Zircon, la gemma di Mosca e la corsa all’ipersonico

“E’ stato un grande evento non solo per le nostre forze armate, ma per tutta la Russia”, ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin mercoledì 7 ottobre 2020, quando gli è stata confermata la notizia di un riuscito collaudo del nuovo missile ipersonico Zircon, in russo “Zircone”, che porta il nome di una pietra preziosa come vari altri missili russi. Lanciabile da nave, ha per la prima volta colpito con precisione un bersaglio in mare.

Poichè quel giorno lo “Zar” compiva 68 anni, si può ben dire che il test sia stato per lui una sorta di regalo di compleanno, sebbene non a sorpresa, dato che lo stesso Putin aveva annunciato tale arma fin dal 2018, insieme ad altri sistemi rivoluzionari.

Un suo ulteriore commento fa capire tutta l’importanza dell’esperimento: “La Russia è diventata il paese guida nel campo delle armi ipersoniche. Ed equipaggiare le nostre forze armate con i più recenti, e davvero senza paragoni, sistemi d’arma assicurerà certamente al nostro paese le capacità di difesa sul lungo termine”. Si è trattato della riprova che i russi sono attualmente allo stadio più avanzato nel mondo nello sviluppo di questi vettori ad altissima velocità, tallonati da vicino dai cinesi e dagli americani.

 Anzi, proprio gli Stati Uniti sembrano essere i più lontani dal raggiungimento di un livello operativo per questi ordigni, nonostante anch’essi abbiano sperimentato vari prototipi. E’ vero che il 16 ottobre il presidente statunitense uscente Donald Trump, impegnato in un comizio a Ocala, in Florida, ha asserito, enfatizzandolo, che “ora gli USA hanno armi ipersoniche”.

Dopo le elezioni presidenziali del 3 novembre è apparsa nei giorni successivi sempre più chiara l’affermazione dello sfidante Joe Biden, che salvo imprevisti e battaglie legali su presunti brogli elettorali, dovrebbe ufficialmente subentrare a Trump il prossimo 20 gennaio 2021. Ma nonostante il cambio al vertice, gli Stati Uniti non potranno fare a meno di sviluppare simili armamenti.

 

“Centro” a Mach 8

L’esperimento è stato rivelato al mondo in omaggio al genetliaco del presidente russo, ma in verità si era svolto il giorno prima, alle 7.15, ora locale, del mattino del 6 ottobre, stando al comunicato ufficiale emesso dal Capo di Stato Maggiore della Difesa russa, generale Valery Gerasimov, che ha spiegato come la moderna fregata Admiral Gorshkov, situata nelle acque sub-artiche del Mar Bianco, abbia sparato lo Zircon da uno dei suoi pozzi verticali di lancio.

Come mostrano i brevi filmati diffusi da Mosca, il missile, dopo una ventina di metri di salita in verticale, si è subito messo in volo orizzontale, guadagnando quota come un classico missile da crociera e aumentando la velocità. Dirigendosi verso Nord-Nordest, in soli 4 minuti e mezzo ha coperto una distanza di 450 chilometri sebbene gli si accrediti un raggio d’azione massimo di mille, raggiungendo una quota massima stratosferica, di circa 28.000 metri, e centrando un bersaglio galleggiante nel Mare di Barents.

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Il tutto toccando una velocità massima dichiarata in Mach 8, otto volte la velocità del suono, cioè forse 8600 km/h, anche se non durante l’interezza del tragitto. Non era il primo test in assoluto dello Zircon, ma il primo in cui ha dimostrato un’effettiva capacità superficie-superficie in ambito marittimo, che senza dubbio non farà dormire sonni tranquilli ai comandanti delle portaerei americane.

Ha detto Gerasimov: “I compiti del lancio sono stati assolti, il test di fuoco è stato riconosciuto di successo e il bersaglio è stato accuratamente colpito. I test continueranno e il missile diventerà operativo a bordo delle navi di superficie e dei sottomarini della flotta russa”.

Su molti dettagli, per esempio sulla descrizione del profilo di volo, i russi tengono un ovvio riserbo, ma è comune fra gli esperti la constatazione che la velocità di Mach 8 è stata raggiunta solo per una frazione della missione. Infatti, aver coperto 450 km in 4,5 minuti significa una velocità media di circa 6.000 km/h, poco al di sotto di Mach 6.

Un’analisi realistica dell’evento è stata fatta l’11 ottobre dall’esperto russo Anatolij Wasserman, intervistato sulla rete televisiva REN TV: “E’ garantito che la velocità fra Mach 6 e Mach 8, unita all’abilità di manovrare, siano sufficienti a penetrare ogni sistema difensivo.

E il raggio d’azione massimo di mille chilometri è molto oltre il raggio dei mezzi di difesa dei gruppi di portaerei americane. Ora gli Stati Uniti, che spendono decine di milioni di dollari nella manutenzione dei loro gruppi di portaerei, possono dimenticarsi l’avvicinamento a zone di interesse russo”.

Sia l’apparente discrepanza della velocità in rapporto allo spazio percorso, sia la dichiarata quota massima ampiamente stratosferica, fanno intuire che lo Zircon ha un profilo di volo complesso che sicuramente comprende combinazioni di alta e bassa quota e anche manovre di ampio raggio (a simili velocità sono chiaramente impossibili virate strette) per ingannare le difese. Senz’altro, anche se non si sa esattamente quanto fosse grande il bersaglio del test, la precisione dev’essere fenomenale, se si assume che l’impatto sia avvenuto a velocità ipersonica.

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Non sembrano esserci dubbi sul fatto che il regime sia stato ipersonico anche nella fase finale. Tale è infatti la garanzia per superare con ottime probabilità, dopo le difese avanzate, anche le difese di punto a brevissimo raggio di un’ipotetica nave nemica, ovvero le batterie di cannoni automatici a canne rotanti CIWS, radar-guidati a elevatissima cadenza di tiro. Se infatti i CIWS imbarcati sulle navi hanno generalmente un raggio utile fra 2 e 4 km, parliamo di spazi che uno Zircon a Mach 8 coprirebbe veramente in un baleno, solo 1 o 2 secondi.

Su quest’arma ipersonica russa, il cui nome completo è 3M22 Zircon, non si sa molto, ma la NATO gli ha affibbiato la classificazione codice SS-N-33. Il suo sviluppo sarebbe iniziato nel 2011 da parte della NPO Mashinostroyenia, che avrebbe ripescato un preesistente progetto, l’ipersonico sperimentale HELA, che l’azienda russa aveva presentato fin dal 1995 al salone MAKS di Mosca. Sembra siano stati effettuati finora 9 test, ma non è chiaro se i primi siano davvero stati quelli del 2012, con sgancio di un prototipo da un bombardiere Tupolev Tu-22M3.

Notizie più precise di prove le si hanno a partire dal 2017, ed è quindi possibile che inizialmente si sia provato una sorta di HELA modificato, per poi approdare allo Zircon definitivo dopo una fase di riprogettazione.

