L’offensiva talebana spazza via anche le fake news di USA e NATO
Mentre in Italia il dibattito sul ritiro delle truppe alleate da Kabul si limita alle polemiche per l’assenza di personalità governative ad accogliere il rientro degli ultimi paracadutisti rientrati da Herat (nella foto sotto), il governo di Kabul deve fare i conti con la massiccia offensiva talebana che sta dilagando in tutto il paese.
Una quindicina i distretti caduti in mano agli insorti la scorsa settimana che portarono quelli in mano talebana a circa un terzo dei 398 distretti in cui è suddiviso l’Afghanistan.
In seguito ai roboanti successi delle ultime 72 ore i talebani hanno annunciato un bilancio ancora più spettacolare anche se tutto da verificare. In una conferenza stampa a Mosca, il negoziatore talebano Shahabuddin Delawar ha detto oggi che “l’85% del territorio dell’Afghanistan” è sotto il controllo del gruppo, compresi circa 250 dei 398 distretti del paese.
L’avanzata talebana marcia del resto di pari passo con il ritiro delle truppe occidentali. Ieri il Primo ministro britannico Boris Johnson ha formalizzato alla Camera dei Comuni l’avvenuto ritiro dall’Afghanistan degli ultimi soldati di Sua Maestà. “Tutte le truppe britanniche dislocate in Afghanistan nell’ambito della missione Nato stanno tornando a casa”, ha detto Johnson.
“Non rivelerò – ha aggiunto in una dichiarazione scritta letta di fronte all’assemblea di Westminster – l’esatta tempistica del nostro ritiro, ma posso dire alla Camera che il grosso del nostro personale è già partito”.
Il capo di Stato maggiore della Difesa britannico, generale Nick Carter, ha definito “plausibile” che l’Afghanistan possa collassare dal punto di vista della sicurezza senza la presenza delle forze armate internazionali replicando una situazione simile a quella della guerra civile degli anni Novanta, “in cui ci sarà una cultura dittatoriale e potreste vedere alcune importanti istituzioni locali, come le forze di sicurezza, spezzarsi lungo linee etniche o tribali.
Se ciò dovesse accadere, immagino che i Talebani potrebbero controllare una parte del Paese, ma certamente non tutto”.
Tutti fuggono, i turchi restano
La gran parte dei contingenti europei ha già evacuato la nazione asiatica e il Pentagono ha reso noto il 7 luglio che oltre il 90 per cento dei suoi ultimi 2.500 militari rimasti è già stato rimpatriato. La Casa Bianca ha confermato che il ritiro verrà completato entro fine agosto ma di fatto le forze americane non ci sono già più come dimostrano le sei basi già riconsegnate alle truppe afghane e molto presto a Kabul vi saranno soltanto i 650 marines a cui è assegnata la difesa dell’ambasciata statunitense.
Che più di un ritiro si tratti di una rapida fuga lo conferma innanzitutto il fatto che il ritiro avvenga all’inizio della tradizionale offensiva di primavera afghana: se USA e NATO avessero voluto puntellare il governo di Kabul avrebbero stabilito il ripiegamento in autunno.
Inoltre, a suggellare il fatto che nella fuga anche l’onore traballi contribuiscono anche le notizie delle basi evacuate senza neppure avvisare le truppe afghane. Come è accaduto nella grande base aerea di Bagram, dove il comandante afghano, generale Asadullah Kohistani, ha riferito alla Bbc che gli Usa hanno lasciato la base in silenzio alle 3 di notte ma le forze afghane l’hanno scoperto solo alcune ore dopo.
Turchia e Stati Uniti hanno invece concordato oggi le “modalita’” generali della missione delle truppe turche in Afghanistan, che dovrebbero continuare ad occuparsi della sicurezza all’aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul, dopo il ritiro dei contingenti internazionali.
“Durante i colloqui con l’America e la Nato, abbiamo deciso quali sarebbero state le modalità della missione, cosa avremmo accettato e cosa no”, ha spiegato Erdogan facendo riferimento al colloquio telefonico di ieri tra il ministro della Difesa turco Hulusi Akar e il suo omologo americano Lloyd Austin. Per il mantenimento del suo contingente, composto da circa 500 soldati, Ankara aveva chiesto supporto logistico, strategico e finanziario alla Nato, in particolare agli Usa. La presenza turca a Kabul sembra non trovare ostacoli neppure tra i talebani che da molti anni non colpiscono le forze di Ankara schierate nella capitale.
