SPECIALE AFRICA – Contractors contro jihadisti in Mozambico
ubblichiamo il quarto articolo dello SPECIALE AFRICA che accompagnerà i lettori di Analisi Difesa per tutto il mese di giugno. Qui sotto i link ai primi due articoli già on line.
Il lento declino del Sudafrica
L’Esercito del Mali riceve in dono altri veicoli
La morte di Droukdel e il punto sull’Operazione Barkhane
La scoperta di grandissimi giacimenti di gas naturale a largo delle coste della provincia di Cabo Delgado, Mozambico ha attirato nel Paese diverse compagnie petrolifere e gasifere con miliardi di dollari di investimenti.
Invece di portare prosperità e benessere, ciò ha ulteriormente esacerbato gli animi di una popolazione esclusa socio-economicamente e danneggiata dai ricollocamenti. Dal 2017, in una situazione già esplosiva, ha trovato spazio anche una sanguinosa insurrezione jihadista che ha bersagliato prevalentemente i civili e ha rallentato i progetti energetici.
Vista l’incapacità delle sole forze armate di stabilizzare la situazione, il Governo si è rivolto a tutta una serie di compagnie militari e di sicurezza private che, prima di ingaggiare gli insorti, si sono date battaglie a suon di proposte, offerte e sotterfugi per sbaragliare la concorrenza ed accaparrarsi i contratti.
Una situazione “esplosiva”
Dopo che Anadarko (nel 2010) ed ENI (nel 2011) hanno scoperto ingenti riserve gasifere al largo del Mozambico settentrionale, molte altre compagnie energetiche le hanno raggiunte: Total, ExxonMobil, BP, Shell e China National Petroleum Corporation (CNPC).
La provincia di Cabo Delgado è così diventata la sede dei tre più grandi progetti africani per la liquefazione del gas naturale: il Mozambique LNG Project del valore di 20 miliardi di dollari, il Coral FLNG Project di 4,7 miliardi ed il Rovuma LNG Project di addirittura 30 miliardi.
Tuttavia, per la provincia a maggioranza musulmana, tra le più povere e meno sviluppate del Paese, sono arrivati solamente guai. Oltre 550 famiglie dovranno, infatti essere trasferite mentre altre 952 perderanno le proprie terre; 3.000 invece i pescatori che non avranno più accesso alle proprie zone di pesca.
Pur essendosi impegnate a farsi carico delle operazioni di ricollocamento e a corrispondere risarcimenti, nulla o poco è stato fatto dalle compagnie energetiche. Indennizzi insufficienti, terreni agricoli redistribuiti troppo lontano o a ridosso di altre comunità generando ulteriori tensioni, famiglie di pescatori ricollocate a più di 10 chilometri dal mare e le prime esplorazioni marittime hanno già danneggiato le risorse ittiche.
I posti di lavoro promessi non sono arrivati e le autorità locali hanno reagito minacciando gli abitanti ed arrestando i giornalisti che cercavano di raccontare la situazione. Il tutto in una regione già duramente colpita tra marzo ed aprile del 2019 dai cicloni Idai e Kenneth, tra i più forti che abbiano mai colpito l’Africa.
Insorgenza
Come se non bastasse, dal 2017 un’insorgenza locale ha disseminato morte e distruzione nel nord del Paese: più di 1.100 tra civili e militari uccisi, 200.000 sfollati, decapitazioni, rapimenti di massa ed interi villaggi e città messi a ferro e fuoco.
Descritti inizialmente come criminali comuni armati di machete, gli insorti sono diventati sempre più potenti e raffinati negli armamenti, equipaggiamenti, tattiche ed obiettivi. Sono ormai in grado di condurre attacchi multipli e ben coordinati contro convogli militari, stazioni di polizia ed altre installazioni governative, utilizzando anche droni. Da quando l’Esercito ha iniziato seriamente a combatterli, hanno intensificato le rappresaglie contro i civili.
Responsabili e scopo degli attacchi sono rimasti a lungo avvolti nel mistero, salvo poi uscire recentemente allo scoperto.
Si tratterebbe del gruppo islamista Ahlu Sunnah Wa-Jama (ASWJ) che ha formato proprie cellule militari nel 2015, con personale addestrato sia localmente (da disertori di polizia ed esercito), sia in Paesi confinanti come Tanzania, Kenya, Repubblica Democratica del Congo ed altri della regione dei Grandi Laghi.
