Dopo il “caso Stano” quale comandante potrà guidare i suoi uomini in azione?

A seguito della Strage di Nassirya, dove il 12.09.2003 persero la vita 12 Carabinieri, 5 militari dell’Esercito, 2 civili italiani, 8 cittadini iracheni; dopo un lungo iter processuale svoltosi sia in ambito penale che civile, la III sez. civile della Cassazione con la sentenza n. 22516 del 10.09.2019, ha condannato il generale Bruno Stano, che all’epoca dei fatti comandava l’Italian Joint Tasck Force Iraq, al risarcimento dei danni subiti dalle vittime dell’attentato.

Per comprendere meglio la condanna inflitta al generale, è però necessario soffermarsi sulla responsabilità civile dei militari; con questa sentenza, la Suprema Corte è intervenuta proprio su questo tema, cioè sulla violazione dei diritti dei terzi a norma dell’art. 28 cost., innanzitutto, la Corte ha ribadito che l’accertamento sull’elemento soggettivo del danno extracontrattuale relativo alla pretesa risarcitoria per morte e lesioni subite dalle vittime dell’attentato, integrando il “danno ingiusto” ex art. 2043 c.c., è da svolgersi in ragione della sussistenza della colpa grave, come previsto, unitamente al dolo, dal combinato disposto degli artt. 22 e 23 del D.P.R. n. 3 del 1957, e che dette norme sono applicabili anche ai militari in base all’art. 532 del codice dell’ordinamento militare (1).

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La Cassazione ha pienamente condiviso la decisione della Corte d’Appello di Roma che ha condannato il generale Stano, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe precisamente individuato, nei termini essenziali, l’evento lesivo in concreto determinatosi (distruzione della base Maestrale con conseguente morte o ferimento degli occupanti) come prevedibile ex ante (in ragione dell’attentato compiuto con automezzo carico di esplosivo), nonchè la condotta cautelare esigibile dall’agente modello (ossia il Comandante) idonea ad evitarlo, cioè la chiusura della strada che fiancheggiava la base e del ponte Al Zaytun, l’installazione di hesco bastion più alti e riempiti di sabbia anzicchè di ghiaia nel contesto di una situazione che avrebbe richiesto un drastico innalzamento delle misure di sicurezza, che nonostante i numerosi e circostanziati allert dei servizi segreti, non venne attuato.

La Suprema Corte quindi, ha ritenuto pienamente idonee le misure di sicurezza individuate dalla Corte d’Appello di Roma, sostenendo, che se fossero state tempestivamente adottate, avrebbero potuto scongiurare la strage o quanto meno, contenere le perdite.

Alcun pregio veniva conferito dalla Cassazione alle difese dello Stano, giacchè il suo assunto di non aver potuto attuare misure di sicurezza più incisive (in quanto avrebbero incrinato il rapporto di fiducia e la pacifica convivenza con la popolazione locale), per attuare le direttive (del Ministero della Difesa) di una presenza “soprattutto umanitaria” dei militari nel tessuto urbano di Nassirya, contrasta con quanto emanato dal generale con la direttiva FRAGO n. 109/031 del 22.10.2003, con la quale si disponeva il progressivo trasferimento di alcune basi del contingente italiano verso aree più sicure della città.

An Italian Army soldier, foreground, and Italian Carabinieri secure the place next to the barracks building which was destroyed by a car bomb, in the Italian camp in Nasiriyah, Wednesday, Nov 12, 2003. At least 16 Italian soldiers and eight Iraqi civilians died in the suicide car bomb attack. (AP Photo/Anja Niedringhaus)

In conclusione, la Cassazione ha giudicato corretta la condanna al risarcimento dei danni, inflitta al Comandante dalla Corte territoriale, in quanto conforme al principio di diritto enunciato dalla Cass. sentenza n. 4587 del 25.02.2009, secondo cui la “responsabilità civile personale dei funzionari e dipendenti dello stato, nonché degli enti pubblici, ai sensi dell’art. 23 del D.P.R. n. 3 del 1957 non postula che l’ordinamento tolleri un comportamento lassista di costoro o li esponga alla responsabilità nei confronti dei terzi danneggiati solo in presenza di macroscopiche inosservanze dei doveri di ufficio o di abuso  delle funzioni per il perseguimento di fini personali, giacchè si ha colpa grave anche quando l’agente non faccia uso della diligenza, della perizia e della prudenza professionali esigibili in relazione al tipo di servizio pubblico o ufficio rivestito.”

Da un’attenta analisi delle motivazioni che hanno portato alla condanna dell’alto ufficiale, emergono alcuni punti, che se fossero stati valutati con maggiore razionalità, avrebbero determinato una decisione di segno diametralmente opposto.

