Erdogan in difficoltà in Siria torna a ricattare l’Europa coi migranti

Continua l’escalation del confronto tra forze siriane e russe da una parte e truppe turche schierate con le milizie jihadiste dall’altra nella provincia settentrionale di Idlib. È di almeno 34 soldati turchi uccisi e altri 32 feriti il bilancio provvisorio di un raid aereo compiuto ieri sera dalle forze di Damasco mentre fonti indipendenti stimano un numero di morti ancora superiore.

Da settimane l’esercito siriano, con il supporto aereo e di artiglieria della Russia, ha lanciato una vasta offensiva nella provincia di Idlib, ultima roccaforte ancora sotto il controllo delle milizie jihadiste sostenute da Ankara non più solo con armi, munizioni e appoggio logistico ma con una crescente presenza di militari e mezzi pesanti dell’esercito turco.

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I combattimenti hanno visto inizialmente ampi successi delle truppe siriane e avrebbero innescato una crisi umanitaria con la fuga di centinaia di migliaia di persone (950 mila, per l’81 per cento donne e minori, secondo le Nazioni Unite, solitamente inclini però a dare credito alle fonti vicine ai ribelli), cui hanno fatto seguito contrattacchi dei ribelli sostenuti dalle forze turche, tutti respinti fino al 26 febbraio grazie soprattutto alle forze aeree russe.

“I militari turchi non dovrebbero stare fuori dalle loro postazioni di osservazione nella provincia siriana di Idlib”, ha sottolineato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, avvallando di fatto quanto dichiarato da Damasco che accusa le truppe di Ankara (altri 3 militari turchi erano stati uccisi il 26 febbraio in situazioni analoghe) di combattere al fianco dei ribelli.

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Circostanza negata dal ministro della Difesa turco Hulusi Akar: “non c’erano gruppi armati intorno alle nostre unità militari” ha detto il ministro aggiungendo che “questo attacco è stato compiuto nonostante le informazioni trasmesse ai responsabili russi sulla collocazione delle nostre truppe”. I bombardamenti siriani “sono continuati nonostante un nuovo avvertimento” e “durante l’attacco aereo sono state prese di mira anche ambulanze” giunte sul posto per soccorrere i feriti.

Le difficoltà a distinguere sul campo le truppe turche dai ribelli è dovuta anche al fatto che Ankara ha fornito ai miliziani mezzi e armi del proprio esercito che mantengono l’originale livrea mimetica caratteristica dell’esercito di Ankara. Tra questi mezzi vi sono cingolati da combattimento ACV-15, ruotati BMC Kirpi, obici M-114 e T155 oltre a lanciarazzi campali T-122 Sakarya: veicoli e armi che probabilmente vengono impiegati con equipaggi e artiglieri turchi.

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Anche il ministero della Difesa di Mosca ha reso noto che le truppe turche finite sotto il fuoco delle forze armate siriane erano “nelle formazioni dei terroristi” ma ha precisato che i suoi aerei, pesantemente impegnati da settimane nel bombardare le postazioni dei ribelli, non erano impegnati ieri nella zona di Behun, dove sono stati uccisi i militari di Ankara.

La Russia tiene aperto un canale di dialogo con Ankara anche se la battaglia di Idlib sta incrinando in modo crescente i rapporti bilaterali. Mosca del resto sta rafforzando il suo dispositivo militare in Siria.

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Nei giorni scorsi nuovi velivoli Sukhoi Su-24 sarebbero giunti nella base siriana di Hmeymin (Latakya) dalla Russia Meridionale mentre ieri Aleksey Rulev, portavoce della Flotta del Mar Nero, ha annunciato che due fregate lanciamissili, la Admiral Makarov e la Admiral Grigorovich, stanno entrando nel Mediterraneo “attraverso gli stretti del Bosforo e del Dardanelli” e “si uniranno alla task force della Marina russa permanentemente di stanza nel Mediterraneo”.