Il 15 aprile 2017 l’agenzia TASS diramava che “il nuovo missile ipersonico Zircon ha raggiunto la velocità di Mach 8” e che “esso è compatibile con le celle di lancio verticali 3S-14 dei missili navali Oniks e Kalibr”.

Il che è stato dimostrato anche dal recente test. Le prove sono continuate e il 21 novembre 2017 il generale Viktor Bondarev azzardava già che lo Zircon facesse parte dell’arsenale operativo, sebbene in realtà ancora sperimentale. Putin lo ha poi citato nel suo discorso del 1° marzo 2018 insieme a svariati altri nuovi sistemi strategici e il 10 dicembre 2018 avveniva un nuovo collaudo documentato, ancora con velocità raggiunta di Mach 8.

Lo Zircon, anche se non ancora operativo, è stato usato da subito nell’ambito di una guerra di propaganda fra Russia e America, soprattutto per spingere Washington a non abbandonare i trattati sul disarmo INF e New START (invano nel primo caso, mentre l’avvenire del secondo patto è appeso a un filo).

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Non a caso, il 24 febbraio 2019 la televisione russa di Stato Rossiya 1 ha, apparentemente di sua iniziativa, ipotizzato una possibile “lista di bersagli programmati per i nuovi Zircon”, che comprenderebbero “i principali centri decisionali di una guerra contro la Russia”.

Fra essi, il Pentagono, la residenza presidenziale di Camp David e la Jim Creek Naval Radio Station, fulcro delle comunicazioni americane coi propri sottomarini in immersione con trasmissioni in onde ELF (Extra Low Frequency). Poche ore dopo il portavoce di Putin, Dimitri Peskov, ha smentito l’esistenza di una lista ufficiale di bersagli, parlando di libere ipotesi dell’emittente televisiva, “nella cui linea editoriale non interferiamo”, ma il messaggio agli USA, forse concordato in segreto fra la Tv e il Cremlino, era chiaro.

Il 27 febbraio 2020 la TASS ha poi rivelato, alcune settimane dopo l’evento, che “ai primi di gennaio” uno Zircon era stato lanciato dalla fregata Admiral Gorshkov navigante nel Mare di Barents andando a colpire un bersaglio terrestre situato nel Nord degli Urali, a oltre 500 km di distanza.

Si era trattato in quel caso del primo riuscito test di fuoco del vettore contro un obbiettivo terrestre, a cui ha fatto seguito lo scorso 6 ottobre il test integralmente marittimo. Al momento attuale pare ormai chiaro che lo Zircon verrà adottato a bordo delle più moderne unità navali russe, di superficie e sottomarine, ma ne verranno anche realizzate versioni lanciabili da unità terrestri, tipicamente rampe autocarrate TEL, nonché da aeroplani. La produzione di serie dovrebbe iniziare nel 2021 e l’entrata in servizio dovrebbe avvenire entro il 2022.

Fin qui, la storia, per quanto riguarda la tecnica, invece, i dati sono molto vaghi tanto che le stesse fonti russe stimano a spanne la lunghezza del missile fra 8 e 10 metri, per un peso di forse 400 kg. Anche se non viene apertamente ammesso, viene dato per scontato che lo Zircon porterà una testata nucleare, data la priorità strategica russa di riequilibrare la bilancia con gli Stati Uniti. L’ordigno, almeno nella sua versione navale, dispone di una larga sezione di coda costituita da un booster a razzo contornato da 6 piccole alette caudali. Non è chiaro quanto occupi il booster sulla lunghezza totale, a giudicare da immagini pittoriche spesso poco chiare o forse in parte alterate nel senso della prospettiva.

Da alcuni disegni sembra pari quasi al 40% del totale del corpo del vettore, da altri sembra più corto. Il booster ha la funzione di accelerare lo Zircon nella prima fase del volo, per permettergli di raggiungere la velocità sufficiente a innescare quello che è il motore principale, uno scramjet, o statoreattore. Essendo privo di giranti e turbine, tale motore ha bisogno di un flusso d’aria già supersonico per far raggiungere all’oggetto la sua fantastica velocità. Sebbene i test parlino di “Mach 8”, gli viene accreditata una velocità massima di “Mach 9 o Mach 10”, la quale rientrerebbe forse in margini di miglioramento della propulsione e del carburante sulla base dei collaudi.

Poichè il booster viene sganciato quando esaurito, la fase di innesco dello scramjet coincide con un grande alleggerimento del velivolo, il che ne facilita ulteriormente l’accelerazione. Fra l’altro, poiché il booster è necessario per far decollare lo Zircon da una nave, o da terra, cioè praticamente da fermo, è intuibile che gli esemplari adattati al lancio da aerei ne sarebbero privi, essendo già accelerati dalla velocità del velivolo-madre.

Il corpo principale dello Zircon, a dispetto della denominazione russa per i missili da crociera, ovvero “Krilataja Raketa”, “Razzo Alato”, è praticamente privo di ali avendo sezione quadrangolare piatta con un lunghissimo muso rastremato a becco d’anatra. Solo quattro piccole alette in coda ne assicurano stabilità e manovrabilità, ma a quelle velocità sono più che sufficienti.

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La portanza e quindi l’assetto orizzontale del volo vengono assicurati dalla combinazione fra l’altissima velocità, dovuta a una forza di spinta, equivalente in kg, superiore al peso totale della macchina, e la particolare conformazione dell’oggetto, che sfrutta il principio del “Lifting Body”, o “corpo portante”, noto sia in Russia sia in America fin dagli anni Sessanta.

La parte ventrale del muso è piatta e in posizione arretrata vi si apre come una bocca di squalo la spigolosa presa d’aria dello scramjet. La velocità massima verrebbe raggiunta ad alte quote, prima della picchiata finale sull’obbiettivo.

Ora, è vero che teoricamente volare a oltre 20 km di altezza espone all’avvistamento radar assai più che volare a bassissima quota, dove raggiungere elevati numeri di Mach è molto più difficile.

Ma lo stesso avvistamento radar di un veicolo ipersonico sarebbe di per sé difficile a causa delle alte temperature risultanti dall’attrito, che creerebbero attorno al missile una sorta di “plasma”, cioè gas ionizzato, in grado di assorbire le onde elettromagnetiche.

Ciò senza contare l’imprevedibilità della traiettoria e la velocità stessa, che renderebbero più difficile per le difese antimissile calcolare esattamente la posizione dell’ordigno, diminuendo enormemente il rischio che venga abbattuto.

Questo è, in sintesi, ciò che si sa dello Zircon, che non è che uno fra gli ipersonici sviluppati di recente dalla Russia, dei quali gli altri due, il missile aviolanciato Khinzal e la testata-aliante Avangard, sarebbero già operativi.

 

Una ridda di prototipi

Per comprendere appieno la portata di questo tipo di ordigni, è bene ricordare che per “ipersonico” si intende un oggetto la cui velocità supera Mach 5, cioè 5 volte la velocità del suono, laddove il semplice regime “supersonico” viene considerato quello compreso fra Mach 1 e Mach 5.

