU”.

Questioni dunque importanti, entrambe legate allo stretto controllo del Partito Comunista Cinese su questi assetti operativi (ma anche su molto altro…) e che però mal si conciliano con le particolari caratteristiche di un deterrente nucleare imbarcato su sottomarini.

Proprio sul particolare aspetto del Comando e Controllo di queste unità e dei loro missili, incide anche il fattore legato alle comunicazioni con sottomarini in immersione. Riuscire infatti a comunicare con un SSBN in immersione è tanto difficile quanto fondamentale. Per farlo, occorre disporre di sistemi che operino a frequenze bassissime (VLF e ELF, Very Low e Extremely Low Frequency) che a loro volta necessitano di strutture complesse e vulnerabili.

Da questo punto di vista, è noto da tempo che la Cina dispone di diverse stazioni di comunicazione VLF: si stima che siano almeno 8 quelle attive, anche se alcune fonti allargano il numero fino a 12. Inoltre, appare ormai chiaro che sia stata acquisita anche l’operatività di un sistema di comunicazione in banda ELF, ufficialmente destinato a scopi civili e noto anche come Project WEM (Wireless Electromagnetic Method)

Esso farebbe della Cina il quarto Paese al mondo a disporne, dopo Stati Uniti (che però non lo utilizzano più), Russia e India. A tal proposito, sia pure nell’ambito della non sempre facile analisi delle indicazioni provenienti da fonte cinese, negli ultimi tempi alcuni organi d’informazioni locali hanno rilanciato delle voci circa possibili innovazioni in questo campo.

In particolare, sarebbero allo studio tecnologie per implementare sistemi di comunicazione quantistici mentre non meno “affascinanti” appaiono i possibili sviluppi nel campo dell’Intelligenza Artificiale (IA). Come noto, la Cina è un Paese che sta investendo molto nel settore, al punto che una sua applicazione in campo militare deve essere data per scontata con l’inserimento di elementi di IA nei sistemi di Comando e Controllo dei sottomarini.

 

Considerazioni

 Nel complesso, quella in questione è dunque una sfida di notevole portata perché destinata a interessare da un lato questioni più squisitamente tecnico/operative quali le piattaforme con i propri sistemi, i missili, le infrastrutture, le basi insieme ad altre legate all’expertise, come l’acquisizione di una certa esperienza operativa.

D’altra parte a queste considerazioni generali si aggiungono le caratteristiche peculiari della dottrina nucleare di Pechino e la sua altrettanto particolare struttura politica con tutte le implicazioni sugli aspetti militari. Tutte questioni che, come già ricordato, fanno ritenere la Cina in una condizione di complessivo ritardo in questo campo.

Al tempo stesso però non si può certo negare che il “Dragone Cinese” stia lesinando attenzione e risorse al potenziamento complessivo del proprio strumento militare e di quello nucleare in particolare.

Una tendenza ribadita anche nel recente “Libro Bianco della Difesa” dove accanto a messaggi quasi rassicuranti (la conferma della politica del “No First Use” e dunque l’impronta difensiva del proprio arsenale strategico), si aggiunge che una capacità nucleare è la pietra angolare per la salvaguardia della sovranità e della sicurezza nazionali, dissuadendo altri Paesi dall’utilizzo, o dalla minaccia di utilizzo, di armi nucleari.

Elementi da tenere in considerazione visto che, non a caso, proprio negli ultimi mesi si sono moltiplicati i segnali di grande “attenzione” da parte degli USA.

Che si tratti di rapporti del Pentagono o dell’intelligence statunitense, che si tratti di testimonianze dirette dei massimi responsabili del PACOM (Pacific Command) o di studi/articoli di analisti indipendenti, il dato che emerge con chiarezza è uno solo: la Cina sta sì completando la propria triade di armamenti nucleari (con armi lanciata da terra, dall’aria e dal mare) ma, soprattutto, sta dedicando una particolare attenzione proprio alla componente navale. Segno che lo sforzo di Pechino per colmare quel ritardo più volte denunciato, è massimo.

 

 

Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli

Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.

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