Letta alla “guerra di Libia” mentre la Ue sostiene il muro anti-migranti lituano
Il supporto italiano alla Guardia Costiera libica è tornato ad ostacolare, come era accaduto negli ultimi due anni, l’approvazione delle missioni militari all’estero con un emendamento, bocciato a larghissima maggioranza, proposto da esponenti del PD e di altre forze di sinistra che chiedevano lo stop al sostegno alle forze navali di Tripoli.
Il testo modificato dopo lunghe trattative prevede solo nel 2022 la verifica delle condizioni per far transitare gli aiuti alla Guardia Costiera libica forniti oggi nell’ambito della missione della Guardia di Finanza (Missione bilaterale permanente a favore della Guardia costiera della Marina militare libica e della Libyan Generai Administration for Coastal Security) sotto il cappello della Missione bilaterale di Assistenza e Supporto Tecnica (MIASIT Libia) ed eventualmente sotto l’egida di una missione europea tutta da definire.
Quindi non viene neppure ipotizzato lo stop all’assistenza alle forze navali libiche impegnate nella lotta ai traffici di esseri umani ma l’integrazione dell’opera di supporto e manutenzione svolta dal 2007 dalle Fiamme Gialle all’interno dell’Operazione MIASIT Libia.
Enrico Letta, che nel 2013 da presidente del Consiglio varò l’operazione “Mare Nostrum” che trasformò la Marina Militare italiana in una flotta di traghetti a favore del business dei trafficanti di esseri umani e l’Italia nel centro d’accoglienza di immigrati clandestini d’Europa, ha chiesto da segretario del Partito Democratico di non rinnovare l’accordo tra Italia e Libia.
Di porre fine quindi al Memorandum che dal 2017 vede Roma sostenere con motovedette, denaro (oltre 20 milioni di euro in quattro anni), addestramento (in Italia e in Libia) e supporto tecnico (con la missione della nostra Marina nel porto tripolino di Abu Sitta) la Guardia Costiera di Tripoli che solo quest’anno ha soccorso e riportato in Libia oltre 16mila clandestini altrimenti destinati a rischiare il naufragio per aggiungersi ai quasi 25mila già arrivati in Italia.
Per sabotare un’intesa che si è rivelata efficace nel contenere i flussi migratori illeciti e nel consolidare il ruolo dell’Italia nella sua ex colonia e il supporto al governo libico nonostante l’egemonia turca sulla Tripolitania, Letta ha giocato ancora una volta la carta dell’Europa, che questa volta, a suo dire, dovrebbe occuparsi di stipulare nuove intese di cooperazione con la Guardia Costiera libica al posto dell’Italia.
Per il segretario del PD, la condizione per approvare il decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali avrebbe dovuto passare attraverso una riscrittura del “nodo Libia” con addestramento e supporto alla Guardia Costiera libica da affidare entro sei mesi alla Ue.
Unione Europea che peraltro non ha neppure in agenda una simile iniziativa né ha mai annunciato di volersene occupare, tenuto anche conto che l’immigrazione è un tema che resta di competenza dei singoli stati.
Esiste solo la proposta del comandante dell’operazione navale Ue Irini, ammiraglio Fabio Agostini, di partecipare all’addestramento della Guardia Costiera libica, già curato dalle marine italiana e turca e che avverrebbe sul territorio europeo senza includere assistenza diretta, tecnica o fornitura di mezzi navali ai libici.
Di fatto quindi, se l’iniziativa di Letta avesse avuto successo sarebbe venuto meno l’accordo italo-libico ma un’intesa Ue-Libia in proposito sarebbe tutta da immaginare, pianificare e negoziare lasciando del tutto spalancate le porte dell’Italia ai flussi di clandestini.
Sul piano politico l’iniziativa di Letta ha decisamente spaccato il PD e appare paradossale che il segretario di questo partito si scagli contro un accordo firmato quattro anni or sono dal Governo guidato da Paolo Gentiloni con ministro dell’Interno Marco Minniti, entrambi del PD.
