Le contraddittorie politiche europee incoraggiano i jihadisti
Impoverita e terrorizzata dal Covid e dall’incerta gestione dell’emergenza virale, incapace dopo decenni di terrorismo di matrice islamica di arginare l’immigrazione musulmana e di sgominare il jihadismo interno, un’Europa sempre più fragile deve fare i conti con una recrudescenza delle azioni terroristiche che sembra puntare proprio a enfatizzare le nostre debolezze.
L’attacco di Vienna sembra ricalcare su scala fortunatamente più limitata, gli attacchi terroristici portati nel 2015 dai jihadisti a Parigi. Un gruppo di fuoco composto da un numero ancora imprecisato di terroristi I(almeno due, forse quattro) che colpisce in diverse aree della città obiettivi “facili” quali possono essere i civili che passeggiano per strada o che frequentano bar e ristoranti. Quattro i morti, due donne e due uomini tra i 40 e i 50 anni, più 17 feriti tra i quali 7 molto gravi.
Un modus operandi teso a terrorizzare la popolazione ingigantendo la percezione della forza dei terroristi e che consente qualche speranza ai jihadisti di riuscire a far perdere le proprie tracce, ipotesi che sarebbe invece remota se a finire sotto attacco fossero stati sedi istituzionali o gruppi di poliziotti, gendarmi o militari.
Una tecnica che sembra portare la firma dello stato Islamico (che ha rivendicato l’attacco) come dimostrerebbero i segnali lasciati sui social dall’unico terrorista individuato ed ucciso dalla polizia austriaca. Un macedone di etnia albanese di 20 anni che era stato già condannato l’anno scorso per aver tentati di arruolarsi nell’Isis espatriando in Siria. Reato per il quale era stato condannato l’anno scorso a 22 mesi di carcere per essere poi liberato dopo poco più di sei.
Nulla di sorprendente: da un lato le popolazioni musulmane di Kosovo, Bosnia, Albania e Macedonia hanno offerto almeno 800 volontari al jihad del Califfato (numero confermato anche dal Rapporto Terrorism Situation and Trend report) dell’Interpol realizzato nel 2017) e che includeva anche i volontari partiti dall’Albania e dal Sangiaccato serbo.
Dall’altro in Europa quasi nessun criminale sconta per intero la pena e soprattutto i jihadisti sembrano venir rimessi in libertà con troppa faciloneria, basti pensare che il Francia stamno per essere scarcerati oltre 500 detenuti per reati di terrorismo e più di 700 criminali comuni, tutti islamici e radicalizzati.
Insomma, l’Europa non riesce a prevenire le azioni terroristiche dei jihadisti, né a controllare gli islamisti già segnalati e pregiudicati ma neppure a tenere in carcere quelli che ha già catturato e imprigionato.
Al tempo stesso, dopo che è stato appurato che il killer jihadista di Nizza era da pochi giorni sbarcato come immigrato clandestini a Lampedusa, non solo il governo italiano non ha fatto nulla per fermare flussi migratori che da tempo sappiamo alimentare il terrorismo islamico ma ha persino consentito che negli ultimi giorni si intensificassero fino al record stagionale di 1.600 clandestini sbarcati in 48 ore.
Dopo i fatti di Nizza l’Italia non ha assunto nessun provvedimento per arginare il problema dell’immigrazione illegale e dell’infiltrazione terroristica ma non ha neppure provato a evitare che si ingigantisse. Il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica riunitosi al Viminale ha stabilito “l’intensificazione dei controlli ai valichi di frontiera anche con l’impiego dei militari dell’Esercito”, con particolare riguardo ai recenti attentati terroristici compiuti a Nizza e a Vienna.
Misure che, alla luce dei recenti atti terroristici, sembrano tese a evitare che potenziali terroristi sbarcati illegalmente (e allegramente) in Italia possano recarsi oltre confine quando invece tali misure avrebbero dovuto essere adottate ben prima e per impedire gli ingressi illegali in Italia dai confini marittimi e da quelli terrestri con la Slovenia.
Se in Europa non riusciamo neppure a contrastare il crimine dell’immigrazione illegale potremo mai risultare credibili nel contrasto al terrorismo islamico?
La fiacca reazione dell’Europa di fronte alla minaccia islamista, composta non solo dagli attacchi terroristici ma anche dal crescente fenomeno delle aree urbane e dominate dalla sharia e sottratte di fatto al controllo dello Stato (no go area), galvanizza i diversi gruppi jihadisti.
Eppure il fenomeno del terrorismo islamico su vasta scala non è certo nuovo e riguarda tutto l’Occidente da 20 anni, in modo eclatante almeno dall’11 settembre 2001 e dai grandi attentati di al-Qaeda a Madrid nel 2004 e a Londra nel 2005 mentre nel caso della Francia la minaccia risale agli anni ’90, quando si manifestò violentemente oltralpe la minaccia del GIA algerino.
A questi elementi va aggiunto un contesto internazionale che vede Usa e Nato ritirarsi da Afghanistan e Iraq, dove le milizie talebane avanzano ovunque e quelle dello Stato Islamico stanno tornando ad avere ampi margini di manovra: sviluppi politici e militari che contribuiscono a diffondere tra i jihadisti la percezione della nostra incapacità di combatterli.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.