Sophia “muore” ma la nuova operazione navale Ue nasce già zoppa

“Dopo una lunga discussione, i ministri hanno trovato un accordo all’unanimità, che solo stamani pensavo fosse impossibile. L’Operazione Sophia sarà chiusa alla scadenza del suo mandato, il 20 marzo”, e sarà sostituita “da una nuova missione nel Mediterraneo, per l’attuazione dell’embargo Onu sulle forniture di armi alle fazioni libiche. Questo dimostra che quando c’è volontà politica niente è impossibile”.

Così si è espresso l’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell (nella foto sotto), al termine del Consiglio Esteri Ue che il 17 febbraio ha sancito la fine dell’Operazione Sophia, varata dalla Ue nell’estate del 2015 col compito di contrastare i trafficanti di esseri umani e rimasta “monca” della componente navale dopo che nel 2019 il precedente governo italiano aveva imposto alle navi dei partner europei di sbarcare nei propri i porti i migranti clandestini raccolti in mare.

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il ministro degli Esteri austriaco, Alexander Schallenberg, aveva già affermato che “l’operazione Sophia non esiste più” e quindi per il monitoraggio dell’embargo Onu sulle armi alla Libia “serve un’operazione militare” nuova. Un’operazione “che possa effettivamente fare quello che deve, principalmente il monitoraggio dell’embargo sulle armi.

E in questo caso si può parlare di tutto, ma non vicino alle coste libiche, non una ripresa di Sophia”. Vienna e Budapest si sono opposte duramente al ripristino di Sophia per il timore che la presenza navale europea porti a incentivare nuovi flussi migratori illegali che contino sulle navi Ue per farsi soccorrere e traghettare in Italia o in altri paesi europei. I due paesi della Mitteleuropa si erano del resto già rifiutati di partecipare a eventuali suddivisioni dei clandestini tra i partner Ue.

“Più di uno” Stato membro, e quindi non solo l’Austria, si oppone ancora al rilancio della missione navale dell’Ue Sophia (Eunavfor Med), volta a far rispettare l’embargo sulle armi in Libia, paventando che l’operazione possa funzionare come un fattore di attrazione per l’immigrazione clandestina aveva detto Borrell all’apertura dei lavori della riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue.

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Nella mattinata di lunedì infatti Austria, Ungheria e Slovacchia avevano ipotizzato il rinnovo dell’Operazione Sophia, in scadenza il 20 marzo, ma solo nella sua componente aerea. Per il ripristino della missione navale si era espresso in precedenza invece il ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini (nella foto a sinistra): per mantenere l’embargo Onu delle armi alla Libia “è necessario rafforzare il dispositivo dell’operazione Sophia.

La nostra posizione è che si debba rimettere in campo la componente navale, e crediamo che se questi sono gli obiettivi condivisi da tutti, si possa arrivare a questo risultato”.

Considerato che quando il governo giallo-verde, su iniziativa del ministro dell’Interno Matteo Salvini, ha imposto ai singoli paesi aderenti di sbarcare nei loro porti nazionali i clandestini raccolti in mare tutti i partner Ue hanno ritirato le navi dalla missione occorre chiedersi se il ministro Guerini, riproponendo il riavvio della componente navale sia certo che il governo italiano è di nuovo pronto ad accogliere i migranti illegali raccolti dalla flotta europea, oppure conti su una disponibilità dei partner a farsene carico che per ora non è stata resa nota.

Varata dalla Ue nell’estate 2015 col compito di “interrompere il modello di business” dei trafficanti di esseri umani, la missione navale Ue si è infatti limitata a sbarcare in Italia 44 mila clandestini soccorsi in mare senza mai essere autorizzata a colpire i trafficanti nelle acque e sul territorio libico.

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Pur cambiando compito è infatti certo che la presenza di navi europee (delle Ong o militari poco importa ai trafficanti) a ridosso delle acque della Tripolitania comporterebbe un incremento dei flussi di barconi e gommoni contando sul fatto che la Ue considera un obbligo il soccorso in mare anche se in realtà si tratta di “traghettamento”.

Quanto alla nuova missione non ci sono al momento elementi chiari. Secondo logica dovrebbe avere il suo quartier generale in Italia (quello di Sophia è a Roma-Centocelle) e utilizzare basi soprattutto in Sicilia anche se la portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna, Virginie Battu-Henriksson, ha precisato che non è escluso che l’Italia possa perdere il comando della missione navale, che invece detiene dal 2015 con l’Operazione Sophia.

“Non voglio escludere alcuna opzione, perchè stiamo parlando di una nuova operazione. Gli elementi più concreti dell’accordo, a cominciare dal comando della futura operazione, devono essere ancora visti”, ha spiegato la portavoce proprio mentre cominciava a circolare la voce che la Spagna punti a guidare l’operazione.