L’intesa con la Libia è stata poi rafforzata dagli accordi rinnovati nell’ambito delle missioni militari all’estero con l’invio di una nave officina e una settantina di militari della Marina ad Abu Sitta per assistere le forze navali libiche. Curioso anche che Letta abbia voluto sabotare il Decreto missioni approvato dall’attuale governo di cui anche il PD fa parte e messo a punto dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, del PD.
A questo proposito giova poi ricordare nell’aprile scorso fu lo stesso Mario Draghi, in visita a Tripoli, a esprimere apprezzamento per l’operato della Guardia Costiera libica.
“Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e, nello stesso tempo, aiutiamo e assistiamo la Libia” disse il presidente del Consiglio sollevando polemiche a sinistra.
L’iniziativa di Letta si pone quindi in contraddizione con l’operato pregresso del suo partito, contro l’attuale ministro della Difesa e in evidente discontinuità con quanto affermato dal premier del governo che il PD oggi sostiene.
Senza gli accordi italo-libici e in attesa che la Ue si accinga a sottoscriverne di altri chissà quando e chissà poi con quali contenuti, i flussi migratori illegali verso l’Italia si ingigantirebbero e risulterebbero sulla breve distanza almeno duplicati. Senza il supporto tecnico e finanziario italiano la guardia Costiera non avrebbe mezzi, carburante né retribuzioni per gli equipaggi e non avrebbe quindi alcuna capacità né motivazione per contrastare i trafficanti e i flussi clandestini.
Cancellare gli accordi tra Roma e Tripoli significherebbe quindi incoraggiare i trafficanti ad aumentare ulteriormente i flussi illegali moltiplicando gli sbarchi di clandestini in Italia.
Aumenterebbero anche i naufragi e i morti in mare: un contesto che consentirebbe all’attuale segretario del PD di proporre, come fece nel 2013 dopo il naufragio di un barcone di fronte a Lampedusa, il varo di una nuova operazione di soccorso, una nuova “Mare Nostrum 2”, che rilancerebbe il ruolo delle navi delle Ong e ingigantirebbe le spese per l’accoglienza dei clandestini.
Sbarchi continui nonostante il Covid dilaghi in Africa
Del resto, nonostante le preoccupazioni espresse circa l’epidemia di Covid e addirittura una campagna tesa a forzare tutta la popolazione a sottoporsi ai vaccini sperimentali, l’Italia continua ad accogliere chiunque paghi criminali per raggiungerla nonostante in Libia e Tunisia l’epidemia dilaghi.
C’è qualcosa di profondamente ridicolo nella contraddizione che vede Roma vietare gli arrivi regolari in aereo da nazioni a rischio Covid da cui poi accettiamo senza esitazione che giungano ondate di persone clandestinamente e a bordo di imbarcazioni gestite dai trafficanti.
E’ il caso di Pakistan, Bangladesh, soprattutto Tunisia e Libia ma anche tutti i paesi dell’Africa del Nord e sub sahariana da cui provengono i quasi 25mila clandestini sbarcati dall’inizio dell’anno, poco meno del triplo di quelli che erano arrivati sulle nostre coste via mare nel 2020 e oltre 7 volte di più di quelli che sbarcarono nei primi sette mesi del 2019.
Gli sbarchi da gommoni e barchini e da navi delle Ong continuano senza sosta con il via libera del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e senza neppure un accenno di preoccupazione da parte del ministro della Salute, Roberto Speranza, così restio invece a permettere di riaprire le attività degli italiani dopo il lockdown.
