La crisi dei migranti tra Grecia e Turchia è anche affar nostro

L’anno 2020 non smentisce i detti popolari in fatto di eventi negativi registrati negli anni bisestili. Se tutto ruota attorno alla diffusione del Coronavirus nell’anno bisestile, si tende a informare poco su quello che accade al confine sud dell’Europa, fra Grecia e Turchia, sul ricatto del “sultano” turco Erdogan all’Europa, a Grecia, Cipro, Italia e Bulgaria.

Gli incontri dei ministri degli interni e degli esteri UE a inizio marzo, e infine il confronto fra il presidente turco Erdogan e i vertici delle istituzioni Europee e NATO del 9 Marzo, hanno partorito più chiacchere e topolini che azioni concrete tali da spaventare, almeno frenare le mosse del presidente turco.

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Alle dichiarazioni solenni dei giorni di crisi più acuta sull’unità dell’UE nella difesa dei confini Sud, sul non consentire ulteriori sconfinamenti di migranti, sul sostegno alla Grecia, (lasciata operativamente sola come lo fu l’Italia), la Turchia aveva prontamente contrapposto, con arroganza pari all’impunità, che le frontiere turche sarebbero rimaste aperte per tutti coloro che intendevano fuggire dalla Siria.

Inclusi, pakistani, indiani, afghani, iracheni, cingalesi, salafiti, jihadisti e altro che nulla avrebbero a che fare con le vere vittime siriane del conflitto innescato proprio dalle mire espansionistiche turche, dall’avversione per il siriano Assad, sostenuto dai russi, divenuto ormai baluardo contro la peggiore feccia del terrorismo finanziato anche dai turchi, e ostacolo per il colpo finale da impartire ai curdi.

Giornate di crisi vera in cui si è sfiorato un conflitto armato senza precedenti recenti fra due Paesi membri della Nato. Il Presidente turco dopo aver inviato anche le forze speciali al confine per agevolare lo sconfinamento dei migranti è stato probabilmente richiamato a mitigare la sua strategia anti UE da Russia e Stati Uniti, entrambi interessati, da punti di vista diversi, a sostenere più che inimicarsi il “sultano”.

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Fra dichiarazioni roboanti delle istituzioni UE a sostegno della Grecia, non seguite da atti concreti se non la solita gestione burocratico-finanziaria affidata a Frontex e alla Commissione per i fondi da stanziare, e le ritorsioni turche, si è così giunti al confronto diretto del 9 Marzo.

Nessun accordo concluso se non che le parti proseguiranno il dialogo. La Turchia non agevolerebbe più la fuoriuscita dei profughi, pur senza fornire garanzie che ciò non avvenga in seguito.

La UE da parte sua valuterà se continuare, con impegno reciproco delle parti, nell’attuazione dell’accordo da oltre 6 miliardi di euro versati alla Turchia per assistere in territorio turco rifugiati siriani e migranti provenienti dalla Siria. Tale accordo con gli ultimi avvenimenti è stato clamorosamente disatteso dalla stessa Turchia per battere ulteriormente cassa e per coinvolgere a suo favore UE e Nato nell’annoso conflitto siriano.

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La spaccatura fra Stati membri UE è avvenuta sulla richiesta di ulteriori fondi per la Turchia e sulla proposta di invio, simbolico ma rilevante dati gli eventi, di forze di sicurezza e polizia europee a sostegno della tutela del confine Sud e della Grecia.

Alcuni Stai membri, in ordine sparso, hanno aderito ad inviare sostegni bilateralmente in aggiunta alle quote di polizia di frontiera internazionale comprese nel supporto Ue Frontex.  La Germania ovviamente sarebbe propensa a trovare un nuovo accordo con la Turchia per proteggere più che altro i suoi confini, mentre altri Stati per ora restano contrari.

In conclusione di incontri non concludenti, le solite dichiarazioni ambigue, immediatamente fatte proprie da una sommessa Italia, recitate dalla nuova presidente della Commissione UE la tedesca Von der Leyen.