Tanto per cominciare non è condivisibile che la Cassazione abbia ritenuto contraddittoria la difesa dello Stano, di aver disposto con la direttiva FRAGO il trasferimento della base Maestrale in aree più sicure della città, in quanto l’esigenza fortemente sentita di trasferire la base non era in contrasto con le dichiarazioni del generale di  “non aver preso maggiori misure di sicurezza perché contrastanti con gli obbiettivi della missione, che richiedevano la pacifica convivenza con la popolazione locale”, al contrario, la direttiva era stata emanata perché il comandante era conscio del fatto che alcuna contromisura avrebbe effettivamente potuto evitare un attentato, né sarebbe stato possibile per il comandante adottare più efficaci contromisure in meno di un mese – dato che il comando del contingente gli era stato conferito solo a metà ottobre 2003, mentre l’attentato veniva compiuto il 12 novembre –  né di certo il Comandante avrebbe potuto decidere autonomamente di abbandonare una base e trasferirla in altro luogo.

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La condanna inflitta allo Stano, deriva dalla valutazione effettuata dalla Suprema Corte sull’operato del generale, che, stando ai giudici, sarebbe stato caratterizzato da “colpa grave”.

La definizione di questo elemento psicologico è la seguente: la colpa grave sussiste solo in presenza di ben definiti elementi, che si riscontrano nell’inosservanza del minimo di diligenza richiesta nel caso concreto o in una marchiana imperizia o in un’irrazionale imprudenza, che in definitiva può essere riassunta in una sprezzante trascuratezza dei propri doveri, resa estensiva attraverso un comportamento improntato alla massima negligenza o imprudenza ovvero ad una particolare non curanza degli interessi pubblici.  Elementi di colpa, che nell’operato del Comandante è quanto meno difficile ravvedere.

Da quando è iniziata la guerra in Iraq, i terroristi hanno dimostrato di essere in grado di adattarsi molto bene e rapidamente, alle strategie difensive adottate dalle forze della coalizione, ragion per cui, se anche si volesse ammettere che le misure di sicurezza individuate dalla Corte d’Appello, e condivise pienamente dalla Cassazione, fossero state realmente idonee a limitare i danni (in relazione al quantitativo di esplosivo usato), c’è da ritenere con un elevato grado di sicurezza, che quei terroristi, mossi dall’unico desiderio di fare un massacro, vedendo un innalzamento dei livelli di guardia, non avrebbero certamente desistito, come pure ipotizzato dai giudici, ma al contrario avrebbero solo aumentato il quantitativo di  esplosivo da impiegare. Di una sola cosa possiamo essere certi, il massacro sarebbe stato compiuto ugualmente.

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Questa decisione, visto il tipo di missione che il generale era stato chiamato a compiere, il poco tempo che aveva avuto per adeguare le basi e gli scarsi mezzi a disposizione; risulta essere poco condivisibile, oltrechè dolorosa sia sotto il profilo umano che patrimoniale, per un Ufficiale che per molti anni ha servito con abnegazione la Patria.

Quel che però è peggio, è che mina fortemente il rapporto di fiducia che deve necessariamente intercorrere tra il militare e lo Stato, perché d’ora in poi, sarà assai difficile ipotizzare che un comandante possa assolvere i propri compiti con la necessaria lucidità, sapendo che se qualcosa andasse storto – e un militare esperto, sa che in una operazione rischiosa molte cose possono andare storte – potrà rimetterci personalmente, anche nel caso in cui non abbia violato nessuna norma del Codice penale militare o di quello comune.

La condanna, per giunta, è piuttosto singolare, in quanto riguarda la responsabilità extracontrattuale diretta del militare, per i danni arrecati a terzi nell’esercizio delle sue funzioni. Problematica trattata assai di rado dal momento che la giurisprudenziale ha da sempre evidenziato che solo raramente venga evocato in un giudizio civile il militare personalmente, preferendo il terzo danneggiato convenire il ben più solvibile Ministero della Difesa.

Nel caso di specie ad essere evocato in giudizio è stato il solo comandante Stano, in quanto il Ministero della Difesa aveva già parzialmente indennizzato extragiudizialmente le vittime della strage.

Anche in questo caso, se è vero che ad esser condannato è stato l’ufficiale al comando, è il Ministero della Difesa che si è fatto carico del risarcimento, ancor prima che si arrivasse ad una condanna definitiva. Né del resto, nel caso in cui ad essere convenuto in giudizio fosse stato il solo Ministero della Difesa, sarebbe stato economicamente apprezzabile rivalersi sul comandante.

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In caso di condanna infatti, la Difesa ha sì il dovere di rivalersi nei confronti del militare, segnalando la notitia damni, vale a dire l’intervenuta condanna risarcitoria definitiva della pubblica amministrazione in sede civile, alla Procura della Corte dei Conti.