Così mentre la Libia ha chiuso i confini e i voli con la Tunisia travolta da un’ondata epidemica che include la famigerata “variante Delta”, Tunisi ha vietato gli spostamenti tra le regioni fino al 31 luglio e mantiene in vigore il coprifuoco dalle 20 alle 5, i tunisini continuano però a sbarcare illegalmente in Italia e a venire accolti benché nessuno di loro abbia il diritto di chiedere asilo. E Roma non può neppure incolpare di negligenza le autorità di Tunisi considerato che la guardia costiera del paese nordafricano continua a bloccare barchini e natanti diretti a Lampedusa e ad arrestare scafisti e trafficanti.
Così come in Libia la Guardia Costiera di Tripoli ha fermato e riportato indietro oltre 16 mila clandestini dall’inizio dell’anno: oltre la metà dei migranti illegali salpati dalla Libia come riferisce un report dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim).
Nei primi sei mesi dell’anno “su 20.532 migranti arrivati in Italia via mare oltre 12.700 sono partiti dalla Libia. Nello stesso periodo, 15.700 migranti sono stati intercettati in mare e riportati in Libia”, spiega l’Oim aggiungendo che. dalla Tunisia invece, sono arrivati 4.438 migranti nello stesso periodo.
Il vero problema oggi è l’Italia, unico stato europeo mediterraneo a non attuare respingimenti applicati invece da Grecia, Spagna e Malta (nell’isola- stato sono arrivati quest’anno appena 250 clandestini) e divenuto così l’unica meta facile per i clandestini e per il business dei trafficanti.
Senza i respingimenti immediati i clandestini, inclusi quelli provenienti da paesi ad alto rischio Covid, avranno tutto il tempo di fuggire dai centri di quarantena e accoglienza e di far perdere le loro tracce contribuendo non solo all’illegalità ma anche alla diffusione del virus nella Penisola come è già accaduto in diverse occasioni.
Occorre riconoscere che tutte le iniziative annunciate dal ministro Lamorgese negli ultimi mesi hanno portato allo stesso risultato degli Accordi di Malta del settembre 2019 per la ridistribuzione in Europa dei migranti: il nulla più assoluto.
Come ha sottolineato con preoccupazione il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni (Lega) “fino ad oggi non abbiamo una distribuzione dei migranti fatta dall’Europa né tanto meno abbiamo accordi di partenariato con i Paesi di partenza e transito, cioè con Libia e Tunisia.
Non sono stati previsti rimpatri centralizzati, né la rotazione dei porti europei e ancor più grave non abbiamo l’affermazione del principio che se la nave di una Ong batte bandiera francese, ad esempio, l’imbarcazione deve essere dirottata in Francia”.
L’inadeguatezza, o per meglio dire l’assenza, delle misure adottate dal ministro dell’Interno (che continua a concedere porti di sbarco alle navi delle Ong determinate a sbarcare clandestini solo ed esclusivamente in Italia) fa risaltare maggiormente le contrapposte valutazioni all’interno delle forze che sostengono il governo Draghi.
“Noi siamo al governo per evitare il peggio, per evitare l’approvazione dello Ius Soli e per evitare nuove operazioni come Mare Nostrum ma siamo allarmati e se non ci sarà una risposta Europea, come pare evidente, dovrà esserci una risposta nazionale” ha sottolineato Molteni.
Resta poi da comprendere come verrà interpretato dagli ambienti politici e militari libici (e turchi) il contraddittorio dibattito in atto nel parlamento e nel governo italiano rispetto a un’immigrazione illegale che Roma fa di tutto per incentivare pur chiedendo a Tripoli di bloccarla.
Il muro lituano che piace alla Ue
Del resto dall’Unione Europea non è lecito attendersi concrete iniziative a supporto dell’Italia anche se la doppia morale sul fronte dei migranti è di certo uno degli aspetti più odiosi ma al tempo stesso indicativi della scarsa consapevolezza che gli organismi di Bruxelles sembrano avere degli interessi dell’Europa e degli europei.