Talebani sui confini
Sui campi di battaglia i talebani avanzano ovunque, spesso senza incontrare resistenza. In diverse aree del sud e dell’est intere guarnigioni governative si sono arrese dopo negoziati mediti da autorità tribali, consegnando armi ed equipaggiamenti ai talebani che sono giunti ormai alle porte di Kandahar anche se la situazione più grave sembra registrarsi nel nord dove gli insorti hanno collezionato in pochi giorni un’ondata di vittorie.
Oltre mille soldati afgani sono fuggiti all’avanzata dei talebani attraversando il confine con il Tagikistan, il cui governo ha ordinato la mobilitazione di 20mila riservisti militari per rafforzare il confine con l’Afghanistan.
Le truppe afghane sono fuggite oltre il confine per “salvarsi la vita”, hanno spiegato le guardie di frontiera di Dushanbe. E’ la terza volta nell’ultima settimana che i militari hanno riparato nel Paese frontaliero e in totale si stima che quasi 1.600 soldati abbiano attraversato il confine tagiko di fronte ai talebani che stanno dilagando nei distretti nella provincia nord-orientale di Badakhshan, molti dei quali crollati senza combattere. Altri militari e poliziotti si sono rifugiati anche in Pakistan, Iran e Uzbekistan.
Nella vicina provincia di Badghis i talebani hanno preso per qualche ora il controllo del capoluogo Qala-i-Naw, 75 mila abitanti. Le truppe governative in questo settore hanno reagito con unità di forze speciali e raid aerei che hanno preso parte a una controffensiva che ha portato ieri alla riconquista della città.
“Il nemico ha avuto pesanti perdite e adesso stiamo avanzando per cacciarlo”, ha detto il comandante delle forze speciali Sayed Nezami. Un portavoce del ministero dell’Interno ha dichiarato che la città è libera dai combattenti talebani e sotto il completo controllo delle forze afgane.
Oggi i talebani hanno confermato di aver conquistato un nuovo posto di frontiera con il Turkmenistan. Come ha riferito il portavoce, Zabihullah Mujahid, “l’importante posto di confine di Torghundi è stato pienamente conquistato”. Il ministero dell’Interno di Kabul ha fatto sapere che le forze di sicurezza che erano sul posto sono state “temporaneamente trasferite” ed è stata lanciata una controffensiva per riprenderne il controllo
In tutta la provincia nord occidentale di Herat (un tempo posta sotto il comando italiano) continua l’avanzata dei Talebani.
L’emittente Tolo News, citando funzionari locali, ha confermato la caduta dei centri di Torghundi e Islam Qala, al confine con l’Iran. Le attività alla dogana di Islam Qala sono state interrotte dopo che la città era caduta in mano ai Talebani, ha affermato a Tolo News Nisar Ahmad Naseri, capo ad interim del dipartimento doganale di Herat. Fonti della provincia di Herat hanno inoltre riferito che tutti i funzionari della dogana di Islam Qala e un gran numero di forze di sicurezza di stanza lì hanno attraversato il confine fuggendo in Iran dopo l’arrivo dei Talebani nella zona.
Le forze di sicurezza dell’Iran “sorvegliano il minimo movimento alla frontiera con l’Afghanistan”, ha dichiarato all’agenzia IRNA il brigadier generale Farhad Arianfar. Nelle operazioni di pattugliamento sono impegnate guardie di frontiera, militari di fanteria e membri dei Guardiani della rivoluzione.
“Non permetteremo alcuna operazione di contrabbando né alcun transito non autorizzato attraverso il confine”, ha aggiunto il comandate durante una visita alla frontiera irano-afgana, che si estende per circa 900 chilometri. Secondo i media iraniani, il passaggio di camion per il trasporto merci e degli altri mezzi per gli scambi commerciali è in gran parte bloccato. Tra le altre preoccupazioni di Teheran c’è quella di una possibile ondata migratoria verso il suo territorio, dove già vivono milioni di profughi giunti dall’Afghanistan, soprattutto gli sciti di etnia Hazara perseguitati dai talebani.
Secondo quanto riferito, i consolati di Turchia e Russia hanno chiuso a Mazar-e-Sharif, la capitale della provincia settentrionale di Balkh e la quarta città più grande dell’Afghanistan. L’Iran ha affermato di aver limitato le attività presso il suo consolato in città. Ci sono stati combattimenti nella provincia ma la capitale provinciale è stata relativamente pacifica.
Il ruolo di “contenimento” della Russia
Le truppe russe interverranno militarmente in difesa del Tagikistan, che è ”nostro alleato”, nel caso in cui venisse attaccato dal territorio afghano, ha detto ieri il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. “Siamo alleati con il Tagikistan. E se ci sarà un attacco al Tagikistan, ovviamente, sarà un argomento immediato da considerare”, ha detto nel corso di una conferenza all’Università Federale dell’Estremo Oriente, aggiungendo che ”invieremo truppe”.