La velocità del suono nell’atmosfera terrestre si aggira attorno a un migliaio di chilometri l’ora, cambiando in funzione della temperatura e della densità dell’aria. Perciò essa è di circa 1225 km/h al livello del mare, poi diminuisce un po’ all’aumentare della quota, toccando 1062 km/h nella bassa stratosfera, fra gli 11.000 e i 20.000 metri, per poi aumentare leggermente a 1083 km/h verso i 30.000 metri. Un velivolo catalogabile come “ipersonico” deve dunque avere una velocità compresa almeno (a seconda della quota) fra 5310 e 6125 km/h, se non addirittura superiore.

In sé non si tratta di un concetto nuovo, se si pensa che un oggetto ipersonico era, tecnicamente, già il razzo tedesco V-2 sfoderato da Hitler nel 1944, che nella fase più rapida della sua traiettoria balistica superava 5700 km/h.

In seguito, lo sviluppo di razzi e aerorazzi ipersonici proseguì nel dopoguerra da parte delle potenze vincitrici e negli anni Sessanta gli americani collaudarono decine di volte perfino un ambizioso aeroplano pilotato ipersonico, il North American X-15 con motore a razzo, finanziato congiuntamente dall’US Air Force e dall’agenzia spaziale NASA.

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L’X-15, che veniva sganciato in volo da un bombardiere Boeing B-52, si aggiudicò svariati primati, rimasti imbattuti fra i velivoli atmosferici con equipaggio umano, di cui citeremo i due più significativi. Il 22 agosto 1963, l’X-15 pilotato da Joseph Walker toccò una quota incredibile di 107.800 metri, ovvero quasi 108 chilometri, già oltre il limite convenzionale stabilito fra atmosfera e spazio, secondo il concetto della “linea di Von Karman” individuata sui 100 chilometri di quota.

Poi, il 3 ottobre 1967, un altro aviatore, William Knight, portò l’X-15 alla sua massima velocità, con ben 7.273 km/h (Mach 6,7) a 31.000 metri. Gli esperimenti con l’X-15, in termini di rilevazione dei dati termici e meccanici in simili regimi estremi di volo, furono preziosi per arrivare alla famosa navetta spaziale Space Shuttle, il cui primo esemplare, il Columbia, compì la prima missione orbitale il 12 aprile 1981, mentre l’ultimo Shuttle, l’Atlantis, chiuse il trentennale programma con l’ultima missione del 17 luglio 2011.

Parimenti, i veicoli di rientro MIRV dei missili balistici sono considerabili ipersonici, ma fintanto che si trattava di oggetti in traiettoria, generalmente di forma conica, dalla posizione e velocità relativamente prevedibile, il compito di una difesa antimissile poteva sembrare, certamente non facile, ma senz’altro fattibile.

Un primo passo verso gli attuali sviluppi era stato rappresentato dal sorgere della tipologia MARV, Maneuverable Reentry Vehicle, ovvero testate racchiuse in un involucro sagomato in modo asimmetrico, per generare una forza aerodinamica sfruttabile, e talvolta assistito da piccoli motori a razzo di manovra, per modificare la traiettoria finale in avvicinamento al bersaglio in modo da ingannare la difese nemiche.

Da un certo punto di vista, gli attuali ipersonici sono quindi la continuazione di un percorso già avviato da decenni. Essenzialmente si dividono in missili da crociera ipersonici, cioè velivoli paragonabili ai “cruise” ma dall’aerodinamica estrema e in genere motorizzati con uno scramjet, e “alianti ipersonici”, (Hypersonic glide) che sono parte di missili più grandi, spesso balistici, e vengono da essi accelerati ad altissimi Mach prima di proseguire da soli in planata stratosferica, senza motore, grazie alla loro forma solitamente somigliante a una cuspide appiattita o a una punta di freccia.

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Gli Stati Uniti all’inizio del XXI secolo sembravano ben avviati a poter sviluppare per primi una nuova generazione di ipersonici. Sintetizzando per ovvi motivi di spazio, ricorderemo che fra il 2001 e il 2004 la NASA sperimentò il Boeing X-43, un piccolo dimostratore tecnologico a scramjet, lungo 3,65 metri, che veniva fissato al muso di un razzo Pegasus il quale doveva accelerarlo fino a rendere il flusso sufficiente ad accendere lo statoreattore.

L’intero complesso Pegasus/X-43 veniva sganciato da un B-52, poi, esaurito il booster, l’X-43 proseguiva con 10 secondi di accensione dello scramjet e 10 minuti di planata controllata fin nelle acque dell’Oceano Pacifico.

I test registrarono velocità record di quasi Mach 10, circa 11.000 km/h, a quote di 30.000 metri, ma vennero sospesi per motivi di costi. Parimenti rimasero allo stadio sperimentale altri due programmi americani di ipersonici negli anni successivi, entrambi legati al concetto di Prompt Global Strike, attacco globale repentino.

Un’idea elaborata a partire dal 2006 dal Pentagono, pensando a un sistema di attacchi convenzionali di raggio globale portati con testate ipersoniche precisissime, in grado di colpire qualunque punto del pianeta entro un’ora, per evitare di dispiegare migliaia di soldati, carri armati, aerei e ingombranti portaerei come accaduto nelle varie guerre regionali degli ultimi trent’anni.

Da un lato, l’agenzia DARPA varò il Progetto Falcon, che diede luogo a vari progetti poi abortiti, fra i quali giunse alla fase pratica il prototipo HTV-2 (Hypersonic Technology Vehicle), che era una testata ipersonica planante costruita dalla Lockheed Martin con guscio esterno in carbonio per resistere alle altissime temperature previste sulla superficie, circa 1900 gradi centigradi.

La velocità prevista doveva essere infatti di Mach 20, con attriti formidabili. L’HTV-2 doveva essere portato a una quota suborbitale di 160 km da un razzo vettore spaziale Minotaur IV, per poi uscire dall’ogiva ed effettuare una lunga librata ipersonica. La prima prova dell’HTV-2 si ebbe il 22 aprile 2010, quando l’oggetto fu lanciato da Vandenberg con rotta prevista di 7700 km sopra il Pacifico, fino all’atollo di Kwajalein.

L’ipersonico toccò 21.245 km/h, poi furono persi i contatti e andò perduto nell’oceano, forse perchè le altissime temperature ne avevano schiantato la struttura. Destino analogo ebbe un secondo HTV-2, testato sempre con traiettoria transpacifica l’11 agosto 2011. Nel medesimo periodo, un parallelo programma era quello dell’aviolanciato Boeing X-51 Waverider, finanziato da USAF, NASA e DARPA e considerato un po’ erede del precedente X-43. Come l’X-43, l’X-51 era infatti un ipersonico a scramjet accelerato da un booster dopo lo sgancio in alta quota da un B-52.

Nella fattispecie, il veicolo, lungo 7,6 metri, era montato davanti a un missile ATACMS che gli dava l’accelerazione iniziale dopo il rilascio dal bombardiere, che avveniva sui 15.000 metri. Il primo test si ebbe il 26 maggio 2010 e il B-52 decollato dalla base di Edwards, in California, lo lanciò verso il Pacifico, dove il missile precipitò dopo aver trasmesso tutti i dati telemetrici. Seguirono altri tre test, l’ultimo dei quali il 1° maggio 2013, in cui altri X-51, prima di inabissarsi in mare, fecero registrare velocità dell’ordine fra Mach 5 e Mach 6, fra 5300 e 6400 km/h. Anche questo programma fu sospeso, forse anche perchè gli statunitensi non sembravano avere ancora le idee chiare sugli scopi finali di questi esperimenti.

