Gli interessi di Mosca e Ankara in Libia
da Il Mattino del 14 gennaio 2019
Mosca e Ankara hanno molti interessi in Libia, alcuni convergenti ed altri legati a valutazioni nazionali di tipo strategico ed economico. Russi e turchi hanno innanzitutto interesse a colmare il gap lasciato dal progressivo disimpegno di Washington nell’area del Mediterraneo allargato a cui non ha fatto seguito un maggiore ruolo né dell’Unione Europea né dei singoli Stati europei, Italia inclusa.
Ribadendo l’intesa bilaterale già rivelatasi indispensabile a “congelare” il conflitto siriano, Russia e Turchia so o inoltre determinate ad accreditarsi come potenze stabilizzatrici in diverse aree di crisi.
Mosca si è più volte rammaricata di non aver impedito, con un veto alle Nazioni Unite, l’operazione militare condotta nel 2011 dagli anglo-franco-americani e poi dalla NATO contro la Libia di Gheddafi, causa della destabilizzazione del Nord Africa e del Sahel.
Pur riconoscendo il governo di Fayez al-Sarraj, la Russia ha firmato nel gennaio 2017 un accordo di cooperazione militare con il generale Khalifa Haftar, siglato a bordo della portaerei Admiral Kuznetsov che attraversava il Mediterraneo rientrando dalla missione nelle acque siriane.
Da allora il ruolo russo di supporto all’Esercito nazionale libico di Haftar è cresciuto, in sinergia con Egitto ed Emirati Arabi Uniti, pur mantenendo un profilo contenuto. A differenza della Siria, in Libia Vladimir Putin non ha mai inviato truppe regolari ma sono circolate molte notizie circa il ruolo dei contractors della compagnia militare privata Wagner, impegnata a offrire mezzi, manutenzione e anche supporto militare alle milizie di Haftar con una forza stimata oggi in 2mila uomini.
Mosca ha spesso negato la loro presenza ma nei giorni scorsi Putin si è limitato ad affermare che “se ci sono dei russi in Libia non rappresentano lo Stato e non sono pagati dalla Russia”.
L’intesa con Haftar mira quindi ad ampliare l’influenza di Mosca nel Mediterraneo e in Africa (da alcuni anni in ascesa) favorendo la penetrazione in Cirenaica in termini di concessioni assegnate alle compagnie energetiche russe ma anche in termini militari, con la possibilità di utilizzare il porto di Tobruk come base per la flotta russa che oggi nel Mediterraneo dispone solo della base di Tartus, in Siria.
Il porto di Tobruk veniva utilizzato dalla flotta sovietica ai tempi della Guerra Fredda ma oggi permetterebbe a Mosca di assicurare una presenza navale costante nel Mediterraneo Centrale. Nell visione strategica e politica della Turchia, assumere un ruolo guida a Tripoli significa riportare l’influenza turca su territori un tempo occupati dall’Impero Ottomano che dalla Libia venne cacciato dall’Italia con la guerra del 1911-12.
Il “neo-ottomanesimo” Recep Tayyp Erdogan sta infatti riportando i turchi a ricoprire un ruolo chiave in diverse regioni dall’Asia Centrale al Medio Oriente all’Africa Orientale, con nuove basi militari aperte in Sudan, Somalia e Qatar.
L’aiuto militare turco che ha probabilmente salvato Tripoli dalla sconfitta non è certo gratuito: Ankara ha già presentato un conto di 2,7 miliardi di dollari a Fayez al-Sarraj ed è concreta la possibilità che le compagnie energetiche turche prendano piede in Tripolitania insidiando il primato dell’ENI. Di certo il memorandum turco-libico sulle Zone economiche esclusive marittime, firmato il 26 novembre scorso a Istanbul, apre la strada alle compagnie turche per la ricerca e lo sfruttamento del gas nelle acque di fronte alle coste libiche.
In termini ideologico poi non va dimenticato che Erdogan è il grande sponsor internazionale (finora grazie ai petrodollari del Qatar) della Fratellanza Musulmana, movimento islamista molto influente all’interno del GNA libico, in Tunisia (partito Ennhada) e un tempo anche in Egitto dove dopo la rimozione del presidente Mohammed Morsi ad opera dei militari è stato posto fuorilegge.
Non a caso lo sbarco dei militari turchi a Tripoli è stato accolto con entusiasmo dal gran Muftì di Tripoli, Sadiq al-Ghariani, massima autorità religiosa della Tripolitania.
L’egemonia turca nella Libia Occidentale consentirà quindi ad Ankara di sostenere i movimenti legati alla “Fratellanza” in tutta la regione ma anche di esercitare pressioni sull’Europa sfruttando i flussi migratori illegali. Finora Erdogan ha ricattato la Ue con la minaccia di aprire i suoi confini europei a milioni di migranti lungo la cosiddetta “rotta balcanica”. Domani la sua forte influenza su Tripoli potrebbe consentirgli di rinnovare la minaccia anche lungo la “riotta libica” che impatta direttamente sulle coste meridionali italiane.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.