Referendum svizzero: non c’è sovranità nazionale senza difesa aerea

da Il Corriere del Ticino

La Svizzera tornerà al voto referendario popolare il 27 settembre per dare o meno il via libera al Programma Air 2030 approvato nel dicembre scorso dalle Camere Federali con cui si prevede di sostituire 29 vecchi caccia F-5E/F Tiger II e 25 F/A-18A/B Hornet in servizio con un nuovo cacciabombardiere e di acquisire un nuovo sistema missilistico da difesa aerea a medio raggio.

I velivoli in gara sono il Typhoon (proposto da Airbus per il consorzio europeo Eurofighter), il francese Dassault Rafale, gli statunitensi Boeing F/A-18E/F Super Hornet e Lockheed Martin F-35A Lightning II.

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Per quanto concerne la componente missilistica da difesa aerea, Il Programma Air 2030 vede in gara il franco-italiano SAMP/T (proposto dal consorzio Eurosam composto da MBDA e Thales) e lo statunitense Raytheon Patriot. Il vincitore fornirà batterie missilistiche destinate a entrare in servizio tra il 2025 e il 2030 sostituendo la quarantina di vecchi sistemi missilistici a corto raggio Bae Rapier.

Lo stanziamento complessivo previsto dal Programma Air 2030 è di 8 miliardi di franchi di cui 6 destinati ad acquisire i 36/40 cacciabombardieri previsti e 2 miliardi per dotarsi dei missili terra-aria.

La decisione, se il referendum organizzato da Partito Socialista, Verdi e Gruppo per una Svizzera senza Esercito (GSsE) non avrà successo annullando di nuovo la commessa, è attesa per l’inizio del 2021 con consegne dei cacciabombardieri a partire dal 2025.

 

Valutazioni tecniche, economiche e politiche

Sul piano militare si possono prendere in esame valutazioni diverse circa la scelta dei nuovi sistemi d’arma per la difesa aerea. Innanzitutto, sul piano missilistico, sia il Patriot che il Samp/T col missile Aster 30 garantiscono la capacità di individuare e colpire obiettivi a medio raggio ma soprattutto di ingaggiare non solo velivoli ma anche missili da crociera e balistici a corto e medio raggio.

Una tipologia di minaccia considerata oggi in crescita come dimostra il gran numero di forze armate nel mondo in grado di disporre di armi simili.

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Quanto ai caccia vanno prese in considerazione valutazioni di costo e di prestazioni. I bimotori come il Typhoon, il Super Hornet o il Rafale hanno costi maggiori sia di acquisto che di gestione ma sono in grado di offrire maggiori probabilità di sopravvivenza in caso di guasti o danni in combattimento.

Valutazioni non certo nuove per la Svizzera tenuto conto che i caccia da sostituire con il nuovo aereo, F-5E/F Tiger II e F/A-18A/B Hornet, sono entrambi bimotori.

Difficile credere che l’F-35A possa incontrare un reale interesse per le esigenze svizzere non solo perché non è un caccia e non ha le caratteristiche di manovrabilità degli altri concorrenti ma perché un aereo “invisibile” (in teoria) ai radar concepito per penetrare in territorio nemico e condurvi attacchi a sorpresa (first strike) non sembrerebbe rispondere alle esigenze elvetiche.

Il velivolo ideale per gli elvetici potrebbe essere nuovamente il monomotore JAS 39 Gripen (già selezionato per l’acquisto di 22 esemplari poi “bocciato” dal referendum del 2014) nella sua versione più aggiornata E, ma solo se Saab riuscirà a tornare in gara dopo l’esclusione dai test di giugno scorso poichè il velivolo non era ancora disponibile. Un caccia leggero dotato di un radar avanzato e di missili di ultima generazione e perfettamente in grado di proteggere lo spazio aereo elvetico.

Sulla scelta del caccia e dell’apparato missilistico possono influire anche valutazioni politiche, economiche e strategiche oltre che di carattere tecnico-militare.

Il sistema di difesa aerea missilistica Patriot è in dotazione anche alla Germania mentre il SAMP/T lo impiegano francesi e italiani. Al tempo stesso il Typhoon è adottato in Europa da Italia, Gran Bretagna, Spagna e Germania mentre il Rafale dalla sola la Francia.L

La scelta di prodotti europei verrebbe accolta positivamente negli ambienti UE a Bruxelles, così come la vittoria dei caccia Rafale e dei missili SAMP/T verrebbe letta come una forte intesa con Parigi, mentre l’adozione degli statunitensi Super Hornet, F-35 e dei missili Patriot deporrebbe a favore di un approccio elvetico più distaccato dall’Europa.

 

Il “caso austriaco”

Il precedente dell’Austria, che acquistò 15 Typhoon Tranche 1 per poi annunciarne nel 2017 la prossima sostituzione con un velivolo più economico a causa dei costi elevati di gestione e dello scandalo esploso sulle tangenti circolate per la sua acquisizione, potrebbe non favorire le chanches di quel velivolo nella gara svizzera.

Tuttavia, l’esempio dell’Austria, Stato neutrale come la Svizzera, fornisce anche “lezioni apprese” positive. Innanzitutto il Typhoon proposto oggi a Berna da Airbus è dell’ultime versione Tranche 3, molto più avanzato di quelli austriaci.

Al tempo stesso la disponibilità sul mercato di decine di Tranche 1 surplus delle aeronautiche tedesca, britannica e italiana potrebbe teoricamente indurre anche a valutare l’acquisto di velivoli di seconda mano, ovviamente ammodernati negli apparati avionici (come quelli spagnoli), determinando così anche un notevole risparmio per le casse federali anche se la Svizzera non ha mai acquisito aerei da combattimento di seconda mano.

