L’impatto della vaccinazione di massa: scommessa al buio?
L’attuale fase dell’emergenza Covid rischia di trasformarsi in una sorta di “guerra civile” tra fronti contrapposti rappresentati strumentalmente come “pro vax” e “no vax”.
Termini troppo semplicistici per indicare la posta in gioco e le diverse valutazioni e sensibilità su temi delicati quali l’impatto delle somministrazioni di massa di vaccini sperimentali, messi a punto in pochi mesi invece dei diversi anni necessari per testare effetti indesiderati anche gravi a breve, medio e lungo termine. O le implicazioni di strumenti quali il Green Pass.
Il tema di fondo di questo confronto appare troppo rilevante per venire liquidato in termini di tifoserie, con un’egemonia da “pensiero unico” e discriminazioni della “dissidenza”, anche perchè investe, oltre alla salute, molti dei valori, diritti e libertà sui quali si fonda la nostra società.
Un tema che riguarda direttamente anche la sicurezza nazionale e il futuro dell’Italia e dell’Occidente ed è paradossale che nessuno sembri occuparsene, specie in un contesto in cui propaganda (o se preferite Info Ops e Psy Ops) sembrano avere il sopravvento in gran parte del panorama politico e mediatico, non solo in Italia.
Rischio calcolato o incalcolabile?
Strano che non si prendano in esame i rischi potenziali insiti nell’inoculazione di massa di vaccini, sviluppati in emergenza e utilizzabili solo in tale condizione, dei quali nessuno, neppure le aziende produttrici, conoscono gli effetti indesiderati che si potrebbero manifestare in futuro nè si assumono responsabilità in proposito.
Quelli a brevissimo termine cominciano a essere molti e non certo simpatici ma se tra 3, 5 o 10 anni dovessero emergere complicazioni gravi e inabilitanti in percentuali significative delle popolazioni vaccinate l’impatto sanitario, sociale ed economico potrebbe risultare di dimensioni mai viste e forse ingestibile.
Proviamo a immaginare se in Italia la popolazione vaccinata (ipotizziamo il 90%, cioè 54 milioni di persone) registrasse tra alcuni anni effetti indesiderati gravemente inabilitanti anche solo nel 10% delle persone che hanno ricevuto il vaccino, anche in più dosi.
Avremmo 5,4 milioni di persone da assistere in più a quelle già esistenti per altre cause: 11 milioni in più nel caso di gravi sintomi nel 20% dei vaccinati. Un numero insostenibile anche per nazioni ricche e sviluppate, che determinerebbe conseguenze gravissime anche sul piano economico, demografico e dell’ordine pubblico che colpirebbero a morte l’intero Occidente.
Inoltre non è secondario valutare che le categorie a cui il vaccino è stato di fatto quasi imposto sono di valenza strategica per la tenuta di ogni nazione: militari, forze dell’ordine, personale scolastico e sanitari, con questi ultimi peraltro già in buona parte colpiti e guariti dal virus.
A questo proposito non è banale chiedersi quale impatto strategico avrebbero simili conseguenze a medio e lungo termine in una nazione sempre in “prima linea” contro i suoi nemici come Israele, in testa a tutte le classifiche di somministrazione di vaccini.
Pur tralasciando teorie complottiste non si può non notare che il tema dei rischi potenziali legati alle conseguenze accidentali e indesiderate delle inoculazioni di massa di vaccini non sperimentati per il tempo solitamente necessario non venga neppure preso in considerazione nel dibattito politico e mediatico.
Non si tratta di negare il significato o il valore di tali vaccini ma di porsi almeno qualche domanda circa il rischio che ciò che oggi appare una risposta (l’unica?) al Covid possa domani rivelarsi un problema ben più grave della malattia che ha cercato di ostacolare.
Molti osservatori, forse esagerando, hanno paragonato l’epidemia di Covid a una guerra, contesto in cui mettere a punto piani e ipotizzare scenari valutando tutte le opzioni, incluse quelle peggiori, dovrebbe essere imperativo.
Un eventuale e auspicabile dibattito su tali rischi potrebbe indurre a valutare opzioni più caute, idonee a ridurre i potenziali rischi.