Negli USA infatti, a causare incertezze, dubbi, ripensamenti, e dunque ritardi, nello studio degli ipersonici concorreva la sovrapposizione e l’interferenza fra esigenze spesso diverse. La NASA partecipava ai programmi nell’intento di arrivare a un vettore spaziale a basso costo lanciabile da aeroplani, anziché da onerosi cosmodromi, mentre i militari, riguardo al concetto del Prompt Global Strike, dibattevano sull’alternativa fra testata-aliante portata da missile balistico ICBM, missile aviolanciato o perfino velivolo riutilizzabile ipersonico da bombardamento, ovvero un drone in grado di arrivare su un obiettivo, sganciare le bombe e ritornare alla base.

Il tutto condizionato dal fatto che l’approccio americano era legato al concetto di un’arma convenzionale, il che poneva problemi enormi in fatto di precisione. Ma intanto la Russia e la Cina riuscivano a velocizzare il loro approccio concentrandosi fin da subito su un’idea guida prevalente, cioè quella di un ordigno nucleare in grado di superare le difese antimissile. Sapevano cosa volevano.

 

Lance contro scudi

“Gli Stati Uniti stanno consentendo una costante e incontrollata crescita del numero di missili anti-balistici, migliorando la loro qualità e creando nuove aree di lancio. Se noi non facciamo qualcosa, alla fine ciò sfocerà nella completa svalutazione del potenziale nucleare della Russia. Significa che tutti i nostri missili potrebbero semplicemente essere intercettati”.

Così Putin parlava il 1° marzo 2018 davanti all’Assemblea Federale di Mosca, lamentando la crescita esponenziale dei sistemi antibalistici costruiti dagli Stati Uniti sia sul loro territorio, sia in Europa e Asia. Il riferimento, quindi, non era solo ai missili intercettori GBI di base a Fort Greely, in Alaska (nella foto sotto) per la difesa del Nordamerica, ma anche ad altri sistemi tra cui l’Aegis imbarcato, basato sui più recenti missili Standard SM-3, e la sua versione su terraferma, l’Aegis Ashore installato nella base americana di Deveselu, in Romania, quasi alle porte della Russia.

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L’espansione delle difese antimissile americane preoccupava Mosca già da una quindicina d’anni, dopo che nel 2002 gli USA, allora guidati dal presidente George Walker Bush, avevano deciso il ritiro unilaterale dal trattato ABM del 1972, che vietava all’America e all’allora Unione Sovietica lo schieramento di sistemi antimissile, salvo due soli siti per parte.

Era una limitazione delle difese voluta per diminuire i rischi di guerra nucleare accentuando la deterrenza. Ciò perchè l’illusione di avere una difesa antimissile efficace avrebbe potuto far credere a una delle due parti di essere poco vulnerabile, incoraggiandola forse a un attacco a sorpresa. Per trent’anni, il trattato ABM era stato uno dei pilastri del mantenimento della pace fra Mosca e Washington, ma col suo rifiuto da parte statunitense si prospettava il pericolo di una supremazia nucleare incontrastata da parte di un’America alla ricerca dell’impunità.

Così i russi, e anche i cinesi, cominciarono seriamente a pensare a come riequilibrare la bilancia. E quale espediente migliore delle armi ipersoniche, difficilissime da tracciare e da abbattere? Sarebbero state le nuove lance forgiate per infrangere i nuovi scudi dell’avversario.

Perciò Putin, nel suo discorso del 2018 annunciava con orgoglio: “Ho il piacere di informarvi che, dopo certi esperimenti, siamo sicuri che presto le forze strategiche missilistiche della Russia avranno un nuovo sistema capace di distruggere bersagli intercontinentali con velocità ipersonica e alta precisione, capaci di manovrare in quota e direzione. Non ci sono cose simili al mondo”.

 

Rivelava altresì l’esistenza degli altri due sistemi ipersonici che, affiancati al citato Zircon, formano una triade che pone la Russia effettivamente avanti all’America, almeno in questo momento. Parliamo dell’Avangard (“avanguardia”) e del Khinzal (“pugnale”), il primo alloggiato dentro missili intercontinentali ICBM, il secondo lanciabile da velivoli da caccia.

L’Avangard affonda le sue radici in studi effettuati fin dagli anni Ottanta e Novanta dal gruppo di lavoro guidato dallo scienziato Gerbert Efremov sulle testate manovrabili MARV. Fin dal 2004 fu sperimentato un prototipo denominato Objekt 4202, la cui progettazione fu effettuata da Pavel Sudyukov presso la NPO Mashinostroyenya e che fu chiamato anche Yu71.

Nei 10 anni seguenti prototipi Yu71 furono provati con stretto riserbo almeno 4 volte, la quarta nel febbraio 2015, quando uno di questi ordigni fu lanciato in traiettoria suborbitale da un missile UR-100UTTKh lanciato dalla base di Dombarovsky, negli Urali, verso un’area bersaglio nel poligono di Kura, nella penisola siberiana della Kamchatka lontana oltre 6.000 chilometri. Il successivo perfezionamento si ebbe nel giugno 2016, quando un nuovo prototipo migliorato, denominato Yu74, fu lanciato ancora con un missile sparato da Dombarovsky colpendo l’obbiettivo a Kura.

Avangard

Seguirono altri test dell’oggetto planante che aveva ormai preso le sembianze dell’Avangard definitivo, di cui l’ultimo avvenuto il 26 dicembre 2018. Quel giorno, sempre da Dombarovsky, l’Avangard perfezionato piombò ancora su Kura, toccando una velocità che per la prima volta venne dichiarata in Mach 27.

Era la conferma a quanto già lo stesso Putin aveva dichiarato con orgoglio: “Nuovi materiali compositi hanno permesso di affrontare il problema di tenere sotto controllo il veicolo alato durante un volo prolungato attraverso il plasma. Infatti, mentre si avvicina, assomiglia a un meteorite. Una palla di fuoco. La temperatura sulla sua superficie può toccare 1600-2000 gradi Celsius. Il controllo del veicolo alato resta in atto per tutta la rotta”.

Su quel test, il vicepremier russo Yuri Borisov ha detto: “A quasi 30 Mach, nessun antimissile può abbatterlo”.

E l’ex-ministro Sergei Ivanov: “Muta continuamente direzione e altitudine e zigzagando caoticamente nell’atmosfera, è impossibile rilevarne la posizione”. La fase degli esperimenti sull’Avangard sembra conclusa e se ci saranno ulteriori test, saranno vere prove di fuoco operative.