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Infine le valutazioni di Vienna circa il nuovo caccia da acquisire pare stiano portando a considerare il Gripen (che in Europa è già in servizio con le aeronautiche di Svezia Ungheria e Repubblica Ceca) offrendo così lo spunto per un paio di riflessioni. Da un lato le voci da Vienna sembrano confermare come il caccia svedese si ponga come velivolo ottimale in termini di rapporto prestazioni/costi per Stati che hanno l’esigenza di difendere spazi aerei limitati.

Dall’altro un’eventuale decisione convergente di Vienna e Berna in favore del Gripen E potrebbe permettere importanti sinergie con un impatto positivo sui costi del programma.

 

Valutazioni strategiche

Al di là delle diverse opinioni politiche dovrebbe risultare evidente che nessuno Stato, né tanto meno la Svizzera, può oggi permettersi di non disporre di una capacità di difesa aerea autonoma, aggiornata ed efficace.

Specie in un’epoca in cui le minacce dal cielo si fanno più ampie e variegate con l’impiego di una vasta gamma di vettori la difesa aerea. Missili balistici e da crociera, droni in grado di portare carichi e armamenti sempre più sofisticati, velivoli da combattimento di 4++ e 5a generazione in dotazione a un numero crescente di Stati, senza dimenticare il rischio di attacchi “asimmetrici” impiegando a scopo terroristico velivoli ultraleggeri o aerei di linea dirottati.

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A questo contesto va aggiunta la crescente fluidità delle alleanza in Europa, con una Ue che non ha ancora una dimensione militare concreta e una politica di Difesa credibile e una NATO indebolita dalla sconfitta in Afghanistan e lacerata da tensioni e dissidi tra Stati Uniti e alleati europei ma anche tra i diversi Stati membri (Usa e Germania, Turchia e Grecia, Francia e Turchia….solo per citare alcuni esempi) mentre le aree di crisi nel vecchio Continente e ai suoi confini si stanno moltiplicando.

In questo contesto disporre di una moderna ed efficiente difesa dello spazio aereo nazionale è, prima ancora che un’esigenza militare e di sicurezza nazionale, un elemento principe nel garantire la sovranità della Federazione che ospita anche sedi di grandi istituzioni internazionali a cominciare dalle Nazioni Unite.

Certo non mancano gli esempi di Stati europei che hanno rinunciato ad esercitare tale sovranità: in ambito NATO la Slovenia, l’Islanda e le tre Repubbliche Baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) non dispongono di velivoli da combattimento e presto anche la Croazia non sarà più in grado di controllare il proprio spazio aereo con gli ultimi 8 decrepiti Mig 21 in servizio.

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Per questi Stati la soluzione è ospitare sul proprio territorio caccia di altri membri della NATO a rotazione (nel caso dell’Islanda e dei Paesi Baltici) o di far pattugliare il proprio spazio aereo dai caccia dei paesi alleati confinanti, come fa la Slovenia e come farà probabilmente dal 2023 Croazia (se non acquisirà in fretta nuovi caccia dopo aver radiato i vecchissimi Mig 21) grazie alla cooperazione offerte da Italia e Ungheria.

Soluzioni che hanno comunque un costo finanziario e politico, evidenziano vulnerabilità e limiti di sovranità ma che soprattutto non possono venire prese in considerazione da un paese neutrale che evidentemente non può chiedere alla NATO di presidiare il suo spazio aereo, neppure in situazioni di emergenza.

Come abbiamo visto, tra gli altri Stati neutrali l’Austria valuta come sostituire con un aereo dal buon rapporto costo-efficacia i suoi Typhoon Tranche 1 e la Finlandia ha rinunciato, causa costi non competitivi, ad ammodernare i suoi 55 F/A-18 Hornet puntando ora a rimpiazzarli con nuovi velivoli.

Il Programma HX finnico vede in gara Typhoon, Super Hornet, Gripen, Rafale e F-35A, cioè gli stessi velivoli in gara in Svizzera.

 

Una questione di sovranità

Il punto essenziale è quindi che la Federazione Elvetica non può rinunciare a disporre di una efficace e moderna difesa aerea indipendentemente dal livello di minaccia che viene oggi percepito e che potrebbe rapidamente mutare.

Per questo valutare “uno spreco di denaro inaccettabile” il Programma Air 2030 non ha alcun senso da punto di vista politico-strategico. Forse 8 miliardi di franchi (7,4 miliardi di euro) spalmati sui budget di spesa di alcuni anni rappresentano un costo eccessivo per garantire alla Svizzera la capacità di presidiare i suoi cieli in modo indipendente e sovrano?

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Al tempo stesso considerare superflua la spesa per ammodernare la difesa aerea è illusorio e pericoloso in termini militari e di sicurezza nazionale. Mantenere ancora in linea caccia e ormai obsoleti comporterebbe costi manutentivi e di aggiornamento non compatibili con i benefici acquisiti dal prolungamento ulteriore della loro vita operativa.

Si tratterebbe quindi di denaro mal speso a cui si aggiungerebbero i costi fissi della difesa aerea che riguardano personale e infrastrutture e che ricadono comunque sulle tasche del contribuente.

Rinnovare aerei e missili da difesa aerea significa quindi investire per rendere efficiente e competitivo un comparto militare che con equipaggiamenti vetusti non sarebbe in grado di fornire alla Federazione quel livello di sicurezza contro diverse tipologie di minaccia oggi necessaria.

@GianandreaGaian

Foto Lockheed Martin, Eurofighter, Aeronautica Austriaca, Aeronautica Croata, Aeronautica Finlandese e Aeronautica Svizzera

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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