Come quella di puntare decisamente su cure (che pure esistono ma tardano a venire omologate) e assistenza a domicilio dei malati per non rischiare più di intasare gli ospedali, incoraggiando la vaccinazione solo dei cittadini più anziani e fragili maggiormente esposti agli effetti del Covid, preservando al tempo stesso da rischi a medio e lungo termine giovanissimi, giovani e adulti.
I motivi utili ad alimentare un dibattito sulla sicurezza nazionale certo non mancano. L’assenza di test prolungati negli anni impedisce di fare ipotesi sugli effetti indesiderati nel tempo ricade oggi direttamente sui cittadini mentre la discutibile assenza di vaccini “made in Italy” impone di fare affidamento su prodotti stranieri.
Aspetto quest’ultimo che non è mai positivo quando si tratta di temi fondamentali per la sicurezza della Nazione (che si parli di sistemi d’arma, di strumenti di cyber security o di sicurezza sanitaria) e che meriterebbe anch’esso un ampio dibattito finora inesistente o superficiale.
Dubbi leciti
Del resto le grandi aziende farmaceutiche che producono i vaccini si sono cautelate da ogni rischio di risarcimento come dimostrano i contratti segretati (con ampie parti oscurate nelle copie mostrate ad alcuni europarlamentari) siglati con l’Unione Europea e i singoli stati o le numerose firme che ogni cittadino deve apporre per sollevare tutti da ogni responsabilità per gli effetti collaterali del vaccino che gli stanno inoculando.
Sappiamo che questi vaccini non rendono immuni dal Covid, non impediscono di contagiarsi e contagiare ma vengono distribuiti, proposti e imposti, direttamente o indirettamente, con crescente facilità a tutti e spesso senza accurate verifiche preliminari, neppure per verificare con un test sierologico la presenza degli anticorpi del Covid.
Il virus è circolato tra gli equipaggi del Carrier Strike Group britannico incentrato sulla portaerei Queen Elizabeth in missione in giro per il mondo fino a maggio: eppure gli equipaggi, composti interamente da militari con doppia vaccinazione, sono rimasti isolati da contatti col mondo esterno.
I recenti dati provenienti da USA e Israele confermano che i colpiti, inclusi ricoverati e deceduti, si registrano anche in percentuali significative tra i vaccinati ma ciò nonostante la pressione per indurre tutti a vaccinarsi sta diventando sempre più intensa ed estesa nonostante sia ormai imminente l’omologazione in Europa di cure specifiche.
All’ospedale Herzog di Gerusalemme il 95% dei pazienti gravi è vaccinato con doppia dose come l’85/90 per cento dei ricoverati, ha riferito all’emittente Canale 13 il dottor Kobi Haviv direttore generale dell’ospedale (nella foto sotto).
Anche in Israele i numeri di decessi e ricoverati gravi restano bassi ma se, lù come in Italia, sono sufficienti a varare misure restrittive dovrebbero anche indurre a interrogarsi sull’efficacia dei vaccini, almeno per le persone meno anziane.
In base a questi e altri elementi non c’è bisogno di essere complottisti per trovare difficile credere che il business sanitario non abbia un’influenza determinante sulle strategie adottate dagli stati e imposte ai cittadini.
Anche i litigi tra virologi e scienziati, ormai vere “primedonne” televisive, alimentano la confusione e inducono a nutrire dubbi, specie quando si notano repentini cambi d’opinione, magari in seguito a promozioni o incarichi di prestigio.
Certo è incoraggiante sentir dire che i vaccini riducono gli effetti gravi diminuendo i casi di ricovero e decesso ma sostenere questo confrontando in Italia i dati sull’ospedalizzazione di marzo con quelli di luglio non induce a un eccessivo ottimismo per il naturale degrado del virus dovuto alla stagione estiva. Anche nell’estate 2020, in assenza di vaccini, tali indici erano fortunatamente ridotti ai minimi termini, ma sono poi rapidamente risaliti in autunno.
I dati dell’Istituto superiore di Sanità ci dicono che da febbraio al 27 luglio il 99 per cento dei morti per Covid non erano vaccinati o avevano ricevuto una sola dose. Ma non poteva che essere così se si considera che in Italia le vaccinazioni dei più anziani hanno preso il via a febbraio e che solo ad aprile i vaccini sono stati distribuiti in numeri adeguati: di fatto quando nei mesi invernali e primaverili i decessi e i ricoveri erano maggiori i vaccini non c’erano o erano stati da poco resi disponibili.