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“Spero che la nuova missione” di controllo dell’embargo Onu sulla Libia “possa essere lanciata al prossimo consiglio Affari esteri, ed essere operativa da fine marzo” ha detto ieri Borrell, chiarendo che è stato trovato “un accordo politico” e che ora saranno gli ambasciatori, ed il Comitato militare Ue, presieduto dal generale Claudio Graziano, a lavorare sui dettagli e sulle regole di ingaggio.

Di fatto quindi nessuno controllerà i cargo che portano armi in Libia per almeno un altro mese e mezzo mentre non sembrano esserci singoli Stati pronti a far rispettare l’embargo con le proprie forze navali in attesa della flotta Ue.

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L’Alto rappresentante ha però aggiunto che le navi della nuova missione “potranno fermare imbarcazioni sospettate di portare armi e truppe alla Libia” aggiungendo che “non andiamo a fare una passeggiata”. Come nel caso di una riedizione dell’operazione Sophia, anche circa la nuova missione non mancano dubbi e perplessità.

I mercantili che portano armi al Governo di accordo nazionale (GNA) di Fayez al-Sarraj a Tripoli sono scortati da navi da guerra turche e, “passeggiata o meno” nessuno riesce a immaginare, a Roma come a Bruxelles, che la flotta Ue abbia regole d’ingaggio così robuste da permetterle di scatenare una battaglia navale contro la Marina di Ankara per bloccare le forniture di armi al governo libico legittimo riconosciuto dall’ONU.

Anche perché, giusto per chiarirci subito le idee, il governo turco non riconosce la legittimità dell’operazione navale targata Ue. “L’Unione europea non ha alcuna autorità per prendere una decisione sulla Libia” ha detto ieri il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, parlando al gruppo parlamentare del suo partito (AKP) ad Ankara.

Del resto pure il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, incontrando l’omologo italiano Luigi Di Maio nel vertice bilaterale Esteri-Difesa, ha chiesto che ogni iniziativa sulla Libia venga assunta nell’ambito delle Nazioni Unite.

Anche a causa di tutte queste difficoltà resta aperto il dubbio che la nuova missione Ue favorisca la ripresa dei flussi migratori su vasta scala verso l’Italia (e ad aprile sarebbe del resto il momento giusto, con il ritorno della bella stagione). Un dubbio rafforzato anche dai veti al ripristino dell’Operazione Sophia espressi da Vienna, Bratislava e Budapest che vorrebbero impedire alle navi della nuova missione Ue di avvicinarsi alle coste libiche.

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Obiettivo che cozza però con lo spirito della missione: difficile infatti controllare gli accessi ai porti della Libia senza avvicinarsi al litorale e senza operare nelle acque precostiere.

A tal proposito il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, al termine del Consiglio Ue ha precisato che è stato deciso che “le navi disposte in mare siano nella zona est della Libia. Se dovessero scatenare un pull-factor“, cioè un effetto richiamo per i migranti, “la missione si blocca”.

Nelle prossime settimane gli ambasciatori Ue discuteranno anche le regole per eventuali “salvataggi in mare, anche se sarà difficile che ce ne siano”, data l’area di pattugliamento. Comunque, nel caso ci fossero soccorsi, marginali, “pretenderemo che si applichino nuove regole: o che vale la bandiera della nave che interviene, oppure la vecchia rotazione dei porti. Ma questo tema non ci preoccupa, perché abbiamo già detto che se ci sarà un pull-factor , cioè se partiranno più migranti per effetto di queste navi, la missione si bloccherà”.

Le dichiarazioni di Di Maio suscitano qualche perplessità Se davvero la missione Ue vedrà le navi dispiegate di fronte alle coste orientali della Libia, quelle della Cirenaica e della Tripolitania Orientale (tra Sirte e il confine egiziano) si tratta di territori sotto il controllo del generale Haftar da cui non sono mai salpati migranti illegali.

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Al tempo stesso se la Ue crede di poter fermare così i flussi di armi diretti all’esercito Nazionale Libico (LNA) di Haftar rischia di incassare solenni delusioni poiché la gran parte degli aiuti militari arrivano da tempo per via aerea con decine e decine di voli dei super cargo Antonov e Iliyushin noleggiati dagli Emirati Arabi Uniti o attraverso il confine terrestre egiziano.

Altri mezzi e rifornimenti in arrivo via nave vengono sbarcati nel porto egiziano di Sidi el-Barrani, nei pressi del confine, e poi trasferiti su strada in Cirenaica.

L’idea sostenuta da Di Maio che in caso di aumento dei flussi di clandestini incoraggiati dalla presenza delle navi europee, la missione venga bloccata sembra quasi una barzelletta e la dice lunga circa la “ferrea determinazione” dell’Europa nell’esercitare il blocco alle forniture di armi alla Libia.

Grazie alle rivelazioni del ministro i contendenti libici e i loro sponsor sanno già che, qualora i controlli delle navi militari Ue ai mercantili carichi di armi dovessero creare qualche fastidio, basterà loro mettere in mare qualche centinaio di clandestini a bordo di gommoni o barconi per far scomparire dall’orizzonte le flotte dell’Europa.

@GianandreaGaian

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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