Ormai, la testata-aliante russa è entrata in servizio dal 27 dicembre 2019, stando ai comunicati ufficiali del ministro della Difesa Sergei Shoigu, che ha dichiarato l’Avangard “operativo dalle 10.00 del 27 dicembre” a bordo di almeno sei missili ICBM UR-100N della 13° Divisione Missili di base a Yasny, i quali teoricamente ne potrebbero imbarcare fino a 6 per ciascuna ogiva in modalità MIRV.

E’ previsto che l’aliante-ipersonico venga presto inserito, forse durante il 2021, anche nei nuovi intercontinentali pesanti RS-28 Sarmat, che in modo MIRV ne potrebbero portare fino a 20 o perfino 24 cadauno.

Poche settimane fa, il 19 settembre 2020, Putin in persona ha voluto rendere omaggio all’anziano Gerbert Efremov, considerato il padre del programma Avangard, colloquiando con lui in videoconferenza e concedendogli l’onorificenza dell’Ordine di Sant’Andrea. Pur ricordando tutti gli altri nuovi armamenti strategici annunciati fin dal 2018, il presidente russo ha garantito allo scienziato: “L’Avangard occupa un posto speciale fra essi, poiché è un oggetto ipersonico che si muove a oltre 27 Mach e cambia direzione sia verticalmente, sia orizzontalmente. Non è solo un nuovo sistema, è un nuovo tipo di arma strategica”.

Al che Efremov ha pure riconosciuto che “i nuovi sistemi che progettiamo sono unici, cruciali e così necessari per il nostro paese”.

L’Avangard, che non è finora mai stato mostrato in fotografia ma solo con disegni di massima, è un’acuminata cuspide, forse con piccole superfici verticali nella parte caudale (ma non è sicuro), lunga oltre 5 metri e, forse, dotata di uno scramjet che potrebbe servire a riguadagnare quota momentaneamente nel quadro delle manovre sul piano verticale in fase di rientro nell’atmosfera. Essendo espressamente concepito fin dall’inizio per portare testate nucleari, in un raggio di potenza che potrebbe andare da 150 chilotoni a 2 megatoni, non gli è richiesta una precisione eccezionale.

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Ma ciò che sarebbe eccezionale, sulla base di quanto dicono i russi, è la sua capacità di improvvisare manovre evasive che, unite alla velocità di 30.000 km/h, disorienterebbero le difese antimissile, tuttora calibrate sull’ipotesi di tradizionali testate MIRV in rientro nell’atmosfera.

Ciò pone interrogativi sul reale livello raggiunto dalla Russia. Se infatti le manovre dell’Avangard sono interamente “autogene”, cioè generate da un suo cervello elettronico interno, sulla base di una casualità indotta da algoritmi oppure sulla base di più raffinate reazioni a indizi dell’attività difensiva nemica, il problema riguarda i progressi dell’intelligenza artificiale raggiunti dai russi, forse superiori a quanto ipotizzato.

Se invece le manovre evasive sono frutto di radiocomando e controllo, via comunicazioni da stazioni terrestri, aeree o satellitari, sorge l’interrogativo se gli scienziati russi siano riusciti a padroneggiare la tecnica del plasma ad altissima temperatura tanto da aggirarne l’effetto di schermatura radio.

E’ noto infatti fin dai primordi dell’era spaziale che i veicoli orbitali in rientro nell’atmosfera terrestre attraversano una fase di “blackout” nelle comunicazioni radio dovute allo strato di plasma, appunto gas ionizzato ad altissima temperatura, che si forma attorno all’involucro per l’attrito.

Se, tuttavia, i russi avessero scoperto un metodo per inviare o ricevere segnali radio anche attraverso il plasma, per quanto tenuto segreto, esso potrebbe essere, presto o tardi scoperto anche in altri paesi, consentendo un più facile avvistamento radar di tali oggetti e/o contromisure elettroniche per disturbarli.

 

L’altro missile ipersonico russo operativo, il Kinzhal, è un derivato alleggerito e aviolanciabile del missile balistico a breve raggio Iskander.

E’ stato collaudato per la prima volta il 1° dicembre 2017 e già dal marzo 2018 alcuni esemplari venivano utilizzati in esperimenti operativi in una squadriglia di caccia intercettori Mikoyan-Gurevich Mig-31 di base ad Achtubinsk, nel Sud della Russia. Progettato da Valery Kashin della KBM Kolomna, il missile, la cui designazione completa è Kh-47M Kinzhal, è lungo circa 6 metri ed è spinto da un motore a razzo a combustibile solido che gli fa raggiungere una velocità massima di Mach 10, circa 12.000 km/h, per un raggio d’azione di 2000 km.

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Può portare una testata nucleare, ma anche una convenzionale pesante 500 kg. Fra il 2019 e il 2020 molti Mig-31 dotati di Kinzhal hanno compiuto voli di pattuglia operativi dapprima sul Mar Nero, poi nei cieli dell’Artico, dimostrando che l’arma sembra ormai operativa.

Si sta lavorando per adattarlo ad altri velivoli come il Sukhoi Su-34 e il grosso Tupolev Tu-22M, ma quel che è certo è che il “Pugnale” è forse la meno avanzata delle nuove armi russe. Infatti, più che un ipersonico d’avanguardia è un cosiddetto “missile aerobalistico”, cioè una modifica di un normale missile balistico, l’Iskander appunto, perchè venga lanciato ad alta velocità da un aereo a una quota di 12.000-15.000 metri. L’aereo-madre fa quindi le veci del primo stadio da rampa terrestre. Ciò non toglie che le sue prestazioni di tutto rispetto pongano comunque grossi problemi alle difese della NATO.

A corollario di questi sviluppi, l’11 novembre 2020 il presidente Putin ha annunciato che la Russia sta costruendo un nuovo centro di comando e controllo delle forze nucleari strategiche, presumibilmente sotterraneo in quanto a prova di bomba H. “Sono stato informato – ha detto Putin – che è giunto alle fasi finali di costruzione un nuovo posto di comando con protezione assoluta, anche da attacchi nucleari strategici. E’ importante che tutto l’equipaggiamento, il materiale e le comunicazioni per controllare le armi nucleari continuino a essere moderne, semplici e affidabili, come un fucile Kalashnikov”.

Parimenti, anche la Cina ha sviluppato un suo ipersonico, in tal caso affine per concezione all’Avangard russo. Si tratta di quella testata-aliante a cui inizialmente l’intelligence americana si riferiva col nome WU-14 e che poi è stata battezzata DF-ZF, ed è stata collaudata a partire dal gennaio 2014. Sarebbe in grado di raggiungere fra Mach 6 e Mach 10 ed è apparsa per la prima volta alla parata di Pechino del 1° ottobre 2019 innestata sui nuovi missili balistici a medio raggio DF-17 con gittata massima di 2500 km.

Alla parata, che celebrava i 70 anni della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, hanno sfilato su altrettante rampe mobili autocarrate ben 16 esemplari di sistema DF-17/DF-ZF, che in apparenza sembrano pronti all’impiego, sebbene non sia da scartare l’ipotesi che si tratti, totalmente o parzialmente, di simulacri.