Oppure, più raramente, attivando un’azione civile per risarcimento danni innanzi all’Autorità Giudiziaria Ordinaria, ma la rivalsa dell’amministrazione innanzi alla Corte dei Conti, tuttavia, non consegue quasi mai un integrale recupero delle somme erogate ai danneggiati.

L’accollo in capo alla collettività dei danni risarciti dall’amministrazione, e solo in minima parte refuso dal pubblico dipendente: difatti in occasione delle inaugurazioni degli anni giudiziari della Corte dei Conti, i vari Procuratori Generali hanno chiarito che delle condanne pronunciate dalla Corte dei Conti si recupera concretamente meno del 10%, a causa della scarsa solvibilità del pubblico dipendente, notoriamente incapiente e tutelato da una legislazione di favor che impedisce aggressioni della retribuzione, della pensione e della buonuscita oltre il quinto. Ne consegue che il costo dei danni arrecati a terzi da pubblici dipendenti dopo la condanna, viene recuperato soltanto in minima parte, restando così a carico della collettività (2).

Quanto fin qui esposto evidenzia che in mancanza di un intervento legislativo, volto all’introduzione di un adeguata polizza di assicurazione per la responsabilità civile, che copra esclusivamente i danni a terzi comportanti una diminuzione dell’integrità psicofisica, anche per i militari investiti di responsabilità di comando, al pari di altri dipendenti pubblici come, ad esempio avviene per il personale delle Aziende Sanitarie Locali (3), oppure per il personale incaricato della progettazione di opere pubbliche (4), i costi prodotti dalle azioni o dalle omissioni dei Comandanti ricadranno sempre, o comunque in gran parte, sulla collettività.

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Questa polizza assicurativa, prevedendo esclusivamente il risarcimento dei danni cagionati a terzi, dal comandante nell’esercizio delle sue funzioni, comportanti una diminuzione dell’integrità psico fisica, non è in contrasto con la legge (5), che prevede la nullità del solo contratto di assicurazione con il quale un ente pubblico assicuri i propri amministratori per i rischi derivanti dall’espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti la responsabilità per danni cagionati allo Stato o ad enti  pubblici e la responsabilità contabile (6) (7).

Né può essere intesa come un modo per deresponsabilizzare i comandanti riguardo alle conseguenze delle proprie azioni o omissioni, perché se così fosse, si dovrebbe a questo punto sostenere lo stesso anche per le leggi che prevedono copertura assicurativa, a carico degli enti pubblici, per il personale sanitario e i progettisti ad esempio.

L’auspicato intervento legislativo invece, ha come unico scopo quello di poter risarcire le vittime in modo più veloce e senza gravare eccessivamente sulla collettività; perché se è pur vero, che una polizza assicurativa, che copra tutti i danni psicofisici arrecati dal militare con responsabilità di comando e che opera nell’esercizio delle sue funzioni, potrà avere un costo elevato, questo sarà certamente  minore di quello che, di fatto, lo Stato è costretto a sostenere in tutti casi di risarcimento giudiziale o stragiudiziale dei danni.

L’urgenza di una legge in subiecta materia si fa sempre più stringente in relazione ai delicati compiti che le nostre forze armate sono chiamate a svolgere, sia in molteplici teatri internazionali particolarmente “caldi”, si pensi alle operazioni di peacekeeping o di anti terrorismo; che in patria come ad esempio nell’Operazione Strade Sicure, oppure in operazioni di anti terrorismo in occasione di meeting internazionali o di attentati.

In definitiva una polizza assicurativa che copra la responsabilità civile per i danni in questione, oltre ad evitare che i costi di elevati risarcimenti ricadano quasi interamente sui cittadini, toglie anche dalle spalle dei comandanti di unità, impegnati in pericolose missioni, un pesante fardello, quale è la preoccupazione-oltre che per la propria incolumità-di vedersi pignorato, in caso di condanna civile al risarcimento dei danni, parte dello stipendio e successivamente della buonuscita e della pensione.

 

Note e riferimenti bibliografici

1) Corte di Cassazione sentenza n. 500 del 1999

2) TENORE, La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, 2004

3) art. 28 L. 761/1979

4) art. 17 L. 109/1994

5) ex multis Corte dei conti Toscana sentenza n. 243 del 12.10.2017, Corte dei Conti sez. I della Giurisdizione Centrale, sentenza n. 394 del 02.09.2008  e Corte dei Conti Puglia sentenza n. 95 del 07.02.2004

6) art. 3, comma 59, della legge 244/2007

7) Corte dei Conti Puglia sentenza n. 363 del 27.10.2011

 

Gianandrea Maria PerrellaVedi tutti gli articoli

Nato a Napoli nel 1982, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università Federico II di Napoli. Avvocato, si occupa di diritto civile, commerciale e bancario. Fa parte dello Studio Associato Cardarelli di Napoli. E' autore presso la Rivista Giuridica Cammino Diritto.

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