Sahel: I jihadisti avanzano, gli americani sgombrano, i francesi mandano rinforzi
Il presidente francese, Emmanuel Macron, al termine del vertice di Pau insieme ai Paesi del G5 Sahel, ha annunciato il 13 gennaio l’invio di altri 220 militari per rafforzare l’Operazione Barkhane che dal 2014 combatte i miliziani jihadisti nella regione.
Durante il vertice di Pau, il presidente francese e gli omologhi africani hanno deciso di rafforzare il coordinamento attraverso un “nuovo quadro politico, strategico e operativo”, la cosiddetta “Coalizione per il Sahel”. Vi faranno parte i Paesi del G5 Sahel, la forza internazionale Barkhane a guida francese e tutti i Paesi partner.
I partecipanti al vertice di Pau hanno deciso di “concentrare immediatamente i loro sforzi militari nella zona delle tre frontiere” (Mali, Burkina Faso e Niger) sotto al “comando congiunto della Forza Barkhane e della Forza congiunta G5 Sahel”.
E’ proprio lì, che in questi ultimi mesi, si sono concentrati gli attacchi, a cominciare da quelli del cosiddetto ‘Stato Islamico nel Grande Sahara’ (EIGS in francese o ISWAP in inglese).
L’ultimo è stato condotto il 9 gennaio contro la base militare a Chinagodrar, in Niger, vicino al confine con il Mali. Attacco in cui lo Stato islamico reclama di aver ucciso 100 militari nigerini mentre Niamey ammette la morte di 89 militari a fronte di 77 terroristi uccisi.
L’ennesimo devastante attacco dell’EIGS (169 soldati uccisi negli ultimi de attacchi) è costato il posto al capo di stato maggiore dell’esercito, maggior generale Ahmed Mohamed, destituito dal presidente Mahamadou Issoufou che lo ha sostituito col maggiore generale Salifou Modi.
Ahmed Mohamed ha guidato l’esercito per più di due anni in un periodo caratterizzato da un forte aumento degli attacchi delle milizie di Stato islamico e al-Qaeda
L’ultimo attacco è avvenuto meno di un mese dopo un altro assalto jihadista all’avamposto di Inates, vicino al confine col Mali, simile sul piano tattico, in cui vennero uccisi 71 soldati. Attacchi che hanno sollevato dubbi sulla capacità del Niger di contenere la diffusione di gruppi jihadisti attraverso il suo confine occidentale.
Gli attacchi in Niger sono aumentati di quattro volte nell’ultimo anno, uccidendo oltre 400 militari. Nel paese è presente anche una missione italiana che si occupa solo di addestramento delle forze nigerine a Niamey: nessun indizio per il momento di un rafforzamento del continente italiano e di un suo impiego in appoggio alle oirze locali nella lotta ai jihadisti.
Il rafforzamento della presenza europea al fianco delle forze locali è resa necessaria non solo dall’offensiva jihadista ma anche dall’annunciato ridimensionamento della presenza statunitense nella regione.
Le forze che il Pentagono destina all’Africa o al Medio Oriente” potrebbero essere ridotte e anche reindirizzate per migliorare la preparazione delle nostre forze negli Stati Uniti o nel Pacifico”, ha dichiarato il capo di Stato maggiore delle forze armate americane, generale Mark Milley.
“Spero di riuscire a convincere il presidente Trump che la lotta al terrorismo si gioca anche in questa regione e che il tema libico non può essere separato dalla situazione nel Sahel e nella regione del Lago Ciad” ha detto Macron.
Gli Usa, che evidentemente vogliono concentrarsi maggiormente sulle minacce poste da Russia e soprattutto Cina, schierano in Africa circa 7.000 uomini per lo più appartenenti a reparti aerei e del Comando Operazioni Speciali (oltre a numerosi contractors) che conducono operazioni contro i terroristi e miliziani islamici, talvolta congiunte con gli eserciti nazionali locali, in particolare in Somalia.
Inoltre, circa 2.000 militari statunitensi conducono missioni di addestramento in circa 40 Paesi africani (donando velivoli e veicoli come i camion consegnati pochi giorno or sono alle forze militari del Burkina Faso) e partecipano a operazioni di cooperazione, in particolare con le forze francesi dell’Operazione Barkhane in Mali, a cui forniscono principalmente assistenza logistica come aerei da trasporto pesante e tanker per il rifornimento in volo.
Esper starebbe anche pensando di chiudere la base aerea utilizzata dai droni MQ9 Reaper di Agadez, nel nord del Niger, costata oltre 100 milioni di dollari e aperta solo da pochi mesi e che fornisce agli Stati Uniti una piattaforma di sorveglianza formidabile sul Sahel.
Il generale Milley ha assicurato che il capo del Pentagono non ha ancora “preso alcuna decisione”: “Ridurre la nostra forza non significa portarla a zero”, ha osservato a Bruxelles intervenendo al Comitato Militare della Nato.
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