Del resto l’OMS aveva sconsigliato vaccinazioni di massa durante l’epidemia perché avrebbero favorito la comparsa di varianti, oggi a quanto pare più diffuse proprio nelle nazioni a più alto tasso di vaccinazioni.
Probabilmente solo in autunno e inverno potremo sapere se i vaccini inoculati in massa a italiani, europei statunitensi costituiscono un’arma risolutiva o meno (si parla già una terza dose….) quanto meno riducendo i ricoveri e i decessi, mentre ci vorrà qualche anno per sapere se avremo scongiurato il rischio di gravi effetti indesiderati su vasta scala.
Discriminare per persuadere?
Per essere efficace la comunicazione istituzionale deve essere il più possibile trasparente e credibile ma nella vicenda del Covid, dei vaccini sperimentali e del Green Pass l’impressione è che la trasparenza sia stata affondata fin da subito e non solo dai “misteri cinesi” (in Italia dal “siamo prontissimi” di Giuseppe Conte, dalle mascherine acquistate a peso d’oro che non proteggevano dal virus distribuite ai sanitari, dai verbali segretati del Comitato tecnico-scientifico, dai contratti segretati con le aziende farmaceutiche e la lista sarebbe ancora lunghissima…….).
L’informazione politica e mediatica si limita quasi sempre a fornire slogan sempre più incentrati sulla contrapposizione sociale e la demonizzazione di alcune categorie animati da una evidente frenesia a vaccinare tutti subito.
Anche se non immunizzano e non garantiscono da malattia, ricovero e contagio di altre persone, si punta a inoculare vaccini sperimentali a tutti (anche ai bambini cominciano a dire al CTS ) …e chi obietta o pone dubbi viene etichettato come “no vax” che equivale a ignorante, “terrapiattista” e diffusore di fake news o addirittura pazzo.
Una linea che rischia di cozzare con i diritti costituzionali e alcune norme del diritto internazionale oltre che con il pluralismo delle idee che sarebbe auspicabile continuasse a caratterizzare la nostra società.
Anche perché la gran parte delle persone scettiche sui vaccini sperimentali non sono convinte che la Terra sia piatta ma più probabilmente vedono nell’autoritarismo vaccinale e nella discriminazione crescente un motivo di ulteriore perplessità e scetticismo, specie in un contesto in cui morti e ricoverati restano numericamente così pochi da indurre a chiedersi se il bollettino quotidiano sul Covid (oltre alle tantissime ore di tg e talk show dedicate a questo tema) non abbia in realtà solo il compito di mantenere elevato il terrore presso l’opinione pubblica.
Siccome in ballo non c’è solo la nostra salute ma, intorno ad essa, anche un gigantesco giro d’affari e forse il futuro della nostra e di altre nazioni, siamo sicuri che se istituzioni e media dedicassero bollettini quotidiani per informarci su quanti muoiono ogni giorno per incidenti stradali, o per infarti e tumori o per infezioni contratte in ospedale (quasi 50mila decessi nel 2019) la nostra percezione del rischio Covid sarebbe la stessa?
Pur senza gridare al regime è meglio porre molta attenzione a questi aspetti legati agli effetti della propaganda e del bombardamento mediatico perché di lotta alle fake news si occupa anche una recente legge cinese che mira a far tacere i dissidenti mentre di persone definite “pazze” per le loro idee erano pieni i manicomi in Unione Sovietica, Cina e altri “paradisi comunisti”.
Vale la pena sottolineare che ogni discriminazione tra i cittadini dovrebbe essere accuratamente evitata anche nel rispetto delle recenti indicazioni dell’Unione Europea.
Il 15 giugno scorso Commissione e Parlamento europeo hanno affermato con chiarezza che “è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, anche di quelle che hanno scelto di non essere vaccinate”, come si legge su EUR-Lex.
Di fronte a quanto sta accadendo è difficile non chiedersi perché l’Italia sia stata “riaperta” in giugno quando morti e ricoverati erano ancora numerosi e poi, a inizio agosto, si pongano limitazioni ampiamente anticipate dai media che stanno determinando gravi danni economici e ripercussioni sociali pur con obitori e terapie intensive vuote.