Lavrov ha quindi ricordato che rappresentanti del segretariato dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva hanno visitato il confine tagiko-afghano e la situazione è stata esaminata in una riunione del consiglio permanente. La Russia schiera già in Tagikistan una brigata meccanizzata dell’esercito e una base aerea con cacciabombardieri ed elicotteri.
Del resto il Tagikistan ha chiesto ieri all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) assistenza per fare fronte alla crisi al confine afghano controllato ormai per il 70 per cento dai Talebani. Il trattato CSTO tra alcune repubbliche ex sovietiche (ne fanno parte Russia, Bielorussia, Armenia, Tagikistan, Kirghizistan e Kazakhistan con Serbia e Afghanistan ammessi come “osservatori”) prevede l’intervento collettivo a difesa di uno dei membri attaccato.
Nei giorni scorsi il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, aveva comunque escluso che Mosca possa inviare forze militari in Afghanistan.
I talebani non sembrano per il momento voler colpire Mosca e i suoi interessi. ”Impediremo a Daesh e ad altri gruppi terroristici di guadagnare terreno in Afghanistan e ‘non rappresenteremo una minaccia per la Russia o per i suoi alleati nell’Asia centrale”. Questo il messaggio che la delegazione dei Talebani guidata da Sheikh Shahabuddeen Delaware ha rivolto alle autorità russe oggi a Mosca.
”I Talebani sono liberi di attaccare i distretti afghani” in quanto ”non hanno fatto alcuna promessa agli Stati Uniti quando hanno lasciato il Paese”, ha detto il rappresentante dell’ufficio politico di Doha durante un incontro con l’inviato speciale del presidente russo Vladimir Putin in Afghanistan, Zamir Kabulov.
La madre di tutte le fake news
La fuga dei militari di fronte ai talebani e la resa incondizionata di intere guarnigioni, soprattutto ancor prima che la NATO il ritiro, confermano quanto falsa fosse la propaganda diffusa per anni da NATO e Stati Uniti circa le capacità raggiunte dai militari afghani addestrati dagli occidentali di combattere da soli gli insorti.
Una gigantesca fake news, messa in piedi a partire dal 2011 con il fattivo supporto di tutti gli uffici stampa militari dei contingenti alleati, degli Stati Uniti, della NATO e dei suoi stati membri, con il solo scopo di costituire un alibi credibile, sufficiente a giustificare il disimpegno prima delle truppe combattenti occidentali, poi persino di consiglieri militari, istruttori e contractors.
Un castello di carta che crolla impietosamente come del resto avevano anticipato alcuni analisti e come era evidente a chiunque avesse seguito sul campo (come ha fatto per anni Analisi Difesa) l’addestramento delle forze di sicurezza afghane impartito dagli istruttori della coalizione.
Al di là dei limiti strutturali dei corsi di training e della corruzione ed efficienza dilaganti hello stato afghano, è stato sempre chiaro che non c’erano molte possibilità di trasformare in veri soldati reclute al 70 o 80 per cento analfabeti, quindi incapaci di prendere appunti o di leggere un manuale tecnico o le istruzioni per la manutenzione di un’arma p di un apparato radio.
Le unità di forze speciali afghane, meglio selezionate, costituiscono un’eccezione a questo drammatico standard e infatti sono le uniche che sembrano reggere l’urto dell’offensiva talebana.
Solo una questione di tempo
Il legittimo governo afghano si trova quindi in una “situazione molto delicata” e la “guerra si fa più cattiva”, come ha affermato il ministro afghano della Difesa, Bismillah Mohammadi. “Le nostra forze nazionali utilizzeranno tutta la loro potenza e tutte le loro risorse per difendere la nostra patria e il nostro popolo”.
Sono però in molti a ritenere che senza il supporto dell’Occidente le forze governative non potranno resistere a lungo. Il presidente afghano Ashraf Ghani ha ammesso ieri che la transizione è arrivata a “una delle fasi più complicate”.
“La situazione della sicurezza in Afghanistan richiede un’ulteriore pressione internazionale per arrivare a un accordo politico negoziato per porre fine a questo conflitto” tra il governo afghano e i talebani “e per dare al popolo afghano il governo che vuole e che merita. Il mondo intero può aiutare continuando a spingere in questa direzione” ha dichiarato oggi il segretario alla Difesa Usa, Lloyd James Austin III.
Ma senza una forza militare credibile sul terreno non è possibile esercitare nessuna pressione sui talebani il cui ingresso trionfale a Kabul appare oggi solo una questione di tempo.
Foto: Tolo News, ANA, ANP, Ministero Difesa Afghano, Difesa.it, Emirato dell’Afghanistan e US DoD
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.