Il futuro della Royal Navy nelle rinnovate linee guida della Difesa britannica
Lungamente attesi e oggetto di numerose anticipazioni, a distanza di pochi giorni uno dall’altro da Londra sono infine arrivati due importanti documenti destinati rispettivamente a ridefinire il ruolo del Regno Unito sulla scena internazionale e a indicare come dovrà cambiare di conseguenza lo strumento militare Britannico.
Una riflessione dunque profonda, che si coglie già nel primo documento, rilasciato il 16 marzo: The Integrated Review of Security, Defence, Development and Foreign Policy, nato per far fronte a una serie di cambiamenti e novità epocali.
Dalla uscita dall’Unione Europea (che però, come Londra ci tiene a precisare, non significa abbandonare l’Europa in quanto tale) ai continui nonché importanti cambiamenti degli scenari strategici. A questi elementi, si aggiungano poi i vari fattori di instabilità estremamente gravi (su tutti, il cambiamento climatico), così come le sempre più rapide innovazioni a livello tecnologico.
Tutti fattori che stanno cambiando in maniera sempre più profonda i paradigmi attraverso i quali ogni Paese è costretto a valutare/organizzare la propria azione in termini di sicurezza, difesa e politica estera. Aspetti sempre più intimamente collegati fra di loro; a dimostrazione dell’importanza di conservare una visione d’insieme in un mondo sempre più instabile.
Per quanto riguarda poi i temi di più diretto interesse per la Difesa, si è dovuto attendere qualche giorno ancora per aver il dettaglio di quanto anticipato a grandi linee nella “Integrated Review”. E’ infatti il 22 marzo quando viene reso noto il “Defence Command Paper (Defence in a competitive age)”, destinato a ridisegnare il volto delle Forze Armate Britanniche.
Un documento a suo modo ‘coraggioso’, che punta a recepire l’impatto determinato dalla comparsa di nuovi domini operativi, di nuove tecnologie cosiddette “disrupting”, delle lezioni apprese da conflitti recenti e dell’evoluzione dei sistemi d’arma
Ovviamente, a fronte di scelte talvolta anche ‘pesanti’ diventa quasi inevitabile esprimere perplessità ed avanzare dubbi; oltretutto, anche in questo documento non mancano decisioni rinviate a data da destinarsi.
Sennonché, l’impronta innovativa resta quella di gran lunga più degna di nota; accanto peraltro a sua solida dotazione finanziaria visto che nel novembre scorso (in una sorta di primo mattone di quanto si sarebbe costruito per l’appunto più avanti) era arrivato l’annuncio da parte del Primo Ministro Johnson.
Al termine di un rapido processo di “spending review” era stato infatti deciso un aumento di 24 miliardi di sterline al bilancio della Difesa nell’arco dei successivi 4 anni, portando il totale delle risorse disponibili per le Forze Armate di Sua Maestà a 188 miliardi di sterline nello stesso arco temporale (85 dei quali per l’acquisto di nuovi sistemi/equipaggiamenti e per attività di ricerca e sviluppo).
L’impatto sulla Royal Navy
Se c’è un aspetto che riesce a mettere tutti d’accordo nel giudizio sul “Defence Command Paper”, questo è il verdetto di vincitore per la Royal Navy.
A fronte infatti di qualche taglio nel breve periodo e comunque dal carattere transitorio, i programmi più a lungo termine restituiscono invece chiaramente l’immagine di una Marina che sarà attraversata da molte novità e da un sostanziale potenziamento.
Il primo punto è rappresentato da una sorta di (sempre significativa) ‘non-novità’, nel senso che questo stesso documento strategico sancisce in maniera per così dire definitiva l’importanza delle portaerei della classe Queen Elizabeth e, ovviamente, dei loro reparti aerei. Le capacità offerte da queste piattaforme così versatili, unite ai velivoli imbarcati e alle unità che faranno parte dei rispettivi gruppi di battaglia, rappresenteranno dunque il più classico degli strumenti per la proiezione di potenza per un Paese che torna a ragionare (magari con un po’ di presunzione…) di “Global Britain” e che ha messo tra i propri punti principali all’interno della “Integrated Review” il cosiddetto “tilt to Indo-Pacific”.
