Tanti dubbi nella vicenda delle “taglie” russe sui soldati alleati in Afghanistan

Lo scoop del New York Times ripreso dal Washington Post circa la determinazione di Mosca a finanziare i talebani afghani affinchè uccidano militari americani è destinata evidentemente a influire più sulle elezioni presidenziali americane che sulla guerra in Afghanistan giunta ormai a conclusione per statunitensi e alleati.

Secondo quanto pubblicato dal quotidiano newyorchese, che cita fonti governative anonime, un’unità dell’intelligence militare russo (GRU) avrebbe pagato combattenti talebani per colpire militari americani o della Nato in Afghanistan.

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Circa 100.000 dollari per ogni militare alleato ucciso, questa la ricompensa che sarebbe stata promessa dai russi  secondo il NYT che cita anche fonti afghane. L’uomo al centro della vicenda sarebbe Rahmatullah Azizi. Sei mesi fa è scattato il raid che ha portato all’arresto di decine di parenti di Azizi, ma lui è sfuggito alla cattura mentre nella sua casa è stato trovato mezzo milione di dollari in contanti anche se non vi sono prove che né che giungano da Mosca né che siano i proventi dell’uccisione di soldati Usa o NATO.

Le ‘taglie’ offerte dai russi avrebbero portato alla morte di diversi militari americani sostiene il Washington Post dopo che Donald Trump ha smentito di essere stato informato della vicenda dall’intelligence e ha messo in dubbio la veridicità della notizia.

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Secondo il Post alti funzionari della Casa Bianca sono stati informati in marzo, e la scorsa settimana sono stati informati anche i britannici mentre nessun dettaglòio sarebbe stato fornito ai governi degli altri Paesi della Nato.

Citando fonti dell’intelligence, il Post scrive che prove raccolte durante gli interrogatori di prigionieri talebani indicano un legame tra il programma di ricompense e diversi attacchi in cui sono stati uccisi soldati americani, anche se non viene fornito un numero specifico.

Un portavoce del National Security Council ha detto che “si continua a valutare la veridicità di queste accuse” ma il giornale scrive che le informazioni ottenute durante gli interrogatori erano state già confermate dalla Cia prima che venissero riferite durante un incontro ad alto livello alla Casa Bianca avvenuto lo scorso marzo. Durante l’incontro, rivela ancora il Post, emerse un disaccordo su come reagire a questa informazione, con l’inviato speciale per l’Afghanistan, Zalmay Khalilzad, che voleva affrontare direttamente Mosca mentre funzionari del consiglio nazionale sicurezza che erano contrari ad un’azione immediata. Trump ha twittato che “lui, il vice presidente Mike Pence e il capo dello staff Mark Meadows non sono stati mai informati in proposito come invece riportato da una fonte anonima del New York Times”.

La Russia ha smentito di aver offerto premi in denaro ai combattenti talebani per colpire dei militari occidentali in Afghanistan. “Queste accuse infondate ed anonime hanno già portato a delle minacce dirette alla vita dei funzionari delle ambasciate russe di Londra e Washington”, si legge in un comunicato della rappresentanza diplomatica nella capitale statunitense, che ha chiesto al NYT di “cessare di fabbricare delle ‘fake news'”.

Anche Trump ha accusato il NYT di mentire. “La notizia delle taglie russe è solo un altro racconto inventato della serie delle Fake News, narrato solo per danneggiare me e il Partito Repubblicano. La fonte segreta probabilmente non esiste neanche, proprio come la storia. Se lo screditato New York Times ha una fonte, la riveli”, ha scritto Trump il 1° luglio in un tweet.

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Il giorno prima il New York Times aveva rivelato che l’intelligence statunitense aveva intercettato dati elettronici che mostrano grandi trasferimenti finanziari da un conto bancario controllato dall’agenzia di intelligence militare russa (GRU) ad un conto collegato ai talebani.

Secondo un nuovo documento prodotto il 4 luglio dal National Intelligence Council, che risponde al direttore dell’intelligence nazionale americana John Ratcliffe, non ci sarebbero “prove dirette” e certe dei presunti pagamenti garantiti dalla Russia ai talebani per uccidere soldati americani e membri della coalizione internazionale in Afghanistan.

Impossibile non esprimere dubbi sulla vicenda, che assume un deciso sapore politico nell’infuocato clima elettorale americano e circa la quale si impongono alcune valutazioni. Innanzitutto il due quotidiani USA coinvolti (come del resto anche molte emittenti tv quali CNN) sono ormai totalmente screditati nel momento in cui attaccano l’Amministrazione Trump. Fin dalla precedente campagna presidenziale del 2016 il loro ruolo è sempre stato smaccatamente quello di propagandisti pesantemente schierati con il Partito Democratico e soprattutto contro Trump.