Quante critiche, minacce e insulti sono stati rivolti dai maestri del politically correct in salda Ue al muro anti migranti illegali eretto negli anni scorsi dall’Ungheria di Viktor Orban intorno ai suoi confini. Persino l’Italia, che certo ha accolto e accoglie chiunque paghi criminali come nessun altro stato europeo ha fatto, ha subito pesanti condanne per gli sporadici casi di respingimenti in Libia di clandestini effettuati negli ultimi anni.
Applicando due pesi e due misure e dividendo gli stati membri in buoni e cattivi, la Ue mostra invece grande comprensione, sostegno e indulgenza per la Lituania che il 9 luglio ha annunciato che costruirà un muro alla frontiera con la Bielorussia, per fermare il flusso di migranti africani e mediorientali che entrano nel paese baltico attraverso l’ex repubblica sovietica.
Dall’inizio dell’anno le guardie di frontiera lituane hanno fermato oltre 1.600 migranti arrivati dalla Bielorussia, contro gli 81 di tutto l’anno scorso. Le autorità di Vilnius hanno iniziato a mettere il filo spinato al confine per scoraggiare gli arrivi. “Una recinzione di fil di ferro è il primo passo”, ha spiegato il ministro dell’Interno Agne Bilotaite, “in un secondo momento procederemo con la costruzione di una barriera fisica”. Cioè un vero e proprio muro lungo 550 chilometri.
I militari sono già impegnati nei lavori della recinzione vicino alla città di Druskininkai, dove una prima sezione si estenderà per 30 chilometri. Il governo, che ha già dichiarato lo stato di emergenza, sta discutendo emendamenti della legge sul diritto di asilo per accelerare l’esame delle richieste.
Dal maggio scorso la Bielorussia consente ai migranti di entrare in Lituania come reazione alle sanzioni imposta dall’Ue a Minsk dopo il caso del volo dirottato nella capitale bielorussa partito da Atene e diretto a Vilnius con a bordo il dissidente bielorusso Roman Protasevich. Arrestato dalla polizia bielorussa.
“Non tratterremo nessuno. Del resto non siamo la loro destinazione finale: sono diretti verso l’illuminata e accogliente Europa”, ha detto il leader bielorusso, Aleksandr Lukashenko, rilevando come la Bielorussia non intende “divenire una colonia per i rifugiati provenienti da Afghanistan, Iran, Iraq, Libia, Siria, Tunisia” e di vari Paesi centroasiatici.
La premier lituana Ingrida Simonyte – riferisce la Bbc – ha affermato che più di 1.000 migranti sono stati trattenuti dopo aver attraversato il confine di 679 km dal primo giugno.
Circa il muro anti-migranti Simonyte ha affermato che “un’ulteriore barriera fisica” sarà costruita al confine con la Bielorussia. Sarebbe “un segnale e un deterrente per chi organizza flussi migratori illegali”. “Per assistere i nostri ufficiali di frontiera, le nostre forze armate saranno utilizzate per aumentare il numero di persone a guardia del confine”, ha aggiunto confermando il ruolo dei militari bell’emergenza-migranti. Secondo il servizio di guardia di frontiera lituano, solo il 9 luglio le autorità hanno arrestato 134 clandestini, 1.044 da inizio giugno.
Il governo di Helsinki ha reso noto che la guardia di frontiera della Finlandia invierà agenti e veicoli in Lettonia e Lituania per aiutare a frenare l’immigrazione illegale al confine con la Bielorussia. I due gruppi di guardie finlandesi forniranno assistenza agli Stati baltici dal 14 luglio al 1° dicembre.
L’agenzia per le frontiere dell’Ue, Frontex, ha avviato un intervento rapido alle frontiere della Lituania con la Bielorussia per sostenere la crescente pressione migratoria e ha invitato gli Stati membri ad aiutare Lettonia e Lituania con il pattugliamento delle frontiere.