Perché l’area di maggiore importanza e interesse nei prossimi anni è ritenuta proprio questa: una regione all’interno della quale il livello di tensione è già elevato, con potenze di ogni dimensione che già vi operano regolarmente e altre ancora che si stanno attrezzando per farlo.
La “punta di lancia” di questo rinnovato sforzo britannico non poteva dunque che essere la Royal Navy; e sotto molti punti di vista, sarà proprio il 2021 l’anno di svolta in questo senso.
A maggio prenderà forma il “Carrier Strike Group 21” (CSG21); ovvero il lungo dispiegamento della portaerei Queen Elizabeth e del suo gruppo di battaglia, che culminerà con una presenza importante nello stesso Indo-Pacifico.
Di fatto, si parla del ritorno in pianta stabile e in forza del Regno Unito “a est di Suez”; a distanza cioè di circa 50 anni dalla storica decisione dell’allora primo ministro laburista Harold Wilson di ritirare ogni presenza militare Britannica proprio a est del famoso canale.
Su questo tema si inserisce però uno dei rinvii più importanti poiché il “Defence Command Paper” non risolve la cruciale questione del numero di F-35B che saranno acquisiti dal Regno Unito.
Questione evidentemente importante perché essi costituiscono il fulcro della Carrier Enabled Power Projection (CEPP) delle dueportaerei classe Queen Elizabeth stesse.
Il documento riferisce solo che ne saranno acquistati più dei 48 già ordinati con numero finale che si ipotizza essere compreso tra i 60 e gli 80, per una differenza non da poco con i 138 previsti.
Con 60 aerei sarebbe possibile formare (forse) 4 squadron operativi, più un altro in funzione OCU (Operational Conversion Unit): il tutto però con numeri molto risicati, tenendo conto delle possibili indisponibilità dei velivoli. Al contrario, con 80 F-35B si potrebbe alimentare lo stesso numero di squadron ma con ben maggiori margini di disponibilità operativa dei velivoli.
Prima di passare alla rassegna delle ulteriori novità (così come delle conferme), sempre in tema di gruppo di battaglia delle portaerei, un ruolo importante sarà ovviamente rappresentato dalle unità di rifornimento con il programma relativo alle “Fleet Solid Support (FSS) Ship”: 3 unità destinate ad assicurare il rifornimento in particolare di carichi solidi.
Un programma piuttosto tormentato, caratterizzato da diversi stop e ripartenze; con i maggiori problemi legati a precedenti scelte che consentivano di realizzare le unità della Royal Fleet Auxiliary (RFA) anche all’estero. Tuttavia, le pressioni legate all’esigenza di assicurare lavoro ai cantieri britannici ha comportato un cambiamento di direzione, tanto che a breve partirà una nuova competizione a livello internazionale ma con team industriali guidati comunque da un cantiere britannico.
La flotta di superficie
Anche in questo caso, il risultato del “Defence Command Paper” è un mix di indicazioni in qualche modo già note e di cambiamenti; anche ‘sostanziosi.
Per quanto riguarda infatti le unità maggiori è stato preannunciato (a sorpresa) l’avvio della “concept and assessment phase” per i futuri cacciatorpediniere Type 83, destinati a sostituire gli attuali Type 45 verso la fine del decennio prossimo. Nel frattempo, questi ultimi, vedranno incrementate le loro capacità in termini di difesa aerea (anche in chiave Anti-Ballistic Missile, ABM?). Per i Type 45, ma in prospettiva, per tutta la flotta di superficie britannica, un nuovo missile antinave.
Altra questione complessa visto che a oggi è prevista la selezione di una Interim-Surface to Surface Guided Weapon (I-SSGW), in attesa che si concretizzi il lavoro di sviluppo svolto nell’ambito del programma Franco-Britannico Future Cruise/Anti-Ship Weapon (FC/ASW). Per rimanere in tema di sistemi d’arma, è previsto anche lo sviluppo del successore del siluro leggero Sting Ray. Ancora più forte l’interesse per il settore delle fregate.