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L’ipersonico planante DF-ZF è assai lungo e acuminato e il suo profilo di missione potrebbe essere considerato parallelo a quello dell’Avangard, tantopiù che potrebbe essere adattato ad altri balistici a maggiore raggio d’azione, come il DF-31 e il DF-41. I cinesi stanno anche provando un altro ipersonico, lo Xingkong-2, in tal caso un probabile velivolo da crociera tipo Waverider. Il suo primo test riuscito è stato effettuato il 3 agosto 2018 nella Cina del Nordovest. Decollato con un razzo booster, si è alzato fino a 30.000 metri di quota, toccando poi Mach 6.

Parallelo esperimento è stato quello di un ipersonico a scramjet di concezione simile, il Jia Geng No. 1, realizzato dall’università aerospaziale di Xiamen e dall’industria Lingkong Tianxing Technology di Pechino. Ufficialmente presentato come un vettore aerospaziale riutilizzabile, ma chiaramente adattabile a scopi militari, il Jia Geng è stato lanciato per la prima volta dal poligono di Korla, nello Xinjiang, verso il deserto di Gobi il 24 aprile 2019. Ha decollato verticalmente spinto da un vettore booster, proseguendo poi in fase scramjet fino a toccare 27.000 metri di quota. Poichè è stato dichiarato che “è atterrato senza danni”, si presume che una volta esaurita la spinta sia sceso con paracadute. I cinesi hanno dichiarato alcuni dati dimensionali del Jia Geng, in particolare una lunghezza di 8,7 metri, un’apertura alare di 2,5 metri e un peso di 3700 kg.

In genere la Cina è abbastanza riservata sui suoi ipersonici, ma nelle ultime settimane sono emerse nuove immagini che accreditano le prove di un missile ipersonico lanciabile dal ventre dei bombardieri pesanti Xian H-6N.

Dapprima, il 17 ottobre 2020, si è diffuso su internet un video, apparentemente girato da civili che sostavano su una strada presso una base poi identificata da alcuni analisti con la pista di Neixiang, nella provincia dell’Henan, sede della 106° Brigata dell’aviazione cinese, deputata all’attacco nucleare.

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Le immagini mostrano uno Xian H-6N che sorvola a bassissima quota la strada mostrando, per pochi fugaci secondi, di trasportare agganciato sotto il ventre della fusoliera un affusolato ordigno lungo in apparenza circa 12 metri. Un distinto video, che mostrava un altro Xian H-6N munito del missile non identificato, è stato diffuso sul social media cinese Weibo il 5 novembre, ma è stato poi rimosso e se ne trovano solo fotogrammi isolati.

In entrambi i casi, l’ordigno trasportato dal bombardiere è stato interpretato come una versione aviolanciata del citato DF-17/DF-ZF, ma si è anche proposta l’ipotesi che si tratti del missile da crociera supersonico Chang Jian CJ-100.

Non si è in grado di dire se i video in questione siano stati “rubati” oppure diffusi ad arte dal regime di Pechino per lanciare fumo negli occhi e non far capire esattamente a che livello di operatività siano giunti questi sistemi. E’ possibile comunque che i cinesi siano anche più avanti di quanto ipotizzato.

 

L’America in ritardo?

Abbiamo visto come gli Stati Uniti si siano per il momento lasciati superare nella corsa all’ipersonico. Attualmente gli americani stanno portando avanti numerosi programmi, in una pletora di sigle che forse frastornano gli stessi “alti papaveri” del Pentagono.

Progetti minati sia dalla pretesa di armare gli ordigni con cariche convenzionali, anziché nucleari, e restando quindi indietro di alcuni anni dal punto di vista dell’evoluzione concettuale, sia dalla concorrenza burocratica fra US Army, US Navy, US Air Force e agenzia DARPA.

Qualcosa che si era già visto, in altre forme, fra il 1955 e il 1957 nel campo della nascente astronautica, quando l’eccessiva litigiosità fra gli enti fece perdere agli Stati Uniti il traguardo del primo satellite artificiale, non a caso raggiunto dall’Unione Sovietica con il famoso Sputnik.

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Anche nel caso della competizione con Russia e Cina, si è scontato il fatto che in America le decisioni non sono così verticistiche come in quelle potenze, ma soggette a maggior dibattito, politico e militare, anche fra le varie lobby.

La richiesta di fondi per i vettori ipersonici da parte del Pentagono è stata di 2,6 miliardi di dollari per il 2020, ed è poi cresciuta ai 3,2 miliardi di dollari previsti per il 2021, fra quali circa 206 milioni dovrebbero andare a finanziare anche lo studio di possibili soluzioni difensive contro i sistemi nemici pariclasse. Ma per ora si è ancora a una fase sperimentale che Mosca e Pechino hanno superato da almeno tre-quattro anni.

L’US Army stava lavorando già una decina d’anni fa a una testata-aliante di tipo diverso dall’Avangard, la cosiddetta “testata alternativa” detta Alternate Re-Entry System, progettata dai laboratori nazionali Sandia come un cono lungo 2,5 metri, dal guscio a base di carbonio, a prima vista non troppo dissimile dalle precedenti testate MIRV, ma implementato da quattro pinne caudali per la discesa manovrata.

Sebbene ribattezzata AHW, Advanced Hypersonic Weapon, era in sostanza ancora una MARV, che venne collaudata il 18 novembre 2011 lanciata con razzo booster dal poligono del Pacific Missile Range di Kauai, nelle isole Hawaii. La testata, fra parabola accelerata e discesa manovrata, coprì una tratta di 3.700 km in mezz’ora, quindi ad almeno Mach 6, colpendo un’area bersaglio nell’atollo di Kwajalein.

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Il veicolo non uscì dall’atmosfera, non superando 100 km di quota e pertanto il suo volo fu relativamente livellato. Per il secondo test si dovettero attendere tre anni, ma andò male.

Lanciato il 25 agosto 2014 da una base sull’isola di Kodiak, al largo dell’Alaska, con bersaglio ancora Kwajalein, stavolta l’ordigno americano è andato distrutto pochi minuti dopo il decollo poiché per non meglio specificati guasti, è stato deciso di far esplodere per sicurezza il razzo vettore. Nel frattempo, la US Air Force e la US Navy portavano avanti progetti paralleli di una testata-aliante ipersonica, motivata dalle allarmanti notizie che giungevano sugli esperimenti russi e cinesi.

Si trattava, nello specifico dei programmi Hypersonic Conventional Strike Weapon (HCSW) dell’Aeronautica e Conventional Prompt Strike (CPS) della Marina. Proprio la US Navy effettuò nell’ottobre 2017 un “esperimento di volo” con “lancio di un prototipo da un sottomarino classe Ohio”, su cui c’è molto riserbo. Solo l’11 ottobre 2018 le tre forze hanno deciso di collaborare, ma l’Aeronautica si è progressivamente sfilata dai lavori per una testata ipersonica comune, finchè il suo programma HCSW è stato annullato per motivi di costi il 10 febbraio 2020.

Il passo più concreto in tal senso è rimasto quindi il collaudo di una nuova testata planante interforze, Army-Navy, denominata Common Hypersonic Glide Body, o C-HGB, (Corpo planante ipersonico comune) installata dentro un vecchio missile SLBM Polaris A-3 e lanciata il 19 marzo 2020 da Kauai ancora verso Kwajalein, con pieno successo.