Impossibile non domandarsi perché uno stato pronto a limitare la libertà dei suoi cittadini nel nome della lotta al Covid continui, nonostante lo stato d’emergenza, a tenere spalancate porte e porti a decine di migliaia di clandestini (31 mila sbarcati da inizio anno) provenienti da paesi in cui il virus dilaga e che, benchè positivi, tendono a fuggire alla prima occasione dai centri d’accoglienza che li ospitano.
Impossibile non notare la contraddizione di un Green Pass obbligatorio sui treni ad alta velocità con posti prenotati e impianti di areazione anti-virus ma non sugli affollati trasporti locali, già emersi come fenomenali veicoli di contagio, adducendo come giustificazione l’impossibilità di effettuare controlli.
La mancanza di risposte credibili delle istituzioni a queste domande e il ricorso all’autoritarismo (che spesso mal rimpiazza la carenza di autorevolezza) genera inevitabilmente sfiducia nelle istituzioni e scollamento sociale.
Che dire poi della disposizione, vergognosa per uno stato di diritto, di lasciare le scuole libere dall’uso della mascherina ma solo se in classe sono tutti vaccinati, violando così la privacy dei ragazzi ed esponendo i non vaccinati al rischio di emarginazioni o perfino atti di bullismo.
Un metodo “cambogiano”, ricordando come i khmer rossi indottrinassero gli studenti per indurli a denunciare i genitori che tra le mura domestiche criticavano il regime, che sembra puntare a indurre il ragazzo a premere sui genitori per farsi vaccinare ed essere così accettato dal gruppo.
Una orribile speculazione su bambini e adolescenti, già provati dalle conseguenze dell’epidemia e ora messi l’uno contro l’altro. Resa ancora più grave dall’assenza di informazioni circa effetti indesiderati futuri dei vaccini.
Forse è esagerato evocare Pol Pot ma di certo non lo è chiedersi dove siano finite le associazioni per i diritti civili e dell’infanzia, Save the Children, professori, presidi, pedagogisti, psicologhi, pediatri e sociologi. Tutti in vacanza?
Una norma esclusivamente coercitiva e discriminatoria nei confronti di una minoranza, norma che tra l’altro favorirà la diffusione dei contagi considerato che anche i vaccinati contagiano e si ammalano e soprattutto che l’uso della mascherina è obbligatorio in tutti gli ambienti chiusi e persino sui mezzi di trasporto e che in nazioni quali Germania e Gran Bretagna vaccinare i minori è considerato pericoloso e non necessario come riportano anche dalle ricerche indicate dalle due mozioni depositate in giugno al Senato dalla Lega e da Fratelli d’Italia.
Green Pass e Psy Ops
Anche l’adozione del Green Pass sta sollevando interrogativi benchè ormai le stesse istituzioni ammettano che si tratta di uno strumento teso a incoraggiare le vaccinazioni rendendo la vita più difficile ai non vaccinati, che hanno come alternativa un tampone ogni 48 ore. Il tutto evidentemente in antitesi a quanto stabilito dall’Unione Europea.
Il Green Pass, come il prolungato bombardamento mediatico, sembra quindi rappresentare uno strumento idoneo alle operazioni psicologiche, branca militare tesa a influenzare percezioni e comportamenti dell’opinione pubblica (ma di solito quella del nemico….).
Concepito come strumento per consentire in relativa sicurezza i viaggi all’estero, viene oggi imposto agli italiani con la motivazione di contrastare la diffusione del Covid e quindi di “mantenerci liberi”.
Difficile però non notare che il Green Pass consente ai vaccinati, che possono comunque contrarre il virus, di essere “liberi” di contagiare anche senza esserne consapevoli e in ogni caso senza bisogno di sottoporsi a tamponi.
Così si premia con una maggiore libertà il vaccinato (discriminando il non vaccinato), ma si rischia di favorire la diffusione del Covid quando per contrastarla avrebbe un significato sanitario più rilevante legare il Green Pass a tamponi effettuati ogni pochi giorni.
Per ottenere questo risultato sarebbe in realtà sufficiente la certificazione rilasciata a tampone effettuato. Inoltre i tamponi, pur subendo una annunciata riduzione di prezzo, non verranno resi gratuiti proprio per non favorire l’alternativa alle vaccinazioni.
Di fatto si scoraggia uno strumento che consentirebbe una riduzione del rischio di circolazione del virus (i tamponi) per incoraggiare il ricorso a un altro strumento (i vaccini) che permetterà un più ampio e inconsapevole rischio di contagi e il cui prezzo sta “stranamente” aumentando nonostante la produzione di massa.