Accanto infatti alla scontata conferma del ‘commitment’ nei confronti dei programmi già noti per le Type 26 (8 unità specializzate nell’Anti-Submarine Warfare o ASW, per le quali però è lecito attendersi una accelerazione dei tempi di costruzione alla luce delle attuali, e ‘incredibili’, lentezze) e di quello per le Type 31 (5 unità, con capacità operative inferiori alle stesse Type 26; forse anche troppo…), il “Defence Command Paper” si è trasformato nell’occasione giusta per tornare a parlare delle Type 32. Nuove unità annunciate a sorpresa nell’ambito della “spending review” dello scorso novembre.
Di queste piattaforme, che seguiranno sugli scali le Type 31, ancora non si sa però praticamente nulla. Le poche informazioni fin qui filtrate riferiscono di navi destinate alla protezione delle acque territoriali, a offrire una presenza oltreoceano e a supportare i Littoral Response Group (cioè le formazioni anfibie). Si è accennato inoltre che saranno piattaforme con una spiccata vocazione verso sistemi “unmanned” (si ipotizza, sopratutto nel campo dell’ASW ma anche nella Mine Warfare (MIW)).
Dato conclusivo sul tema, la volontà di avere in linea almeno 20 unità in servizio tra cacciatorpediniere e fregate al 2030, destinate a salire fino a 24 negli anni immediatamente successivi (da cui la logica deduzione sul fatto che anche le Type 32 saranno 5); obiettivo che, per quanto tutto sommato temporalmente ampio, non appare poi così scontato.
Uno sviluppo interessante riguarda poi il capitolo degli Offshore Patrol Vessel (OPV). Dei 5 OPV della classe River Batch II oggi in servizio, solo uno resterà nel Regno Unito; gli altri 4 saranno dislocati in permanenza alle Falkland, nei Caraibi, a Gibilterra (con raggio d’azione nel Mediterraneo e nel Golfo di Guinea), e “a est di Suez” (con proiezione verso l’Indo-Pacifico). Mancano invece indicazioni sul destino dei 3 OPV del primo Batch.
Un’altra (quasi) novità, anticipata però dalla “spending review” di pochi mesi addietro, viene ora arricchita con alcuni dettagli di particolare rilevanza.
Si sta cioè parlando della Multi-Role Ocean Surveillance Ship (MROSS), una piattaforma che avrà un ruolo molto particolare: la protezione di una delle infrastrutture più strategiche ai giorni nostri e cioè le reti di cavi sottomarini attraverso i quali passa il traffico telefonico e soprattutto internet fra i vari continenti.
Una questione sempre più pressante, anche alla luce (per esempio) degli sforzi in atto in Russia nell’allestimento di quella particolare componente subacquea che fa capo all’altrettanto particolare struttura nota come GUGI. Le uniche caratteristiche a oggi note sono rappresentate dalla generica indicazione dell’imbarco di sensori avanzati, di sistemi subacquei pilotati da remoto più altri autonomi e di operare anche in ambiente Artico.
Alla fine però, anche la Royal Navy avrà un ‘prezzo da pagare’ per queste (e per quelle che saranno descritte a breve) trasformazioni: il ritiro anticipato dal servizio di 2 fregate Type 23
La componente Contromisure Mine e il settore “Unmanned”
Si tratta di 2 capitoli che finiscono con il non poter essere trattati separatamente; ed il perché è presto detto. La Royal Navy punta infatti a sostituire i cacciamine attualmente in servizio (classi Sandown e Hunt), facendo ricorso a un approccio del tutto nuovo con il programma Maritime Mine CounterMeasures (MMCM), condotto insieme alla Francia che farà perno su ampio ventaglio di sistemi “unmanned” (di superficie o USV, subacquei o UUV e probabilmente anche aerei o UAV) per la scoperta e la distruzione delle mine.