Conosciuti anche come al-Sunna ed al-Shabab – senza apparenti collegamenti con il più noto gruppo somalo – gli insorti di ASWJ si sarebbero uniti allo Stato Islamico attraverso la sua Provincia in Africa Centrale (IS-CAP) con l’obiettivo di trasformare Cabo Delgado, in mano ad un governo ingiusto e di miscredenti, in un Califfato.
Tuttavia, gli analisti dubitano che la religione sia la motivazione principale delle violenze e che, piuttosto, vi sia tutta una serie di altri fattori come il risentimento per la condizione di arretratezza della regione, disoccupazione, esclusione socio-economica, divisioni tribali e traffici illegali (eroina, rubini, legno e avorio).
Così come molteplici sono stati definiti i gruppi attivi tra cui il crimine organizzato, gangs di indigenti, disertori e perfino funzionari governativi corrotti intenzionati a mantenere il controllo su attività illecite.
Una mancanza generalizzata di informazioni – complice anche il Governo che ha arrestato e messo il bavaglio a numerosi giornalisti – ha aperto la strada anche a teorie del complotto che vedrebbero il coinvolgimento delle multinazionali energetiche – “risparmiate” dagli attacchi e “beneficiate” dall’accanimento degli insorti verso quelle comunità che si erano opposte ai ricollocamenti – e le compagnie militari e di sicurezza private che starebbero esacerbando le tensioni per ottenere i contratti per la sicurezza.
In questi mesi il Governo si è visto costretto a mobilitare un robusto dispositivo militare che, tuttavia, ha ulteriormente messo in pericolo la popolazione e ottenuto scarsi risultati. Le Nazioni Unite hanno, infatti dichiarato che le attività degli insorti sono notevolmente aumentate nel 2020: almeno 28 attacchi tra gennaio e febbraio.
A marzo hanno attaccato le principali città della provincia uccidendo o mettendo in fuga le forze di sicurezza, conquistando infrastrutture, edifici governativi ed issandovi le bandiere nere dell’ISIS. Stavolta, in quella che è apparsa come un’inversione di tendenza, hanno optato per la conquista di cuori e menti dei civili: invece di ucciderli hanno distribuito loro cibo e denaro.
Al recente attacco alla cittadina di Macomia, avvenuto il 28 maggio, il Governo ha risposto con un’operazione in cui sono stati uccisi 78 jihadisti, tra cui due leaders di spicco dell’organizzazione, segnando probabilmente il più importante risultato finora conseguito dal 2017.
Arrivano i russi!
Nell’agosto 2019 il presidente del Mozambico, Filipe Nyusi si è recato a Sochi, da Vladimir Putin per firmare diversi accordi commerciali, energetici e tutta una serie di cooperazioni ed aiuti militari, in particolare uomini ed equipaggiamenti.
Il 13 settembre un Antonov An-124 con a bordo i primi 160 contractors del Gruppo Wagner è atterrato all’aeroporto di Nacala. Il 25 settembre un secondo An-124 ha portato nel Paese armamenti pesanti, munizioni, elicotteri, droni ed altri equipaggiamenti militari. Almeno uno degli Antonov apparteneva al 224° Distaccamento Aereo dell’Aeronautica russa, un’unità simile al 223° con cui il Ministero della Difesa russo ha messo a disposizione i propri aerei cargo ad una società di Yevgeny Prigozhin, patron del Gruppo Wagner.
Oltre 200 contractors con 3 elicotteri di attacco e trasporto Mi-171 SCH e relativi equipaggi sarebbero, così stati dispiegati in tre caserme nei distretti di Nampula, Mueda e Macomia.
Una missione la loro – affiancare le Forze Armate di Difesa del Mozambico o FADM nella neutralizzazione dell’insorgenza a Cabo Delgado – che, iniziata il 5 ottobre con diversi successi, è risultata ben presto molto più complessa e dolorosa del previsto.
Gli insorti, infatti hanno contrattaccato colpendo due delle tre basi in cui erano presenti i contractors, uccidendone tre. Addirittura, in una di esse – quella di Mitope, Nampula – sono riusciti ad infiltrarsi indossando uniformi dell’Esercito.
Successivamente, due uomini della Wagner sarebbero morti in un’imboscata il 10 ottobre ed altri cinque il 27 dello stesso mese: di questi, quattro sarebbero stati anche decapitati, mentre il quinto è spirato in ospedale. Nell’ultimo attacco, in cui sono caduti anche 20 soldati mozambicani e sono stati distrutti tre veicoli militari, si sono verificate diverse morti per fuoco amico.
Questi incidenti ed altri fallimenti sul campo secondo alcune voci avrebbero generato tensioni tali da portare all’interruzione delle pattuglie congiunte tra russi e FADM e, addirittura, al ritiro dell’intero contingente della Wagner dal Paese.
