Washington cerca basi per i missili a raggio intermedio da schierare in Asia
Il governatore di Okinawa, isola giapponese su cui il Pentagono starebbe pensando di installare missili in grado di minacciare la Cina, non sarebbe favorevole a tale operazione. Il governatore, Denny Tamaki, è stato eletto due anni fa dopo essersi impegnato contro l’espansione della presenza militare degli Stati Uniti sull’isola.
Più della metà dei 50.000 militari statunitensi di stanza in Giappone si trovano ad Okinawa, la maggior parte concentrati in una base navale circondata da aree residenziali della più grande città dell’isola. L’opposizione alla presenza militare americana per anni ha infiammato le proteste locali, che probabilmente tornerebbero ad intensificarsi se vi fosse un dispiegamento di missili sull’isola.
Al Pentagono sono determinati nel portare avanti il progetto, dopo che l’amministrazione Trump si è ritirata lo scorso anno dal Trattato INF firmato con la Russia e durato 33 anni, sul controllo degli armamenti che vietava agli USA di schierare missili (balistici o da crociera) terrestri a raggio intermedio in Asia.
Funzionari di alto livello affermano che installare di missili da crociera con testate convenzionali in Asia (come i nuovi Tomahawk lanciabili daIla versione terrestre dei lanciatori Mk41 impiegati sulle navi), cambierebbe rapidamente l’equilibrio di potere nel Pacifico occidentale a favore degli Stati Uniti. Ci sono crescenti preoccupazioni da parte del Pentagono che l’espansione in atto dell’arsenale di missili a raggio intermedio cinesi in grado di minacciare le basi statunitensi nella regione.
Il piano missilistico è il fulcro di un pianificato build-up militare statunitense in Asia, progetto che ha preso forma nell’estate 2019 e che evidenzia anche la complessa relazione tra gli Stati Uniti e i suoi alleati asiatici, molti dei quali si sentono sempre più minacciati dalla Cina, ma sono riluttanti a sostenere nuove misure militari statunitensi che potrebbero provocare Pechino.
Come ha ricordato recentemente anche un articolo del Nodo di Gordio, le forze militari cinesi restano le più numerose del mondo e negli ultimi anni hanno notevolmente potenziato le capacità aeree, navali e missilistiche.
La Cina sostiene che l’aumento delle spese militari del 6,6% nel 2020 finanzia principalmente il miglioramento del trattamento del personale mentre gli analisti stranieri affermano che le spese effettive potrebbero essere molto più elevate perché molte voci di spesa non sono incluse nel bilancio ufficiale. Lo scorso anno le spese ufficiali per la Difesa avevano avuto un incremento del 7,5% raggiungendo 1,2 trilioni di yuan, 178 miliardi di dollari, ma alcuni esperti hanno stimato che la spesa reale per le forze armate abbia superato i 220 miliardi di dollari.
Secondo quanto riporta il Los Angeles Times, Australia e Filippine avrebbero escluso pubblicamente di voler ospitare missili americani quando l’amministrazione Trump ha lanciato l’idea per la prima volta l’anno scorso mentre anche la Corea del Sud potrebbe non offrire questa opportunità agli USA.
Secondo Star & Stripes, nell’ultimo anno, il Pentagono ha testato diversi nuovi tipi di missili a corto e medio raggio installati su piattaforme mobili terrestri (nella foto d’apertura) – capaci di colpire obiettivi fino a 3.400 miglia – dispiegabili a Guam o in altre isole.
La prima delle nuove armi potrebbe essere operativa entro due anni, sebbene non sia stata annunciata alcuna decisione su dove saranno installate a terra mentre missili da crociera sono ora in dotazione a navi da combattimento e aerei statunitensi con sede in Asia.
Funzionari statunitensi affermano che molti alleati appoggerebbero riservatamente il piano missilistico e potrebbero giungere alla decisione di autorizzarli sul loro territorio, ma non vogliono provocare Pechino e l’opposizione interna prima che le decisioni siano sul tavolo.
Gli Stati Uniti hanno un trattato di mutua difesa con Giappone, Corea del Sud, Filippine e l’Australia oltre a stretti rapporti militari con Taiwan. Washington, per ridurre l’opposizione politica, potrebbe ruotare le batterie mobili dei missili in diverse aree e in diversi Stati della regione o posizionarle in aree strategiche senza rivelarne la presenza in accordo con i governi locali.
Posizionare missili terrestri in Asia in grado di colpire la Cina non costituisce del resto una strategia nuova. Negli anni ’50 e ’60, gli Stati Uniti li tenevano nelle basi di tutta la regione, anche a Okinawa, dove centinaia di testate nucleari sono state tenute segretamente per decenni anche se la Costituzione giapponese ne proibiva la presenza sul proprio territorio.