In questo senso, va osservato che la Royal Navy stessa è tra le marine europee più avanti proprio nel settore “unmanned”. Nel campo sempre della lotta alle mine, sono stati recentemente ordinati 3 sistemi di dragaggio noti come “Combined Influence Minesweeping” (SWEEP); che peraltro si aggiungono a quanto già acquisito nell’ambito del “Project Wilton” e cioè altri 3 battelli che operano ancora in funzione di contromisure mine (a fattor comune di entrambi, l’essere basati sull’USV ARCIMS).
Per rimanere nel settore dei sistemi navali, sempre la Marina Britannica ha appena accettato in servizio l’USV indicato come Maritime Demonstrator For Operational eXperimentation (MADFOX) MAST-13, proprio mentre sta avviando la fase di sperimentazione con il MANTA nel settore degli UUV.
Passando ai sistemi aerei, oltre all’RQ-20 Puma già in dotazione per compiti di ricognizione e sorveglianza, si stanno intensamente sperimentando anche i “quadcopter” T-150 per le esigenze dei Royal Marines prima di tutto, ma anche della stessa Royal Navy, in particolare per operazioni di rifornimento di materiali vari.
Un elenco peraltro che prende in considerazione solo i programmi più promettenti e che sicuramente rappresenta solo l’inizio di un percorso ancora più ambizioso.
Basti pensare che la Royal Navy sta valutando con il “Project Vixen” la possibilità di sviluppare un UAV destinato a missioni di attacco, sorveglianza e ricognizione nonché rifornimento in volo per i futuri Carrier Air Wing (da cui anche la ‘misteriosa’ richiesta di informazioni per un sistema di lancio elettromagnetico e di cavi di arresto)…
La componente subacquea
Su questo tema la notizia più importante è arrivata dalla “Integrated Review”. Nel “Defence Command Paper” infatti non si fa altro che ribadire l’impegno a completare la classe di sottomarini nucleari d’attacco (SSN) della classe Astute nei 7 esemplari previsti, anche se in tempi più lunghi di quanto preventivato (tanto che sarà estesa la vita degli ultimi 2 battelli della classe Trafalgar).
Molto più degno di nota semmai, l’annuncio sull’impegno a lavorare sulla prossima generazione di SSN, con ingresso in servizio previsto negli anni ‘40.
Ovviamente, analogo “commitment” riguarda poi anche i Dreadnought, cioè i 4 futuri sottomarini lanciamissili balistici a propulsione nucleare (SSBN) che consentiranno al Regno Unito di continuare ad avere il proprio deterrente nucleare strategico (SSBN) i cui primi 2 esemplari sono già in costruzione.
E’ proprio su questo tema che si inserisce la decisione presa dal governo di Boris Johnson (esplicitata per l’appunto nella “Integrated Review“) che, in ragione di un crescente livello di minaccia, ribalta una precedente scelta compiuta nel 2010. L’obiettivo dunque di ridurre le testate nucleari fino al numero di 180 viene abbandonato e, al contrario, se ne decide un aumento fino a (non più di) 260.
Una decisione di certo ‘non banale’ perché è del tutto evidente che il mantenimento dello status di potenza nucleare conferisce un forte peso politico-diplomatico al Paese, anche in virtù della intensa collaborazione con gli Stati Uniti proprio in questo campo (SSBN e relativi missili balistici), utile a rinsaldare il rapporto ‘speciale’ tra Londra e Washington.
La componente anfibia
In questo settore i piani erano già chiari da diverso tempo e il “Defence Command Paper” non ha fatto altro che illustrarli con ancora più efficacia.
Sulla base del progetto “Future Commando Force” (FCF) è già iniziata da tempo la transizione da forza anfibia dalle caratteristiche più ‘classiche’ a una che, di fatto, segna un ritorno alle origini “Commando” di questo reparto. Per farla breve, la FCF assumerà più i connotati di una Forza per Operazioni Speciali, impegnata in raid, attacchi diretti, ricognizioni, eccetera; ovviamente con una marcata specializzazione nell’ambiente marino/anfibio.
Al centro di questa trasformazione, per rimarcare il fatto che la FCF sarà sempre mantenuta a un alto livello di prontezza operativa e con incrementate capacità di dispiegamento all’estero (anche in maniera permanente), vi è la costituzione di due Littoral Response Group (LRG) che opereranno in modalità “seabased”.