In realtà, dopo 10 morti e 25 feriti in così breve tempo, avrebbe avuto luogo solamente un temporaneo ripiegamento dei russi nella città portuale di Nacala, per riorganizzarsi.
Dei 203 contractors iniziali, 54-58 sarebbero stati rimpiazzati da altri 28-38 perché non riuscivano a sopportare le condizioni climatiche ed ambientali.
Mentre per qualcuno il Gruppo Wagner sarebbe presente in Mozambico solo per la sicurezza personale del presidente Nyusi, senza aver mai preso parte a scontri con gli insorti, i corpi dei contractors caduti avrebbero iniziato a rientrare in Russia a fine novembre. Il tutto secondo un iter ormai consolidato che prevede incentivi economici o intimidazioni ai familiari per assicurare la massima riservatezza.
Concorrenza tra contractors
La scontro con gli insorti in Mozambico è stato preceduto da un’aspra concorrenza tra diverse compagnie militari e di sicurezza private per accaparrarsi il contratto governativo. Tra queste la OAM di John Gartner, ex operatore delle forze speciali rhodesiane che aveva offerto l’invio di 50 uomini al costo mensile di 15.000-25.000 dollari ciascuno e la Black Hawk di Dolf Dorfling, ex colonnello dell’Esercito sudafricano.
Le due società, tra le molte PMSC che operano nell’Africa sub-sahariana, devono la loro nascita e sviluppo alla fine dell’apartheid in Sudafrica e alla conseguente smobilitazione di soldati professionisti ansiosi di ritornare in azione. Molti, infatti hanno tra i 55 e 65 anni e tutte le conoscenze ed esperienza necessarie ad operare efficacemente sul campo.
Tuttavia, è stato il Gruppo Wagner a spuntarla su tutte le altre compagnie. La OAM e la Black Hawk non potevano competere né in termini di costi (quelli della Wagner si aggirerebbero tra i 1.800 e i 4.700 dollari al mese per un semplice operatore) né per i contatti politici di primo livello di cui gode la società di Prigozhin.
Secondo l’esperto di politica russa (e grande critico di Putin) Mark Galeotti, infatti il Gruppo Wagner “[…] fa parte di un pacchetto di supporto-regimi che include tutta una serie di servizi e tecnologie politiche con le quali la Russia, in questo caso, avrebbe influenzato l’esito delle elezioni del 15 ottobre in Mozambico. Il presidente Nyusi, per “riconoscenza,” avrebbe quindi affidato il contratto alla Wagner.
Da parte russa, i competitors africani hanno rilevato un’evidente sottovalutazione del lavoro, una mancanza di intelligence, addestramento e di conoscenza del Mozambico; sia della sua politica che del suo territorio. Tra i più critici il sudafricano Eeben Barlow, proprietario della STTEP e fondatore della più nota ex compagnia militare privata, Executive Outcomes. Secondo Barlow il tentativo di questi combattenti stranieri di “applicare un approccio strategico europeo o russo ad un conflitto africano è il preludio di un disastro.”
E sottolinea come il bush – la boscaglia – in cui sono stati chiamati ad operare abbia neutralizzato il loro vantaggio tecnologico. A detta dei concorrenti, una volta che il Governo mozambicano avrà capito che i contractors russi non sono in grado di portare a termine il lavoro da soli, tornerà a rivolgersi alle PMSC locali. La Wagner, infatti avrebbe già iniziato a guardarsi attorno per recuperare expertise militare locale.
I sudafricani
Nella prima settimana di aprile elicotteri della società sudafricana DAG – Dyck Advisory Group – hanno ripetutamente colpito basi dei jihadisti di ASWJ, in risposta all’intensificarsi dei loro attacchi nella provincia di Cabo Delgado.
Gli obiettivi sono stati raggiunti e, senza dover impiegare per il momento truppe di terra, numerosi insorti sono stati uccisi: il bilancio totale delle operazioni di marzo parla di 129. Agli attacchi avrebbero partecipato 3 elicotteri — un Gazelle, un Bell UH I “Huey” e un Bell 406 Long Ranger – che si sono poi aggiunti ad un altro Gazelle e a due aerei – un Diamond DA42 ed un Cessna Caravan – schierati alla basa navale di Pemba.