Esattamente la stessa reazione registrata dalla Ue nel 2020 in occasione degli assalti in massa dei migranti illegali presenti in Turchia contro la frontiera terrestre greca. Assalti respinti con l’impiego dell’esercito di Atene.
“La situazione al confine tra Lituania e Bielorussia rimane preoccupante. Ho deciso di inviare un intervento rapido alle frontiere in Lituania per rafforzare il confine esterno dell’Ue”, ha affermato il direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri. “Rafforzeremo la nostra assistenza e invieremo ulteriori guardie di frontiera, auto di pattuglia e ufficiali specializzati per condurre colloqui con i migranti per raccogliere informazioni sulle reti criminali coinvolte”.
Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha affermato che i confini della Lituania sono i confini dell’Europa. “L’Ue ha deciso sanzioni contro la Bielorussia e continua a lottare per la promozione dei nostri valori”, ha continuato Michel aggiungendo che “le autorità bielorusse strumentalizzano la migrazione irregolare per fare pressione sull’Ue e sulla Lituania”.
Per la Commissaria Ue agli interni Ylva Johansson, la situazione al confine bielorusso-lituano “peggiora di settimana in settimana e le autorità della Bielorussia sembrano facilitare la migrazione irregolare come rappresaglia alle misure dell’Unione contro Minsk. Ancora non è chiaro il modo in cui operano però sembra ci siano dei voli commerciali che arrivino a Minsk da Istanbul e da Baghdad ogni giorno – ha spiegato la commissaria europea -.
I migranti vengono poi portati alla frontiera. Il tentativo di attraversare avviene poi a piedi, il che mostra come queste frontiere non siano controllate. La scorsa settimana ci sono stati casi in cui hanno utilizzato addirittura Uber per arrivare a Vilnius”.
La Johansson sostiene che “la maggior parte delle persone è di nazionalità irachena, ma ci sono anche congolesi e camerunensi” e secondo le prime informazioni, pagherebbero “15 mila euro per attraversa le frontiera”.
Solo nella prima settimana di luglio, le autorità lituane hanno registrato più di 800 attraversamenti illegali del confine con la Bielorussia. Mentre nella prima metà dell’anno la maggior parte dei migranti proveniva da Iraq, Iran e Siria, di recente le autorità hanno assistito a un cambiamento nella composizione dei flussi migratori. A luglio, i cittadini della Repubblica del Congo, del Gambia, della Guinea, del Mali e del Senegal hanno rappresentato la maggioranza degli arrivi.
Insomma, il sostegno della Ue alla Lituania (nella foto sotto il ministro della Difesa, Arvydas Anušauskas, ispeziona i reticolati anti-migranti al confine lituano) è totale e molto evidente, quello che non è chiaro è perché 1.600 arrivi di clandestini in 7 mesi in Lituania inducano l’Unione a varare interventi d’emergenza per blindare i confini mentre 25 mila clandestini sbarcati in Italia nello stesso periodo non smuovano le stesse reazioni a Bruxelles. Eppure anche le nazionalità dei clandestini sono più o meno le stesse.
Con un po’ di malizia, viene il dubbio che mentre l’Italia viene abbandonata a sé stessa e incoraggiata ad essere “accogliente” trasformandola di nuovo in un gigantesco campo profughi, la Lituania venga invece difesa e tutelata anche se costruisce muri anti – migranti per almeno due ragioni.
Innanzitutto perchè la vicenda rientra nel braccio di ferro con il regime bielorusso e quindi, indirettamente, con Mosca. E poi perché la Lituania è uno dei “satelliti” di Berlino e i clandestini che vi arrivano, esattamente come quelli che risalgono ila Penisola Balcanica dalla Turchia (rifinanziata dalla Ue su iniziativa tedesca), puntano dritti al cuore dell’Europa e quindi soprattutto alla Germania.
Foto: Guardia Costiera Libica, Sea Watch International, BBC, Ministero Difesa Lituano e Reuters
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.