Le due navi della classe Admiral Grigorovich (Project 11356), ordinate in 6 esemplari di cui la metà in servizio, hanno in passato già preso parte alle operazioni militari in Siria: si tratta di fregate da 4mila tonnellate armate anche con missili da crociera Kalibr in più occasioni impiegati per bersagliare le postazioni delle milizie jihadiste in Siria.

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Come accaduto anche in occasione di scontri che hanno provocato la morte di soldati turchi (circa 200 i caduti di Ankara dal 2016, per metà registrati quest’anno), Ankara ha risposto all’attacco con un intenso fuoco d’artiglieria contro alcuni obiettivi siriani che nelle ultime ore avrebbero provocato la morte o il ferimento di 329 soldati siriani oltre alla distruzione di 23 tank, 10 mezzi armati e numerosi depositi e armi.

Un bilancio probabilmente esagerato per esigenze di propaganda (i caduti tra le fila dell’esercito turco cominciano ad avere un peso politico e sociale considerevole in Turchia) considerato che l’Osservatorio siriano dei diritti umani (Ondus) , Ong con sede a Londra e non certo schierata al fianco del governo di Bashar Assad, riferisce che la rappresaglia turca abbia ucciso 16 militari governativi lungo la strada che collega Maarrat an Numaan a Saraqeb, a est di Idlib.

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L’esercito turco ha rivendicato di aver “neutralizzato” in 17 giorni di scontri almeno 1.709 soldati siriani distruggendo 55 tank, 3 elicotteri, 18 mezzi blindati, 29 obici, 21 mezzi militari e diversi depositi di armi e munizioni del regime. Numeri che Damasco smentisce e nessuna fonte indipendente ha potuto verificare.

Gli scontri non sembrano del resto destinati a cessare. Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan vuole il ritiro di tutte le forze siriane dall’area in cui la Turchia ha allestito dei punti di osservazione, di fatto a protezione della sacca di resistenza dei ribelli jihadisti. Damasco, con l’aiuto di Mosca, rivendica il diritto di liberare dai ribelli l’ultima regione del suo territorio nazionale, area in cui in base al diritto internazionale i turchi costituiscono una forza di occupazione.

L’attacco aereo siriano di giovedì sera potrebbe del resto costituire la risposta al massiccio intervento militare turco che ha sostenuto la controffensiva dei ribelli che, dopo giorni di sconfitte, hanno riconquistato la cittadina Saraqeb, che era stata liberata dalle truppe di Damasco la scorsa settimana.

La conquista del centro abitato collocato all’ incrocio tra le autostrade M4 ed M5 da parte dei ribelli è stata confermata da fonti di stampa turche ma smentita da fonti militari russe: non può al momento essere verificata da osservatori indipendenti sul terreno ma anche l’Ondus ha confermato la sua riconquista da parte dei ribelli affiancati dai turchi.

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La Turchia, in evidente difficoltà sul campo di battaglia, sembra voler cercare con ogni mezzo appoggi presso la NATO e l’Europa. Il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu ha avuto un colloquio telefonico con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg per discutere delle possibili misure da prendere nel quadro dell’Alleanza Atlantica, cui potrebbe ora chiedere sostegno militare come fece anche nel 2015 ottenendo però solo lo schieramento di batterie di difesa contro i missili balistici lungo il confine con la Siria.

A Washington qualcuno sembra disposto ad aiutare Erdogan. Il senatore repubblicano Lindsay Graham, influente sostenitore del presidente Donald Trump, ha chiesto un intervento immediato per garantire una no-fly zone sulla provincia di Idlib, tema già affrontato dal ministro della Difesa turco Hulusi Akar con il suo omologo americano Mark Esper.

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L’obiettivo evidente è impedire alle forze aeree russe e siriane di sostenere l’offensiva per la riconquista della provincia di Idlib e impedire l’attacco diretto delle truppe di Damasco al suo capoluogo in cui i ribelli di diverse milizie jihadiste si sono barricati.