Il primo sarà operativo già quest’anno e avrà come riferimento la regione Euro-Atlantica (con una spiccata attenzione verso il suo fianco settentrionale); il secondo diventerà operativo invece nel 2023 e avrà come riferimento l’area Indo-Pacifica.
Questo avrà delle conseguenze anche per le unità della Royal Navy perché se il primo LRG si prevede che sarà centrato sulle unità anfibie (LPD) classe Albion, già il secondo farà invece ricorso a un’altra piattaforma anfibia, e cioè una LSD della classe Bay che però sarà appositamente modificata anche con l’installazione di un hangar per gli elicotteri.
A partire dai primi anni ‘30 è prevista la costruzione di una nuova classe di unità, da realizzare indicativamente in 6 esemplari: le Multi-Role Support Ship (MRSS).
Le prime informazioni sulle MRSS erano emerse circa un anno fa, quando si era ipotizzata la confluenza su un’unica piattaforma del requisito per le “Fleet Solid Support (FSS) ship” e le Littoral Strike Ship (LSS).
Da cui una unità con capacità di rifornimento di carichi solidi e, al tempo stesso, di sostenere operazioni anfibie.
Con la conferma del requisito legato al rifornimento da soddisfare in maniera separata, resta quindi da capire quale sarà l’evoluzione di queste unità. Molto probabilmente, più in chiave LSS e cioè con maggiori capacità di sostegno alle operazioni del contingente imbarcato, anche in funzione di “base galleggiante”.
Il dato interessante è che queste 6 unità previste andranno a sostituire le 3 LSD della classe Bay e, in prospettiva probabilmente anche le 2 LPD della classe Albion, modificando quindi profondamente la prospettiva delle navi anfibie della Royal Navy da una concezione più ‘tradizionale’ a una decisamente più innovativa.
Conclusioni
Parlare di rivoluzione per la Royal Navy, evidentemente, appare eccessivo ma certo si evidenzia un nuovo corso. Considerando i programmi già avviati e quelli indicati dal “Defence Command Paper”, nel giro dei prossimi 15 anni circa, la marina britannica vedrà l’ingresso in servizio degli ultimi 3 SSN classe Astute, dei 4 SSBN della classe Dreadnought, delle 8 fregate Type 26, delle 5 Type 31 e delle (presumibilmente altrettante) Type 32. Inoltre, arriveranno le 3 “FSS ship”, la MROSS, i sistemi di contromisure mine del MMCM, e fino a 6 MRSS. Senza contare che altre unità minori potrebbero aggiungersi nel frattempo.
Uno sforzo davvero importante, testimoniato da un bilancio che per le sole nuove costruzioni navali raggiungerà presto gli 1,7 miliardi di sterline l’anno (circa 2 miliardi di euro).
Ai quali si aggiungeranno poi le risorse per la Fleet Air Arm (l’Aviazione Navale), per la stessa “Future Commando Force” e per altre esigenze (in particolare, nel settore delle infrastrutture), e gli investimenti in Ricerca e Sviluppo.
Certo, il documento in questione lascia comunque domande ancora senza risposta, alcune delle quali non proprio secondarie. Dal numero degli F-35B da acquistare alle incognite legate alle caratteristiche/capacità di molte nuove unità, passando poi per la soluzione di alcuni problemi cronici come i tempi di costruzione troppo lunghi o alcune specifiche carenze di organico.
Sennonché, pare proprio di poter dire che il percorso verso il futuro per la Marina Britannica sia contrassegnato da una crescita dimensionale complessiva non indifferente (più 50% del tonnellaggio totale della flotta tra il 2015 e il 2030), dai forti investimenti nelle nuove tecnologie, dalla ricerca di soluzioni innovative anche a livello dottrinale e dallo sforzo a garantire una maggiore ”presenza avanzata” nelle aree strategicamente più importanti del mondo.
Foto: MoD UK; Royal Navy, BAE Systems, Navy Lookout, UK Defence Journal
Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli
Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.