I turchi pronti a sbarcare a Tripoli tra guerra e deterrenza
Il Parlamento di Ankara ha approvato ieri, come preannunciato, l’invio di truppe e mezzi militari in Libia in supporto al Governo di accordo nazionale (GNA) di Fayez al-Serraj, assediato a Tripoli dai combattenti dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar. Su 600 deputati, 325 hanno votato a favore, 184 sono stati contrari e una novantina ha lasciato l’aula.
Subito dopo il presidente americano, Donald Trump, ha telefonato al capo di Stato turco, Recep Tayyip Erdogan, ammonendolo a evitare “ogni ingerenza straniera in Libia” che complicherebbe ulteriormente la situazione sul campo.
Reazioni critiche al voto del parlamento turco si sono registrate un po’ ovunque. L’ Unione europea ha ribadito l’appello a “rispettare l’embargo Onu sulle armi” sottolineando che “non c’è una soluzione militare” alla crisi, affermazioni che dimostrano ancora una volta come l’Europa non riesca ad avere un approccio realistico alla situazione in Libia.
L’embargo dell’ONU viene violato da anni con forniture militari e combattenti stranieri inviati al GNA come all’LNA mentre gli sviluppi di queste ora dimostrano da un lato che a soluzione militare è un’opzione percorribile ma soprattutto che solo il bilanciamento militare tra i contendenti può sventarla e a questo non contribuisce certo la posizione europea, né l’inconsistente ruolo di un’Italia ormai spiazzata dagli eventi.
La missione diplomatica europea attesa a Tripoli il 7 Gennaio (con i ministri degli Esteri italiano e di altri paesi Ue) potrebbe venire accolta da manifestazioni di protesta e secondo fonti libiche sentite da Analisi Difesa potrebbe venire disertata dai francesi, che come sempre preferiscono avere le mani libere per giocare da soli la partita libica senza accodarsi all’irrilevante Ue.
Fonti da Misurata riferiscono che la missione europea, che dovrebbe essere guidata da 72enne Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josip Borrell, può anche risparmiarsi il viaggio a Tripoli se non ha proposte concrete da presentare.
Oggi all’assemblea degli anziani di Misurata è attesa la richiesta di alcuni delegati al GNA di imporre il ritiro dei 300 militari italiani presenti all’aeroporto della città con compiti sanitari nell’ambito della MIASIT, la missione italiana di assistenza e supporto al GNA che conta oggi circa 250 militari oltre a qualche decina di uomini della Marina presenti nel porto di Tripoli per sostenere la Guardia Costiera libica nelle attività di contrasto dell’immigrazione illegale.
Il sentimento anti-italiano ed anti-europeo sembra quindi montare in tutta la Tripolitania dove la rapida, efficace e concreta iniziativa turca conquista consensi crescenti.
Al consolidato invio di consiglieri militari, armi, veicoli, droni armati e più recentemente mercenari siriani si aggiunge ora l’attesa per lo sbarco a Tripoli e Misurata di 5mila militari turchi con un numero imprecisato di velivoli, elicotteri, cargo e forse anche caccia F-16. Quanto basta per indurre molti in Tripolitania a considerare i turchi come gli unici alleati affidabili.
La Lega Araba ha condannato con forza la mozione del parlamento turco mentre il presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi, ha presieduto una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale per adottare la risposta all’eventuale intervento turco che minaccia il Paese.
Secondo quanto riportato dal quotidiano al-Ahram, “è stato definito un insieme di provvedimenti in diversi settori per contrastare ogni minaccia per la sicurezza nazionale egiziana”. Se Ankara invierà truppe e velivoli a Tripoli è probabile che l’Egitto (e gli Emirati arabi Uniti) faccia altrettanto inviando forze militari in Cirenaica poiché al-Sisi non può accettare il trionfo della Fratellanza Musulmana (considerato “movimento terroristico”) in Libia dopo averla rovesciata al Cairo.
