L’indifferibile necessità di una politica adeguata a uno scenario di guerra

Rispetto ai sempre più complessi problemi del paese, l’inadeguatezza della classe dirigente politica italiana era già purtroppo di quotidiana evidenza assai prima del coronavirus. Ora che siamo sul punto di subire un vero e proprio tracollo, corriamo il rischio di pagare un prezzo altissimo all’inanità dell’attuale dirigenza ed alla nostra incapacità di accantonare visuali di mera bottega e di selezionare un Parlamento ed un Governo radicalmente diversi dagli attuali.

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Siamo al punto che su di essi ha ora notevole influenza perfino un comico, rispettabilissimo ed anche apprezzabile nella sua professionalità, ma dotato di strumenti culturali almeno impropri, rispetto alle competenze richieste da questo difficilissimo frangente della storia nazionale.

Costui peraltro non sfigura, sia rispetto a taluni degli attuali politici che certi strumenti dovrebbero possederli, almeno in correlazione ai titoli accademici che accampano o per il lungo albergare nei più vari meandri delle istituzioni o della burocrazia; sia a confronto di talaltri rappresentanti del popolo, formalmente legittimi ma chiamati alle assemblee legislative ed agli esecutivi nazionali e regionali in circostanze difficilmente ripetibili.

Nulla fa purtroppo sperare che non sarà lo scomposto e supponente Governo attuale a tenere il timone della barca, in questo mare forza 10. A fronte di uno scenario che nella prospettiva peggiore potrebbe portare ad un regresso della dimensione di una sconfitta bellica, con insicurezza sanitaria diffusa, economia a pezzi, crollo del lavoro e dei redditi, sfascio della finanza pubblica, licenziamenti e disoccupazione, conflittualità sociale esasperata, crisi dell’ordine pubblico, rischi di eversione.

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Peraltro in un’area mediterranea caratterizzata da conflitti e movimenti migratori di notevole impatto e potenzialmente esplosivi.

Siamo prossimi ad una condizione di guerra senza movimento di truppe o di dichiarazioni di belligeranza, anche se ogni Stato, sulla scena internazionale, di sicuro non rinuncerà a far valere il proprio interesse nazionale: specie su scala europea, sebbene la crisi sanitaria ed i suoi effetti economici siano reali e nefasti per tutti, si è ottusamente ben lungi da obiettivi di coesione e sicurezza a livello sovranazionale.

In questa situazione, che si delinea sempre più eccezionale, neanche il quadro normativo rende disponibili strumenti decisionali pertinenti. Non è difatti possibile ricorrere, da parte del Parlamento, alla dichiarazione dello stato di guerra con attribuzione al Governo, come previsto dalla Costituzione, dei necessari poteri: manca il presupposto dello scontro militare. Ma nemmeno una mera dichiarazione di stato di emergenza, come stabilisce la legge sulla protezione civile, appare al riguardo atto sufficiente: tanto sono importanti i valori ed i beni in discussione ed in pericolo.

L’urgenza è allora quella di decisioni politiche forti per affrontare la grave crisi che si profila a livello sociale ed economico. Decisioni che possono essere credibili solo se assunte e sostenute da organi politici autorevoli e largamente rappresentativi.

Il pensiero corre a precedenti storici emblematici. Nel giugno del 1944 tutti i partiti del CLN furono chiamati a far parte del II° Governo Bonomi per poter gettare la basi della rinascita democratica, alla vigilia dell’ormai inevitabile sconfitta del nazifascismo.

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Il rapimento di Aldo Moro e l’uccisione dell’intera scorta condussero, nel marzo del 1978, al governo di solidarietà nazionale: il ministero, presieduto da Giulio Andreotti ed a totale composizione democristiana, ottenne la fiducia di gran parte delle forze politiche presenti in Parlamento, affrontò il periodo più cruento e difficile dell’offensiva terroristica scegliendo una linea di rigore e di fermezza, rimase in carica  fino al maturare delle condizioni per la ripresa di una dialettica politica più agibile ed articolata, il cui passaggio indispensabile fu lo scioglimento delle camere.

Guerra e terrorismo, momenti tragici e difficili, ma classi politiche di indubbio spessore, che furono all’altezza della prova, condividendo responsabilità e misure in modo sostanziale e non di facciata, nel superiore interesse della collettività. A quella maniera si rappresentavano i cittadini e la nazione con una brutale guerra civile ancora in corso o con le Brigate Rosse che attentavano alla vita ed alle istituzioni.

È forse troppo pretendere che si torni a quelle categorie dell’impegno politico? Non lo è. Ed ogni giorno che l’Italia tarda a rimettersi su quella strada si traduce in primis in un’ulteriore ed irreparabile delegittimazione della politica e delle istituzioni.

Foto: Governo.it

 

Carlo CorbinelliVedi tutti gli articoli

Nato a Tavarnelle Val di Pesa (FI) nel 1955, è laureato in Scienze Politiche presso la Facoltà "Cesare Alfieri" dell'Università di Firenze ed in Scienze della Sicurezza presso l'Ateneo di Tor Vergata. Ha conseguito vari diplomi post-universitari nel campo delle relazioni internazionali e della tecnica legislativa. Ha prestato per 36 anni servizio quale ufficiale dei Carabinieri, con incarichi in Italia e all'estero in tutti i settori di competenza dell'Arma. Da Colonnello ha retto la Segreteria del Sottosegretario alla Difesa, Il Comando Provinciale di Perugia ed il 2° Reggimento Allievi Marescialli di Firenze. Nella riserva dal marzo 2015, svolge attività di consulente in qualità di esperto di "Security". Collabora con il Centro di Studi Strategici Internazionali ed Imprenditoriali dell'Università di Firenze.

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