Un nano politico, altra imposizione della Merkel, che dichiara di aver messo alle strette il presidente turco nei colloqui, riconoscendone tuttavia le difficoltà supplementari nel mantenere l’accordo sottoscritto con l’UE, su spinta tedesca, lasciando quindi presagire un nuovo accordo favorevole alle pretese turche.

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Nulla è emerso con chiarezza sulle responsabilità, quelle si chiare, di una strategia ricattatoria messa in atto dal nuovo espansionismo ottomano.

Nuovi fondi, nuovo accordo doganale a vantaggio della Turchia e della Repubblica turca di Cipro Nord attualmente non riconosciuta se non dalla Turchia, meno restrizioni per i turchi nell’area Ue sono le richieste non da poco messe sul piatto.

Espansionismo, forzature, ricatti in politica estera e propaganda nazionalistica funzionali ad attenuare le difficoltà del sultano sul fronte interno non più granitico come un tempo.  E l’Italia ha per caso ventilato un richiamo forte, determinato e dissuasivo, ad esempio garantendo qualche motovedetta di pattugliamento, a sostegno del vicino greco e dei suoi stessi interessi nello sfruttamento della Zona Economica Esclusiva (ZEE) marina minacciati concretamente dai turchi con atti e accordi ostili siglati unilateralmente con la Libia?

Un memorandum che prevede l’allargamento della ZEE libica e ricerca e sfruttamento da parte dei turchi delle risorse sottomarine di gas e petrolio in pieno contrasto con Italia, Grecia, Cipro e con l’ENI aggiudicataria di ampie porzioni di tali ricerche.

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Durante la riunione straordinaria dei Ministri degli interni UE, la ministra degli Interni italiana, a nome del governo, ha prospettato piuttosto, in aggiunta alla quota italiana della missione Frontex, un sostegno bilaterale burocratico.

Unità della Polizia di Stato per aiutare i greci nel disbrigo delle pratiche di asilo o protezione qualora si aggravasse ulteriormente lo sconfinamento alla frontiera greco-turca.

In un solo colpo evitando di “irritare” troppo gli amici turchi, non attuando alcuna azione dissuasiva, pur nel rispetto degli alleati NATO, riusciremo probabilmente a perdere ulteriore credibilità in Libia, con i turchi stessi, e nel Mediterraneo, a non tutelare i nostri interessi nazionali oltre infine a deludere ancora Grecia e Cipro che si sarebbero aspettati un sostegno non solo a parole del forte, sulla carta, alleato italiano.

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Non a caso Atene e Nicosia hanno già fatto ricorso alla più affidabile e lontana Francia pur manifestando le solite convergenze di facciata con il vicino italiano.

E dire che dal fronte NATO il segretario generale Jens Stoltenberg nei colloqui a Bruxelles con Erdogan non ha certo assecondato le richieste turche contribuendo in tal modo almeno a non allentare le difficoltà interne del presidentissimo turco.

Nell’anno bisestile accanto all’emergenza Coronavirus converrebbe preoccuparsi anche delle emergenze di politica estera a due passi dalle nostre coste, assumendo eventualmente decisioni finalmente chiare e determinate. Non dovrebbe costituire un problema insormontabile per una media potenza come l’Italia gestire più tavoli di crisi sempre che si sia dotati di volontà, strategie non solo emergenziali, competenze e autorevolezza nel farsi rispettare.

 

E' uno dei maggiori esperti italiani di operazioni internazionali di stabilizzazione, peacebuilding, cooperazione e comunicazione nelle aree di crisi. Dagli anni 80 ha ricoperto incarichi di responsabilità crescenti per l’Onu, la UE e il Ministero degli Esteri in Africa (13 anni), Medio Oriente e Balcani. Specialista di negoziati complessi, è stato Sindaco Onu in Kosovo della città mista di Kosovo Polje dal 1999 al 2001, ha guidato, primo non americano, il PRT di Nassiriyah in Iraq nel 2006 ed è stato Portavoce e Capo della comunicazione della missione europea di assistenza antiterrorismo EUCAP Sahel Niger fino al 2016. Destinatario di un’alta onorificenza presidenziale Senegalese, per l’editore Fermento ha scritto "Alla periferia del Mondo". Scrive su riviste specializzate ed è un apprezzato commentatore per radio e tv.

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