Sebbene i talebani siano stati formalmente messi al bando in Russia, il governo russo ne ha ospitato una delegazione nel 2019 per una sessione dei negoziati di pace in Afghanistan.

La Russia è del resto preoccupatada anni  dalla sconfitta dell’Occidente in Afghanistan e dall’imminente ritiro delle truppe alleate poiché teme che il jihadismo afghano possa poi cercare nuovi orizzonti nelle vicine repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale quali Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan e Kirghizistan e nel sud della Federazione Russa.

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Che i russi mantengano a livello d’intelligence rapporti con i talebani non deve quindi stupire come fanno del resto anche gli Stati Uniti che hanno firmato un accordo con i jihadisti afghani che questi ultimi peraltro non rispettano.

Il 30 giugno il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha messo in guardia il numero due e capo negoziatore talebano Mullah Baradar dal compiere attacchi contro gli americani ricordando che gli accordi tra le due parti prevedono “l’impegno a non attaccare gli americani”.

In tema di vantaggi economici per gli insorti afghani il 4 luglio Khalilzad, ha detto che USA e talebani stanno discutendo delle “opportunità economiche” offerte da un Afghanistan pacificato.

Difficile poi comprendere quali interessi possa sostenere Mosca retribuendo miliziani talebani affinchè uccidano soldati della Coalizione dal momento che, nell’attuale contesto, un incremento delle perdite alleate non potrebbe che accelerare il ritiro che Mosca vede come un pericolo per la sicurezza sua e dei suoi alleati regionali.

Pare poi del tutto improbabile che singoli talebani catturati in battaglia potessero essere al corrente delle “taglie” pagate dall’intelligence russo: simili operazioni vengono eventualmente decise dai vertici e mantenute classificate e note a un limitato numero di persone. Improbabile poi che il GRU utilizzi addirittura conti correnti notoriamente di sua proprietà per pagare i killer talebani.

Inoltre, dal 2001 in poi, i talebani non hanno mai avuto bisogno di incentivi o premi per ammazzare militari americani e della NATO, per colpire i quali, giova ricordarlo, hanno spesso impiegato attentatori suicidi. Infine, a giudicare dalle perdite subite da americani e alleati negli ultimi 5 anni pare evidente che i russi non abbiano poi speso molto denaro in “taglie”.

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Nel 2015 le perdite americane in Afghanistan sono state 22 più 4 militari alleati, nel 2016 appena 13 più 2, nel 2017 sono risalti a 15 più 2, nel 2018 i caduti sono stati 14 americani più 5 alleati, l’anno scorso 24 più 2 e quest’anno appena 8 soldati americani e nessun alleato. Numeri ben lontani da 498 caduti del 2010 o i 415 del 2011.

Se teniamo conto che tra questi caduti vi sono anche le vittime di incidenti il fuoco talebano è responsabile dell’uccisione di 16 militari alleati nel 2018, 20 nel 2019 e solo 2 quest’anno.

Si tratta di caduti provocati da ordigni esplosivi improvvisati o dal fuoco di armi leggere, come è sempre accaduto in quel conflitto.

Le perdite alleate sono quindi da anni piuttosto limitate se si considera che dall’ottobre 2001i in Afghanistan sono morti per atti ostili o incidenti 3.593 militari alleati tra i quali 2.449 statunitensi, 455 britannici e 689 alleati tra i quali anche 53 italiani.

Insomma, i russi avrebbero pagato “taglie” ai talebani per ottenere un incremento delle perdite tra gli alleati che in realtà non c’è stato?

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A ben riflettere l’unica ragione che potrebbe aver motivato un’operazione del genere avrebbe potuto essere la vendetta per le decine di contractors della compagnia militare privata russa Wagner uccisi in Siria dai raid aerei americani tra il 2017 e il 2018 nel settore di Deir Ezzor. Ma si tratta solo di un’ipotesi priva di riscontri.

Sotto pressione per l’ennesimo attacco subito, Trump sembrerebbe ora propenso a cedere alle richieste del Pentagono lasciando in Afghanistan oltre 4mila militari americani nel 2021 mentre precedentemente la Casa Bianca voleva il ritiro di tutti gli 8600 militari in Afghanistan prima del voto presidenziale.

Il Presidente comunque ha precisato che non intende togliere completamente dal tavolo l’opzione di un ritiro completo entro novembre.

I vertici del Pentagono temono che un ritiro completo delle truppe nei prossimi 5 mesi possa far precipitare il Paese nella crisi e compromettere i negoziati di pace che gli Usa stanno cercando di far partire tra il governo di Kabul ed i Talebani. In realtà Usa e alleati la guerra l’hanno già persa decidendo di negoziare coi talebani e prima ancora, con l’Amministrazione Obama, con il ritiro del grosso delle truppe da combattimento.

@GianandreaGaian

Foto US DoD

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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