Della situazione in Siria hanno discusso al telefono anche I capi di Stato maggiore delle forze armate russe e statunitensi, Valery Gherasimov e Mark Milley, che secondo il ministero della Difesa di Mosca “si sono scambiati opinioni sulla situazione in Siria e su altri temi di comune interesse”.

Con l’Europa invece la strategia di Erdogan resta quella di sempre, basata sul ricatto attuato minacciando nuovi flussi di migranti verso i Balcani e la Ue in risposta al mancato sostegno nella sua campagna militare contro le forze governative siriane.

Il governo turco ha infatti dichiarato ieri che non intende più fermare i rifugiati che cercano di raggiungere l’Europa. “Abbiamo deciso – riferisce un alto funzionario del governo turco dietro anonimato – con effetto immediato, di non fermare i rifugiati siriani che cercano di raggiungere l’Europa via terra o via mare. Tutti i rifugiati, compresi i siriani, sono liberi di andarsene nell’Unione Europea”.

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“Di fatto, alcuni migranti e richiedenti asilo nel nostro Paese, preoccupati dagli sviluppi” a Iblib in Siria, “hanno iniziato a muoversi verso i nostri confini occidentali” con l’Ue. “Se la situazione peggiora, il rischio continuerà a crescere” ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri turco, Hami Aksoy, secondo cui tuttavia “non c’ è alcun cambiamento nella politica verso i migranti e richiedenti asilo del nostro Paese, che accoglie il maggior numero di rifugiati al mondo”.

Una minaccia concreta tenuto conto che i primi gruppi di alcune decine di profughi si stanno dirigendo a piedi verso il confine con la Grecia. Lo riferiscono le tv locali, mostrando le immagini di persone in cammino sul ciglio della strada, tra cui donne e bambini. Secondo l’agenzia Dogan, sarebbero circa 300 i migranti siriani, iracheni e iraniani giunti ieri mattina nella provincia frontaliera turca di Edirne (saliti a oltre 25 mila nelle successuve 48 ore con pesanti scontri con le forze di polizia greche che impediscono l’attraversamento del confine).

Il loro passaggio non sarebbe al momento consentito attraverso il valico di frontiera ufficiale di Pazarkule, ma secondo le testimonianze di alcuni di loro non verrebbe più ostacolato l’attraversamento dalle aree rurali e lungo il fiume Evros, confine naturale tra la Turchia e la Grecia.

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Le immagini delle tv mostrano inoltre diversi bus e altri mezzi organizzati a Istanbul per condurre gruppi di migranti verso il confine, distante circa 250 chilometri. Secondo fonti di Ankara, è stata data indicazione alla polizia di frontiera di ignorare di fatto il passaggio dei profughi, come anche alla guardia costiera di non bloccare più i natanti in partenza dalla costa egea verso le isole greche.

Se Ankara riaprisse i confini favorendo il trasferimento dei profughi siriani insieme ai migranti di altri paesi mediorientali e asiatici verso le frontiere greca e bulgara e gli europei non provvedessero immediatamente a sigillarle, potrebbe ripetersi l’esodo di uno o due milioni di persone registratosi nel 2015.

Inoltre, ora che i turchi esercitano una forte influenza sul governo libico di Tripoli, anche su questo fronte in contrasto con i paesi europei che vorrebbero fermare il flusso di armi che Ankara invia in Libia, potrebbe indurre Erdogan a forzare la pressione migratoria anche nel Mediterraneo Centrale accentuando i flussi illegali diretti in Italia già in crescita da alcuni mesi grazie anche alla politica dei “porti aperti” attuata da Roma.

@GianandreaGaian

Foto: Esercito Arabo Siriano, TASS, SANA, Anadolu, Ministero Difesa Russo

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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