Forse era a questo ordigno che il presidente statunitense Donald Trump si riferiva quando in un suo discorso del 16 maggio 2020 alla Casa Bianca, quando ha annunciato che “abbiamo un Super Duper Missile (missile super ingannatore) capace di volare 17 volte più veloce di quelli finora avuti”.

Forse intendeva 17 Mach, ma è possibile si riferisse al C-HGB, di cui il Pentagono ha già ordinato alla Dynetic e alla Lockheed Martin 20 esemplari, più 4 in opzione. Tale veicolo non è altro che il prototipo di quello che operativamente si configura come programma Long Range Hypersonic Weapon (LRHW), di cui al Pentagono è stata fatta una presentazione ufficiale il 27 febbraio 2020, mostrando di nuovo una sagoma conica alata, con previsione di fase operativa non prima del 2023.

Si tratterebbe di un sistema di missile e testata ipersonica lanciabile da celle canister su rampa mobile autocarrata, ma presumibilmente imbarcabili anche su nave.

Frattanto la DARPA, ripescando l’esperienza dell’HTV-2 sta portando avanti un progetto denominato Tactical Boost Glide, o TBG, di breve-medio raggio, ma non esistono ancora prototipi veri e propri.

In parallelo, DARPA sta anche lavorando su un non meglio specificato Hypersonic Air-Breathing Weapon Concept (HAWC), che riprende il filone degli ipersonici a scramjet, appunto alimentati da flusso d’aria supersonica in ingresso, e su cui sembra esserci un alto livello di segretezza, dato che uno scarno indizio della prosecuzione di prove di prototipi è stata la notizia riportata da “Aviation Week” il 9 giugno 2020, secondo cui un B-52 avrebbe “perduto” accidentalmente sopra i deserti della California uno di questi aerorazzi, per l’esattezza, come hanno scritto i reporter Guy Norris e Steve Trimble: “Un missile a scramjet sviluppato da DARPA e USAF per il programma HAWC è andato distrutto in un recente incidente di collaudo.

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Si pensa che il missile si sia inavvertitamente separato da un B-52 durante un testo di volo vincolato. Le cause dell’incidente, che si pensa abbia coinvolto un B-52 del 419° Flight Test Squadron della base Edwards, sono sotto oggetto di indagine”.

L’incidente avrebbe quindi bloccato, momentaneamente un ennesimo programma su cui non è dato sapere la reale portata, e che è stato ventilato da fonti USAF col soprannome “Mayhem”. Si infittisce quindi il mistero sulla complessità dell’approccio americano agli ipersonici.

L’Air Force, che si è ritirata dal fronte HCSW, parla più volentieri del più promettente programma ARRW, ovvero Air-Launched Rapid Response Weapon. Che ha già dato luogo a un prototipo, il missile aviolanciabile Lockheed Martin AGM-183A. Per ora è stato solo provato in volo passivamente, cioè appeso a un Boeing B-52 per compatibilità e stabilità aerodinamica, mentre i lanci autopropulsi sono previsti nel 2021-2022. In prospettiva potrà essere portato non solo da grossi bombardieri come il B-52 e il Rockwell B-1B, sia da caccia McDonnell Douglas F-15E e Lockheed F-35.

Dovrebbe raggiungere Mach 20, circa 24.000 km/h, dopo una fase di accelerata con razzo booster in cabrata, seguita dallo sgancio di un aliante appiattito in planata stratosferica. Il contratto per la sua realizzazione fu firmato dall’USAF con la Lockheed Martin nell’agosto 2018, per 480 milioni di dollari.

E già il 12 giugno 2019 avveniva il primo volo di un AGM-183A inerte appeso al pilone subalare di un B-52 decollato da Edwards. Un anno dopo, l’8 agosto 2020, un AGM-183A è stato ancora portato in volo da un B-52, per verificare evidentemente nuove modifiche.

Sull’evoluzione del programma ARRW le ultime notizie sono emerse lo scorso 1° ottobre da una conferenza del generale Andrew Gebara, direttore strategico del Global Strike Command dell’USAF. Egli ha asserito che l’AGM-183A “avrà una velocità massima fra Mach 6,5 e Mach 8 e può colpire nel giro di 10-12 minuti un bersaglio a 1600 km di distanza”.

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Secondo il generale americano, “l’USAF ha ordinato almeno 8 prototipi del missile” e inoltre “i test di volo reale verranno effettuati da ottobre 2021 e l’entrata in servizio si avrà nel settembre 2022”.

Nel comizio ad Ocala, Florida, del 16 ottobre, un Trump a caccia della rielezione a presidente ha cercato di smorzare le polemiche sui ritardi USA, dichiarando: “Abbiamo i missili ipersonici di cui avete sentito parlare. Non li avevamo perchè altri paesi avevano rubato i nostri piani dall’amministrazione Obama, ma ora abbiamo missili ipersonici”.

In verità un ipotetico ruolo dello spionaggio russo e cinese sembra piuttosto marginale, se non, forse, sotto l’aspetto della tecnologia dei materiali, considerata la diversità dei progetti e il fatto che scienziati russi come Efremov già studiavano il problema decenni fa. Nelle stesse ore il Dipartimento alla Difesa USA ha designato il Naval Surface Warfare Center della contea di Martin, nell’Indiana, come centro deputato allo sviluppo degli ipersonici, intesi quelli sviluppati dalla Marina insieme all’Esercito.

Pochi giorni dopo, il consigliere alla Sicurezza Nazionale Robert O’Brien ha preannunciato che, in prospettiva, i missili ipersonici diventeranno abbastanza comuni come parte delle forze avanzate statunitensi sui mari e nel teatro europeo. Infatti il 21 ottobre ha dichiarato: “Questa capacità verrà dispiegata prima sui nostri nuovi sottomarini classe Virginia e sui cacciatorpediniere classe Zumwalt, e alla fine anche sui classe Arleigh Burke”.

E il 28 ottobre ha aggiunto: “Essendo fuori dal trattato INF, se necessario schiereremo missili ipersonici in Europa per la deterrenza verso la Russia”.

La vittoria elettorale di Biden configuratasi dopo il 3 novembre non sembra al momento minare questa strategia di lungo periodo, anche se, da candidato del Partito Democratico, non poteva che ribadire, a parole, in campagna elettorale il sogno di un “mondo senza armi nucleari”. Al di là infatti di correzioni al bilancio della Difesa, è impensabile che la nuova amministrazione scelga dei passi indietro nel settore.

Prova ne è che il 7 novembre un esponente democratico di estrazione militare, l’ex-generale dei Marines Arnold Punaro, che fa da consulente militare e da uomo di collegamento fra il gruppo del Partito Democratico al Senato di Washington e i colossi dell’industria bellica americana, ha dichiarato al Washington Post: “La nostra industria militare conosce bene Biden e anche lui la conosce bene. Penso che quando l’amministrazione Biden inizierà a occuparsi di sicurezza nazionale, il complesso industriale la apprezzerà”.