Non è un caso che in molte nazioni, come Francia e Spagna, l’accesso al confine venga consentito solo dopo un tampone, anche se si è vaccinati con doppia dose mentre il tampone è stato chiesto anche ai giornalisti, tutti vaccinati, che volevano partecipare alla conferenza stampa in cui Mario Draghi ha annunciato le restrizioni legate al Green Pass.
Le regole di Palazzo Chigi sembrano quindi smentire le affermazioni “imprecise” dello stesso presidente del Consiglio, che nessun grande media ha ritenuto di evidenziare ma che qualcuno ha bollato come fake news, soprattutto quando ha sostenuto che col Green Pass potremo stare insieme ad altre persone senza il rischio di contagio e che l’invito a non vaccinarsi è un invito a morire quando in Italia sono oltre 4,2 milioni i guariti dal Covid.
Strumento di controllo di massa?
Se il primo obiettivo del Green Pass è complicare la vita a cittadini e categorie di lavoratori per indurre tutti ad accettare il vaccino, appare chiaro che tale strumento è idoneo a complicarla in modo progressivo, aumentando il numero di luoghi, mezzi di trasporto, locali, iniziative a attività dove verrà richiesto per accedere.
Uno strumento persuasivo/coercitivo quindi, non sanitario. In secondo luogo può venire considerato, nella forma “blanda” adottata dal 6 agosto, come un test, effettuabile solo grazie al perdurare dello stato d’emergenza, per verificare la disponibilità popolare a subire forme di controllo, punitive e discriminatorie, che si aggiungono alle limitazioni dei diritti fondamentali e delle libertà più elementari già testati con il lockdown.
Limitazioni rese “digeribili” dall’emergenza Covid cercando di “cementare” il consenso con la “caccia agli untori” alimentata dalle istituzioni e amplificata in modo supino e acritico dalla quasi totalità dei media: ieri il runner o il canoista che si allenavano da soli su spiagge desolate o in mezzo al mare, oggi chi non intende vaccinarsi o esprime dubbi in proposito.
C’è poi un ulteriore aspetto che non va sottovalutato. Con il “lasciapassare verde”, forniremo potenzialmente una gran mole d’informazioni su tutto quello che facciamo, i luoghi e indirettamente (o con controlli incrociati) le persone che frequentiamo oltre che sui nostri consumi e gusti, gli spettacoli a cui assistiamo, i negozi in cui facciamo acquisti, i mezzi di trasporto che utilizziamo.
E’ vero che molte di queste informazioni già le forniamo grazie a social media, carte di credito, bancomat, telepass, carte fedeltà o altro ma in questi casi lo facciamo volontariamente, non per imposizione dello stato.
Il rischio concreto quindi è che il Green Pass possa costituire uno strumento idoneo a consentire un ampio controllo sociale basato sul tracciamento accurato degli spostamenti, dello stile di vita e dei consumi dei cittadini che potenzialmente potrebbero venire influenzati o indirizzati da questo strumento.
Solo per fare un esempio: quanto influirebbe l’imposizione del Green Pass per accedere a negozi e centri commerciali sulla nostra disponibilità ad aumentare gli acquisti on line?
La messe di dati ottenibili dall’impiego su vasta scala del Green Pass risulta infatti facilmente incrementabile aumentando il numero di luoghi e servizi accessibili solo con il suo possesso: oltre a quelli già elencati anche fiere, convegni, convention politiche, treni, aerei, scuole o luoghi di lavoro, svago, vacanze.
Dati sul cui eventuale utilizzo a fini commerciali o di profilazione sociale, economica e politica non avremo alcun modo di ottenere garanzie né verifiche mentre sistemi informatici e banche dati istituzionali in cui inevitabilmente verrebbero immagazzinati i nostri dati si stanno rivelando ogni giorno più vulnerabili ad attacchi hacker provenienti anche dall’estero.
L’impressione è quindi che temi di portata così rilevante per il nostro futuro meritino un ampio dibattito degno di una grande nazione democratica, indispensabile a scongiurare ogni deriva autoritaria e ad assicurare che non vengano calpestati quei diritti e libertà individuali che a lungo hanno consentito di definire l’Occidente il “mondo libero”.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.