I missili furono gradualmente messi fuori servizio negli anni ’60 e ’70, a causa di tagli di bilancio e a un cambiamento della strategia di difesa degli Stati Uniti. Nel 1987, l’Amministrazione Reagan firmò il Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) di controllo degli armamenti che proibiva agli Stati Uniti e all’Unione Sovietica di schierare missili terrestri a raggio intermedio, anche in Asia, in grado di colpire bersagli tra i 500 e 5500 chilometri di distanza dal punto di lancio.
La Cina non era firmataria, quindi libera di costruire il suo arsenale missilistico. Pechino può collocare sul proprio territorio missili a media gittata in grado di colpire gli alleati degli Stati Uniti nella regione, inclusa la base americana di Guam.
L’amministrazione Trump si è ritirata dal trattato lo scorso anno dopo aver accusato la Russia di sviluppare nuovi missili terrestri che violavano i suoi termini. L’uscita degli USA ha aperto la strada al Pentagono per prendere in considerazione la reintroduzione di missili terrestri in Asia con raggio d’azione compreso tra 500 e 5.500 chilometri.
Con i missili mobili nella regione, gli Stati Uniti potrebbero rappresentare una sfida ancora più grande per la Cina, costringendola a monitorare centinaia di lanciatori.
Le tensioni tra USA e Cina continuano a crescere a causa delle polemiche circa le responsabilità di Pechino nella diffusione dell’epidemia di Covid-19, la repressione di Pechino a Hong Kong, le manovre militari vicino a Taiwan, la disputa di confine con l’India e le pretese di estendere la sovranità di Pechino nel Mar Cinese Orientale e nel Mare Cinese meridionale.
Per quanto riguarda Hong Kong, Washington condanna la proposta del Congresso nazionale popolare della Repubblica popolare cinese (RPC) di imporre unilateralmente e arbitrariamente la legislazione sulla sicurezza nazionale.
Quasi un quarto del commercio mondiale viaggia attraverso il Mar Cinese Meridionale, rendendo la lotta tra Pechino e Washington, sul controllo delle sue rotte marittime e delle sue ricche risorse, particolarmente tesa.
La Marina degli Stati Uniti per decenni ha dominato la “prima catena di isole“, così definita dagli strateghi l’area del Pacifico occidentale che si estende dal Giappone a Taiwan e alle Filippine che rientravano nell’ambito della difesa americana dopo la seconda guerra mondiale.
Lo Stretto di Miyako e il Canale di Bashi sono posizionati lungo la “prima catena di isole”, che si estende dall’arcipelago giapponese attraverso Taiwan fino alle Filippine. L’Esercito popolare di liberazione (PLA) cinese negli ultimi anni ha aumentato il ritmo operativo delle esercitazioni militari attorno a due vie navigabili strategicamente cruciali – il Canale di Bashi e lo Stretto di Miyako – che proteggono l’uscita o l’ingresso nei mari della Cina.
I due bacini segnano il bordo di una catena di grandi arcipelaghi che racchiudono la costa dell’Asia orientale, a partire dalle Isole Curili al largo della costa del nord del Giappone fino a sud delle Filippine e del Borneo nell’estrema parte sud-occidentale dell’Oceano Pacifico.
Il Canale di Bashi, che collega il Mar Cinese Meridionale con l’Oceano Pacifico occidentale, corre tra l’isola settentrionale di Luzon, nelle Filippine, e l’isola taiwanese di Orchid. Lo stretto di Miyako corre tra le isole giapponesi di Miyako e Okinawa e offre un piccolo passaggio con acque e spazio aereo internazionali attraverso la zona economica esclusiva del Giappone. Entrambe le vie navigabili costituiscono l’ingresso principale per la Marina Cinese (PLAN) nell’Oceano Pacifico.
Funzionari e analisti affermano che la dipendenza americana da basi, navi da guerra e campi di aviazione nella regione è diventata sempre più a rischio. Secondo Collin Koh, ricercatore nel settore marittimo asiatico sicurezza presso la Rajatnam School of International Studies di Singapore, le forze cinesi possono proiettare una significativa potenza di fuoco su installazioni militari statunitensi e alleate nel Pacifico occidentale e “minacciare di sopraffare le” forze americane “in caso di conflitto armato”.
Le armi cinesi in molti casi hanno gittate che superano quelle che sono sulle navi da guerra statunitensi, sebbene gli Stati Uniti mantengano un vantaggio significativo nei sottomarini di attacco e in caccia e bombardieri avanzati armati con missili da crociera che possono essere lanciati da lunghe distanze.
Foto: US DoD, Peace Palace Library, Foreign Policy e Xinhua
Elvio RotondoVedi tutti gli articoli
Nato a Cassino nel 1961, militare in congedo, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali. Si occupa di Country Analysis. Autore del Blog 38esimoparallelo.com, collabora con il Think Tank internazionale “Il Nodo di Gordio”. Alcuni suoi articoli sono stati pubblicati su “Il Giornale.it", “Affari Internazionali”, “Geopolitical Review”, “L’Opinione”, “Geopolitica.info”.