Uno degli elicotteri, impegnato a respingere un attacco all’isola di Quirimba, sarebbe stato costretto ad un atterraggio d’emergenza a causa del fuoco di armi leggere. L’equipaggio è sopravvissuto e, prima di essere evacuato, ha distrutto il velivolo per evitare che finisse in mani nemiche. Altri, invece parlano di un’avaria meccanica durante un trasferimento di funzionari di polizia ad un meeting. Comunque siano andate le cose, i rottami del Gazelle sono stati utilizzati dagli insorti a fini propagandistici.
La DAG, società dalla lunga esperienza nella gestione di operazioni di sminamento, esplosivi, servizi di sicurezza specializzati, attività cinofile e di antibracconaggio, è di proprietà di Lionel Dyck, ex colonnello vicino al presidente zimbabwiano, Emmerson Mnangagwa.
A tal proposito il segretario generale del Partito del Popolo dello Zimbabwe (ZPP), Lloyd Msipa ha twittato che il presidente Mnangagwa, dopo essersi incontrato con Lionel Dyck, avrebbe deciso di inviare le proprie truppe in Mozambico, per sostenere lo sforzo contro gli insorti in cambio di una percentuale sugli introiti delle attività estrattive.
Dicerie sementite dal Governo di Harare che ha dichiarato di non avere truppe in Mozambico e nemmeno di esser intenzionato a schierarle; perlomeno al di fuori delle organizzazioni internazionali di cui lo Zimbabwe è parte.
Altre voci sugli elicotteri sudafricani – la cui nazionalità è dimostrata dai codici di registrazione sulla fusoliera – li vorrebbero di proprietà della società emiratina di Erik Prince, Lancaster Six Group (L6G) per quanto riguarda i Gazelle e delle Umbra Aviation e Ultimate Air per gli Huey, Cessna Caravan e Diamond DA42.
Così come altri sostengono che a bordo, invece di uomini di Dyck, vi fossero quelli della Wagner. Elicotteri che sarebbero entrati in azione anche a fine maggio, per colpire i jihadisti a Macomia.
Erik Prince e le sue joint ventures
Il Mozambico rientra ormai da qualche anno nei progetti di Erik Prince e, giacimenti di gas a parte, anche le sue acque territoriali risultano di vitale importanza. Le risorse ittiche, tra le maggiori al mondo, sono sempre state sfruttate illegalmente, sia da organizzazioni criminali che da società legali che si sono approfittate dell’assenza di controlli. Per non parlare della mancata riscossione dei diritti di transito del traffico marittimo da e per il Golfo persico, Oceano Indiano e capo di Buona Speranza.
Per risolvere questa situazione, uno studio richiesto dall’allora presidente Armando Guebuza ha proposto l’adozione di misure di monitoraggio e protezione delle acque territoriali, sviluppo di un’industria della pesca nazionale e strutture per una cantieristica navale interna.
Concretamente, è stata creata la ProIndicus, compagnia di sicurezza nazionale che, attraverso motovedette, pattugliatori d’altura, aerei leggeri e tutta una serie di equipaggiamenti di sorveglianza e comunicazione satellitare avrebbe dovuto ristabilire il controllo della costa ed acque territoriali.
Con la fondazione di Ematum e l’impiego di 24 pescherecci, poi si sarebbero dovute gettare le basi per un settore nazionale della pesca, così come fondando la MAM (Mozambique Asset Management), riparare e manutenere le flotte delle altre due società e, in futuro, realizzare navi ex novo.
Tra il 2013 e il 2014 funzionari governativi e dell’intelligence del Mozambico hanno così segretamente ottenuto prestiti per 2 miliardi di dollari da banche straniere: la VTB Bank russa e la svizzera Credit Suisse. Denaro che avrebbero restituito grazie agli introiti dello sfruttamento dei giacimenti di gas naturale.
Nel marzo 2016, non essendosi concretizzate le entrate del settore energetico, i pescherecci di Ematum sono rimasti bloccati in porto e ProIndicus e MAM non sono riuscite a pagare gli stipendi dei propri dipendenti; tutte e tre le società sono finite in bancarotta.
Dalla vicenda non solo è emersa l’incapacità del Governo del Mozambico di onorare i propri debiti, ma che essi ammontavano a 1,2 miliardi di dollari in più degli 850 milioni noti al Parlamento e autorizzati per l’acquisto dei 24 pescherecci.
I prestiti “occulti,” invece sono stati utilizzati per l’acquisto di 6 navi militari, droni ed equipaggiamenti per la ProIndicus. Il Fondo Monetario Internazionale ha sospeso il proprio programma di aiuti al Mozambico, così come 14 finanziatori che avevano fornito supporto diretto al budget statale. E’ con il Paese in ginocchio che Erik Prince e la Frontier Services Group sono arrivati in soccorso, impegnandosi a farsi carico dei 2 miliardi di dollari di debito.