 

La deterrenza salvata

Abbiamo visto come la nascita degli odierni ipersonici strategici è stata determinata da due esigenze diametralmente opposte. Per gli americani la ricerca di un mezzo velocissimo per attacchi convenzionali ovunque nel globo entro un’ora dal lancio, come alternativa a costosi corpi di spedizione contro “stati canaglia” o simili.

Per russi e cinesi, la ricerca invece di un modo per tornare a rafforzare l’offensiva nucleare e annullare quindi tutti i progressi americani nel campo della difesa antimissile. La maggior complessità del problema affrontato dagli americani, oltre a incertezze e proliferazione di troppi programmi e troppi prototipi, hanno determinato il ritardo degli USA, mentre per Russia e Cina si trattava di, tecnicamente e concettualmente, evolvere in senso aeronautico il concetto di testata MARV.

Effettivamente sembra quindi che sia stato salvato il principio della deterrenza che pareva minacciato dal ritiro degli USA dal trattato ABM.

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L’avvistamento radar di ordigni ipersonici è molto più tardivo e forse quasi impossibile nella fase in cui si sviluppa l’incandescente plasma, rispetto ai tradizionali veicoli di rientro MIRV dei missili balistici, almeno per quanto riguarda i radar posizionati sulla superficie terrestre, siano essi su terraferma o su piattaforma navale.

Tanto più che i boost glide come l’Avangard verrebbero sganciati dal vettore con una traiettoria non parabolica, ma fatta come un basso arco, molto orizzontale in modo da farlo “veleggiare” sugli strati alti dell’atmosfera. L’unico modo, a detta degli esperti USA, di ridurre il pericolo di attacchi da parte di ordigni sfreccianti a simili velocità sarebbe quindi quello di aumentare di molto il ruolo dei sensori posti in orbita, radar e/o infrarossi imbarcati su satellite.

Ciò, tuttavia, comporterebbe costi notevoli, oltre a quelli già non indifferenti delle difese antimissile esistenti e avrebbe inoltre l’effetto retroattivo di rendere gli USA ancora più dipendenti dallo spazio di quanto già non siano.

In un precedente articolo avevamo già illustrato per Analisi Difesa il dilemma statunitense in fatto di possibile guerra spaziale, assai più costosa per chi si deve difendere che per chi deve attaccare, bastando una manciata di frammenti “stupidi” sparsi su un’orbita per causare danni incredibili.

Peraltro, anche dai satelliti non è facile avvistare gli ipersonici. Fin dal dicembre 2018, l’ex-sottosegretario alla Difesa per la Ricerca e l’Ingegneria, nonché ex-direttore dell’agenzia spaziale NASA, Michael Griffin aveva evidenziato: “I bersagli ipersonici sono da 10 a 20 volte più deboli da rilevare rispetto a quanto possano normalmente fare i satelliti geostazionari”.

Gli Stati Uniti si sono in un certo senso infilati in vicolo cieco, perdendo l’iniziativa in un campo cruciale ipnotizzati dalla prospettiva “fantascientifica” di usare ipersonici globali convenzionali per tenere sottotiro Corea del Nord o Iran, investendo tempo e soldi per ordigni che, nelle intenzioni originarie, potevano essere destinati a distruggere, per esempio, una nave o un bunker molte volte meno costosi del vettore impiegato per distruggerlo.

Nel frattempo, Russia e Cina hanno proceduto spediti verso l’obbiettivo di armi nucleari ipersoniche per vanificare altri miliardi di dollari spesi dagli USA in un altro campo, quello della difesa antimissile.

Per loro il concetto di “precisione” è relativo poiché un ipersonico nucleare può distruggere virtualmente qualsiasi cosa per un vasto raggio, anche se impattasse a decine di metri di distanza dall’obbiettivo.

La minor sfida tecnica della precisione e la chiarezza di idee sugli scopi indubbiamente ha avvantaggiato russi e cinesi nella velocità dei loro programmi.

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Un documento redatto il 27 agosto 2020 dai consulenti del Congresso USA dell’ente Congressional Research Service, a uso di deputati e senatori, il dossier “Hypersonic Weapons: Background and Issues for Congress”, è illuminante sul fatto che al Pentagono si sta ancora perdendo tempo dibattendo sui vari prototipi. Vi si cita l’assistente direttore per i programmi ipersonici del Dipartimento alla Difesa, Mike White: “Il Dipartimento non ha ancora preso una decisione per acquisire armi ipersoniche e sta invece sviluppando prototipi per identificare i concetti di armamento più proficui fa cui scegliere e poi prendere una decisione basata sul successo e sulle sfide”.

Il rapporto indica inoltre che gli americani si rendono perfettamente conto di come sia difficile considerare queste armi: “Gli analisti sono in disaccordo sulle implicazioni strategiche delle armi ipersoniche. Alcuni hanno identificato due fattori che comportano implicazioni reali per la stabilità strategica: il breve tempo di volo dell’arma, che comprime i tempi di risposta, e la sua imprevedibile rotta di volo, che può generare incertezza a proposito del bersaglio premeditato e quindi aumentare il rischio di errori di valutazione o di escalation involontaria nell’ipotesi di un conflitto”.

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Il problema, sottolinea il rapporto inoltrato al Congresso americano, è che anche la percezione di un simile attacco può non essere univoca, potendo portare a reazioni che una parte riterrebbe giustificate, e la parte avversa sproporzionate.

Il rapporto al Congresso riprende inoltre valutazioni fatte in sede ONU dall’United Nations Office of Disarmament Affairs, “Hypersonic Weapons”: “Anche se uno Stato non sa che un veicolo ipersonico lanciatogli addosso è armato in maniera convenzionale, può sempre vedere una simile arma come strategica per sua natura, senza riguardo su come venga considerata dallo Stato che l’ha lanciata. E può decidere che sia giustificata una risposta strategica”.

Sarebbero stati dubbi di questo tipo a far sì che in passato il Congresso di Washington non ha finanziato a sufficienza i progetti di Global Strike ipersonici, temendo di alterare gli equilibri.

E forse anche credendo erroneamente che lo sviluppo di armi ipersoniche da parte americana avrebbe in sostanza, spinto russi e cinesi a fare altrettanto. Ma in realtà, come abbiamo visto, era stato il potenziamento delle difese antimissile USA, a spingere gli avversari a battere questa via, sopravanzando, almeno per il momento, l’America.

Foto US DoD, DARPA, Ministero della Difesa Russo e TASS

 

Nato nel 1974 in Brianza, giornalista e saggista di storia aeronautica e militare, è laureato in Scienze Politiche all'Università Statale di Milano e collabora col quotidiano “Libero” e con varie riviste. Per le edizioni Odoya ha scritto nel 2012 “L'aviazione italiana 1940-1945”, primo di vari libri. Sempre per Odoya: “Un secolo di battaglie aeree”, “Storia dei grandi esploratori”, “Le ali di Icaro” e “Dossier Caporetto”. Per Greco e Greco: “Furia celtica”. Nel 2018, ecco per Newton Compton la sua enciclopedica “Storia dei servizi segreti”, su intelligence e spie dall’antichità fino a oggi.

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