Da parte sua, la Turchia auspica che “coloro che mantengono un atteggiamento aggressivo in Libia ricevano il messaggio necessario”, come ha detto il vice presidente, Fuat Oktay, lasciando intendere che il voto possa puntare a esprimere una deterrenza militare, teso cioè a minacciare l’invio di unità militari regolari per negoziare da una posizione di forza un accordo di pace.
Il governo turco si è detto infatti pronto “a collaborare per la stabilità” nel Mediterraneo, come ha detto ieri Fahrettin Altun, portavoce del presidente Erdogan, precisando che la Turchia sta difendendo i suoi “diritti e interessi” nel Mediterraneo. “Nessuna potenza regionale deve preoccuparsi, ma lavorare con noi”, ha aggiunto su Twitter.
All’ipotesi di un possibile accordo qualcuno attribuisce anche la notizia, resa nota dal GNA ma non verificata, del ritiro dei contractors russi che affiancano le forze di Haftar del Gruppo Wagner dalle prime linee del fronte a Tripoli.
Il ruolo politico e militare russo in Libia è del resto sempre più determinante: non solo dal 2017 esiste un accordo di cooperazione militare tra Mosca e l’LNA, ma il 7 aprile 2019 fu proprio la Russia a impedire che l’ONU approvasse una risoluzione che imponeva lo stop immediato all’offensiva di Haftar su Tripoli.
Il significato della posizione turca viene inoltre amplificato dalla firma, sempre ieri, del trattato tra Grecia, Cipro e Israele (manca la firma dell’Italia, ancora una volta assente quando si tratta di assumere iniziative di valore strategico, dove il gasdotto dovrebbe arrivare dalla Grecia) per la costruzione del gasdotto EastMed, che mira a fornire all’Europa il gas naturale del Mediterraneo orientale.
Un progetto osteggiato dalla Turchia con l’arbitrario ampliamento della sua Zona economica esclusiva marittima, garantito dal memorandum del 26 novembre scorso siglato da Ankara e Tripoli.
Le iniziative aeronavali congiunte tra la Grecia (che ieri ha annunciato l’ammodernamento della sua flotta di 84 caccia F-16) e l’Egitto, con esercitazioni e pattugliamenti lungo le rotte del Mediterraneo Orientale che i turchi utilizzerebbero per portare i propri militari a Tripoli, costituiscono da un lato una risposata, anch’essa di deterrenza, al voto del parlamento turco e dall’altro evidenziano come Atene, ben consapevole di quanto possa confidare nella Ue, punti su rapporti sempre più stretti con Cipro, Egitto e Israele per tutelare i propri interessi.
Un alto ufficiale delle forze del generale Haftar ha affermato ieri che l’LNA “è pronto a combattere e non permetterà la presenza di qualsiasi forza turca ostile sul territorio libico” sottolineando “l’attuazione di misure militari di precauzione per essere pronti ad un eventuale scontro con le forze turche”, come ha riportato il sito di al-Arabiya.
Sul campo di battaglia di Tripoli l’LNA ha affermato di aver ucciso venti miliziani del GNA lungo la strada Salah Aldeen, la lunga arteria che porta al cuore della capitale da sud e di aver abbattuto l’ennesimo “drone turco” ad Ain Zara, una zona sud-orientale di Tripoli a 12 chilometri in linea d’aria dal centro della capitale libica. I media locali riferiscono che le truppe dell’LNA hanno circondato il quartiere di Abu Salim, a meno di dieci chilometri dal pieno centro di Tripoli ma il GNA smentisce progressi del nemico in quel settore e annuncia di aver catturato nella stessa area 25 uomini di Haftar.
Secondo la missione dell’ONU in Libia dall’inizio dell’offensiva di Haftar contro la capitale, a inizio aprile 2019, sono morti in battaglia 280 civili e oltre 2 mila combattenti.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.