Tra la fine del 2017 e i primi mesi del 2018 Prince ha creato una joint venture con Ematum, rinominandola Tunamar e cercando di sviluppare e migliorare le capacità di pesca in maniera sostenibile, etica e professionale: un trampolino di lancio per entrare nel settore della sicurezza marittima, soprattutto nel bacino di Rovuma dove operano le principali compagnie energetiche.
Per fare ciò ha creato anche una joint venture tra ProIndicus e la sua Lancaster 6 Group, chiamandola Pro6 e si è proposto per la fornitura di servizi di sicurezza ed intelligence nella regione, sia agli impianti del settore del gas e del petrolio che ai mercantili transitanti nelle acque territoriali minacciati dalla pirateria.
Questo grazie alla flotta di Pro6: tre catamarani ad alta velocità e tre trimarani armati con cannoni e mitragliatrici pesanti, con gommoni al seguito utilizzabili per infiltrare operatori o abbordare navi.
Nonostante dichiarazioni sbandierate su contratti in essere con diverse importanti società come Exxonmobil, Eni e Vale, nessuna di esse si è mai servita o ha preso contatto con la ProIndicus o Pro6. Per quanto riguarda l’insorgenza jihadista, nel novembre 2018 l’Institute for Security Studies ha riportato la notizia che il Governo del Mozambico era sul punto di firmare un contratto con Erik Prince per porvi fine entro 90 giorni.
Un piano da 750 milioni di dollari di cui il fondatore della Blackwater si sarebbe sobbarcato l’80% dei costi, in cambio di una considerevole fetta dei ricavi delle estrazioni minerarie, petrolifere e gasifere nella regione: attività che dovrebbero iniziare nel 2023.
Escluso dal contratto, che alla fine è stato aggiudicato al Gruppo Wagner, Erik Prince avrebbe comunque offerto alla PMC russa i suoi uomini per operazioni in Libia e Mozambico.
Pur con il rifiuto della Wagner, tale proposta, così come i semplici contatti intercorsi potrebbero avere serie ripercussioni legali per Prince. Dal 2017, infatti il Gruppo Wagner e Dmitry Utkin, suo fondatore sono stati sottoposti a sanzioni dall’Amministrazione Trump per aver reclutato e inviato uomini a combattere in Ucraina. E’ pertanto vietato dagli USA a società e ad individui fornire qualunque supporto di tipo finanziario, materiale o tecnologico.
Qualche considerazione
Gli attacchi degli insorti, oltre all’elevato numero di vittime, stanno destando sempre più preoccupazioni alle compagnie petrolifere e gasifere che richiedono garanzie di sicurezza e stabilità per le proprie infrastrutture.
Data l’incapacità delle Forze Armate nel contrastare la guerriglia jihadista, il Mozambico ha dovuto ricorrere a soluzioni militari alternative, rivolgendosi a tutta una serie di compagnie militari e di sicurezza private.
In tempi non lontani – in Africa in primis – queste realtà si sono dimostrate molto efficaci sul piano militare (Executive Outcomes contro UNITA in Angola e RUF in Sierra Leone; STTEP contro Boko Haram in Nigeria), tuttavia, dovrebbero essere considerate per quello che, sostanzialmente sono: uno strumento d’emergenza di breve periodo.
Esauriti infatti quelli che possono essere considerati i loro effetti positivi quali il superamento dell’immobilismo della comunità internazionale – specialmente dinnanzi a genocidi come quello in Rwanda – e di una rapida e non sempre indolore sconfitta del nemico restano da affrontare problemi come l’adeguata supervisione, il rispetto dei diritti umani e, soprattutto, quelle root causes alla base dei vari conflitti.
Pena una ripresa ed un loro perdurare nel tempo (Sierra Leone e Nigeria quando le PMSC se ne sono andate).
Il settore energetico potrebbe rappresentare una svolta per l’economia dell’intero Paese e la vera sconfitta dei jihadisti può avvenire solo superando l’esclusione socio-economica, il risentimento, la corruzione e la repressione che affliggono la popolazione ed alimentano l’insorgenza.
In un clima di informazioni confuse e frammentarie, dati gli enormi interessi economici in gioco, l’unica certezza pare essere un ruolo determinante per le PMSC nella protezione degli impianti di estrazione e liquefazione ben oltre il 2023; anno stimato per il loro funzionamento a pieno regime.
Foto: TASS, Amaq, Twitter, AFP, FADM e ASWJ
Pietro OrizioVedi tutti gli articoli
Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.